“Le foreste a precedere l’umanità, i deserti a seguire” è una frase attribuita al Visconte De Chateaubriand, iniziatore del romanticismo francese nell’800, “romantico” sì salvo che nel caso dell’ambiente come si vede.
Insomma è da tempo immemorabile che sui problemi dell’ambiente ci si scontra in nome di un ambientalismo spesso “estremista” e in contrapposizione a difesa di un progresso intangibile che proprio perché tale minimizza i danni ambientali recati al mondo in cui viviamo quando non li ignora.
Anche le novità poi dividono, come la discesa in campo della giovanissima Greta Thunberg fra antipatie istintive e tentativi di “demonizzazione” come si usa fare per gli adulti. Greta per i suoi detrattori o è una sorta di Giovanna d’Arco (a quando il rogo?) o un burattino nelle mani oscure di un marketing e di intersessi spregiudicati. In realtà è solo una ragazza che ha manifestato assieme a milioni di altri giovani la sua passione giovanile, ma anche ideale, nel reclamare un futuro che non sia quello preconizzato dai più lugubri film di fantascienza con la terra che è ridotta ad una landa desolata. Come ha detto qualcuno “ha alzato una bandiera” e moltissimi giovani hanno inteso seguirla. Allora il Nobel per la pace a Greta? Lasciamola crescere come i suoi coetanei che è molto meglio, sena sottovalutare non solo il messaggio ma la forza che esso esprime. Semmai dovremmo evitare che le piazze colorate di tanti giovani finiscano troppo presto nella memoria collettiva come un revival effimero del passato nel quale ha furoreggiato la contestazione giovanile, come nel ’68, allora spiccatamente antiautoritaria. In realtà anche oggi nel difendere le ragioni di un ambiente da non più massacrare finchè si è in tempo, lo spirito di ribellione che anima i giovani appare giustificato. Non può cambiare il corso delle cose, ma dovrebbe sollecitare le generazioni più mature a usare realismo ed esperienza non per relativizzare il problema ma per modificare talune regole di una economia sempre più incompatibili con uno sviluppo che non devasti progressivamente il pianeta e le sue risorse. Il problema sollevato da Greta e dai giovani che hanno manifestato va oltre i loro desideri ed i loro slogan, è molto serio. Richiama il nodo di una economia mondiale non solo arida di sentimenti ma dominata da logiche di potere e finanziarie che non si limitano a creare recessioni, a concentrare potere economico in poche mani, a accentuare le distanze fra ricchezza e povertà, finiscono con il loro egoismo ad impoverire la qualità della vita sulla terra e mettono a rischio l’equilibrio ambientale come nel caso della Amazzonia.
Raccogliere queste istanze insomma vuol dire assumersi responsabilità che non possono essere eluse già nell’oggi e che quindi non si hanno solo nei confronti dei giovani che per molti versi, troppi a dire il vero, paventano a ragione di dover vivere in un futuro assai peggiore del nostro. E la conservazione dell’ambiente fa parte di un conto che potrebbe rivelarsi ingiustamente salato.
Il nuovo governo con il recente decreto e con l’annunciato disegno di legge per l’ambiente collegato alla manovra di bilancio sembra voler inserire stabilmente nella sua agenda di lavoro il tema ambiente. Non mancano luci ed ombre e la solita incertezza sulle effettive risorse su cui contare. Ma ancora una volta è il disegno complessivo che non convince come dovrebbe. Anzi che non parte nel modo giusto.
Sindacati ed imprese hanno dimostrato anche di recente di avere un passo assai più spedito ed un orientamento assai più chiaro della politica e del Governo: con i rinnovi contrattuali del settore energia e di quello elettrico, oltre ad aver “sconfessato” la tendenza a comprimere le retribuzioni (ma i buoni esiti raggiunti non possono fare a meno di una leva fiscale in grado di sostenere questo sforzo ad esempio con la detassazione degli aumenti contrattuali) hanno tracciato un percorso che si muove bene verso quella transizione energetica che, come una terra promessa, pare sempre vicina ma poi si allontana come se si trattasse di un miraggio.
