Quando da giovane dirigente della Fiom mi capitava di manifestare davanti all’Assolombarda, nel cuore di Milano, non avrei mai immaginato che mezzo secolo dopo, alle soglie degli ottant’anni, avrei apprezzato e condiviso la relazione del suo attuale presidente, Carlo Bonomi, in occasione della Assemblea generale. Dicono che sia candidato alla presidenza di Confindustria, ma che il suo approdo a Viale dell’Astronomia incontri non poche difficoltà, essendoci altri imprenditori che gli contendono (magari solo per sbarrargli la strada) quel ruolo. Io mi auguro che ce la faccia, per tanti motivi, non esclusa l’esigenza che la più importante associazione imprenditoriale sia più presente ed ascoltata nel dibattito politico ed economico del Paese.
Non me ne vogliano gli attuali dirigenti, ma da osservatore esterno, ho l’impressione che la Confindustria stia attraversando, da tempo, una fase di crisi che rasenta l’irrilevanza nei confronti del potere politico e delle sue scelte. Certo, come in un quadro di Peter Bruegel il Vecchio, Confindustria e confederazioni sindacali si sostengono reciprocamente per superare ciascuno i propri handicap. Tornando a Bonomi, nel 2018, mentre il governo giallo-rosso iniziava la sua marcia trionfale (poi risultata molto breve) e tutti correvano a baciare i sandali infradito di Matteo Salvini (a Vincenzo Boccia scappò addirittura detto che gli imprenditori potevano contare solo sulla Lega), il leader di Assolombarda svolse in Assemblea una relazione che suonò come appello alla riscossa, se non da parte delle forze politiche di opposizione esangui e frustrate, almeno di quei settori della società civile che credono nell’impegno, nel merito, nel mercato, nella competizione, nel libero commercio, nell’euro e nell’Europa; e sono consapevoli che, se è vero che non esistono libertà politiche in mancanza di libertà economiche, è assolutamente vero anche il contrario.
Un anno fa, il presidente di Assolombarda colse la questione centrale di quella fase politica. ‘’E, su tutto questo (la rappresentazione dei mutamenti intervenuti nel quadro internazionale, ndr), nella generalità dei Paesi occidentali e innanzitutto in Italia – sono parole di Bonomi – ha assunto una forza sempre più rapida un massiccio fenomeno di riorientamento del consenso popolare. Verso forze che auspicano il ritorno a sovranità nazionali contrapposte. Verso un’idea di Stato non solo dispensatore di sussidi, ma di nuovo protagonista nell’affermazione sulla scena internazionale di vincoli e dazi discrezionali, come in ambito nazionale nella conduzione diretta di imprese e nell’offerta di beni e servizi. Verso un’idea di comunità nazionale chiusa nelle proprie frontiere, diffidente se non esplicitamente avversa a ogni idea ordinata di gestione e integrazione dei flussi migratori. Si tratta di fenomeni di un tale impatto che come imprese non possiamo e non dobbiamo ignorare’’. ‘’Come comunità di imprese che si riconosce in Assolombarda – aggiunse – noi avvertiamo il nostro dovere come rivolto all’intera società, e non solo verso i nostri collaboratori e soci, clienti e fornitori. Come parte del ceto dirigente del nostro Paese, non possiamo e non dobbiamo volgerci dall’altra parte, e discutere solo delle nostre esigenze e attese in vista della prossima legge di bilancio’’.
Che cosa significava, allora, quell’ assunzione di responsabilità? ‘’Di fronte a questo quadro – sottolineò Bonomi – avvertiamo un dovere. Dobbiamo tutti contribuire a una nuova strategia di responsabilità nazionale, con gli occhi rivolti all’Europa. Noi tutti dobbiamo sentirci responsabili di ciò che saremo’’. Poi le parole diventarono ancora più nette. ‘’Non è il momento di abbandonare processi potenzialmente disgregativi così profondi nelle mani di qualcuno che non pensa all’interesse di tutta la comunità. La politica ha il suo mandato popolare. Ma le istituzioni di un Paese libero dai tempi di Montesquieu vivono dell’equilibrio tra poteri diversi. Guai a rinunciarvi!” . ‘’È avvenuta nel volgere di pochi mesi – proseguiva il j’accuse – una trasformazione profonda del senso di sé e della volontà reattiva degli italiani. È un fenomeno che non trova riscontro nell’alternanza tra destra e sinistra al governo durante la Seconda Repubblica. Assume forme di ripulsa verso la stessa idea di democrazia rappresentativa, verso i fondamenti garantisti della giustizia e della presunzione d’innocenza. Inoltre esprime sfiducia crescente verso la scienza – si pensi al rilievo del fenomeno NoVax, che ci vede segnalati ormai dalle autorità sanitarie internazionali come un Paese prima della cui visita sottoporsi a profilassi – e le nuove tecnologie, imputate di sostituire lavoro umano accrescendo le fila dei disoccupati. In particolare, questi due ultimi fenomeni minano anche la fiducia verso la libera impresa, considerata come un attore di processi organizzativi, gestionali e finanziari non più volti a rafforzare l’occupazione e la coesione sociale, bensì potenzialmente tali da accrescere i divari di reddito e il disagio sociale. È inutile fingere di non vedere la portata convergente di questi fenomeni’’.
‘’Come imprese – fu l’appello centrale di Carlo Bonomi – siamo chiamati a una grande battaglia culturale su uno dei fondamenti stessi di ogni idea di comunità. Ed è per questo che dobbiamo impegnarci con forza perché non si radichi e si diffonda sempre più in Italia il ritorno in grande stile dello Stato paternalista. Non abbiamo bisogno di uno Stato che torni ad essere padre e madre: perché nella storia del Novecento questa formula ha prodotto guai immensi’’.
Quest’anno, il 7 ottobre scorso, parlando all’Assemblea generale, Carlo Bonomi ha preso atto, con favore, dei cambiamenti intervenuti a livello europeo e in Italia ma, rivolto al Presidente del Consiglio presente in sala, non si è nascosto dietro un farisaico dovere di ospitalità. Le sue parole sono state cortesi, responsabili, ma ficcanti. ‘’Mi rivolgo a lei, Signor Presidente del Consiglio, esprimendo l’opinione che ho raccolto in tutta la nostra associazione, in queste ultime settimane. Sappia che noi apprezziamo vivamente l’impegno che ha assunto nel suo discorso parlamentare per la fiducia. L’impegno a un nuovo tono. Di profondo rispetto istituzionale. Di grande cura nell’evitare polemiche divisive. Di deliberata costruttività nei confronti dell’Europa e del rispetto delle sue regole. Di ascolto vero con le parti sociali: impresa, sindacati e società civile. È quanto avevamo chiesto invano, nel corso del 2018 e 2019. Però, Signor Presidente, – ha ribadito Bonomi – vogliamo essere con lei del tutto chiari. Noi apprezziamo i nuovi propositi. Ma non dimentichiamo quello che abbiamo visto e sentito nei 14 mesi precedenti. Non possiamo dimenticare che quel governo ci ha promesso di cancellare la povertà, invece ci ha restituito alla stagnazione’’.