Partiti e Governo, con una parte dell’opinione pubblica, sembrano non aver compreso questo segnale molto positivo: in realtà prima dei decreti e prima dei collegati sarebbe stato meglio un confronto ad un tavolo con le parti sociali che indicasse per i prossimi anni scelte strutturali forti a favore della transizione e della green economy, nelle quali ognuno possa assolvere ad un ruolo preciso e con garanzie altrettanto precise in termini di programmazione degli interventi. Lo spazio esiste ed è ancora percorribile in ogni modo, ma serve una nuova volontà politica.
In sintesi occorre dare una risposta a quanto avviene nella società: recuperare le istanze di milioni di giovani in piazza, valorizzare le ragioni alla base di accordi contrattuali, uscire dalla propaganda “stagionale” sull’ambiente, per realizzare una strategia che abbia un ampio consenso sociale e basi solide sul piano delle politiche industriali.
In questo senso fra i tanti giovani in piazza e la voglia di appuntarsi medaglie al merito ambientale con un po’ di incentivi di certa politica la scelta non può che orientarsi verso quelle manifestazioni che proprio perché giovanili impongono di guardare oltre il contingente, di tornare ad usare una progettualità di alto profilo che corregga i pericoli oggi esistenti nell’attuale sistema.
E questo può avvenire in primo luogo se il tavolo delle decisioni non resta sordo alle proposte delle forze sindacali e sociali. Anche per l’ambiente sarebbe stato utile ripristinare il metodo che fa del momento legislativo l’ultimo atto di un processo decisionale che lo precede nel quale siano considerati come è giusto che sia gli attori rappresentativi del mondo del lavoro.
L’Italia è un Paese che deve affrontare sfida davvero impegnative ed intrecciate fra loro: deve in primo luogo scongiurare il declino industriale con segmenti produttivi continuamente in crisi e questo può essere fatto soprattutto dando centralità alla green economy ed ai suoi collegamenti fra vari settori industriali e non comprese dunque l’agricoltura, le costruzioni, la ricerca. Deve rimettere in sicurezza un territorio dilaniato inesorabilmente da eventi naturali, dalle speculazioni e dall’incuria che crea disastri. Fa sorridere il pur interessante proposito di destinare fondi alla riforestazione delle città, quando nella Capitale ad ogni tempesta di vento corrisponde una strage di rami ed alberi con reali rischi per l’incolumità dei cittadini e dei turisti per mancanza totale di manutenzione. Eppure il territorio va “risanato”, come pure il sistema idrico, come pure va perseguito il miglioramento del patrimonio naturale spesso abbandonato, come pure va affrontato seriamente l’adattamento delle reti infrastrutturali alle realtà nelle quali vanno realizzate.
Le politiche industriali e quelle di sistemazione ambientale non possono prescindere né dall’ascolto di quanto la società civile trasmette alla politica né dai comportamenti dei corpi intermedi che accumulano informazioni, esperienze, idee quanto mai utili se si vuole davvero avviarsi verso una svolta. Non siamo all’anno zero, in particolare per quel che riguarda le relazioni industriali. Lo siamo invece ancora nel rapporto fra la politica e le forze sociali. E questo è un gap che va affrontato e ridotto senza perdere altro tempo. Una volta si diceva: i “bambini ci guardano”, ora potremmo dire che sono cresciuti e non hanno bisogno di guardare… bensì di non farsi ingannare. Del resto è loro interesse, come il nostro, fermare il degrado e aprire una nuova stagione che sia sorretta da interventi che guardano lontano ma anche dal crescere di una sempre più larga coscienza civile e sociale che appoggi i cambiamenti inevitabili nei comportamenti collettivi ed individuali. Anche per tale motivo è fondamentale che Governo, partiti e forze sociali possano confrontarsi e proporre obiettivi raggiungibili, comprensibili ed in grado di creare le condizioni per una diversa e migliore civiltà ambientale. Da tempo ci battiamo per un cambio di mentalità e di metodo. Ora più che mai questa è la buona battaglia necessaria per fare un salto di qualità reale sui problemi che legano futuro, economia ed ambiente.
Paolo Pirani