A Susanna Camusso appare incomprensibile che si sia accesa una competizione sulla figura del prossimo leader della Cgil. Afferma, nella sua relazione di apertura al Congresso, nonché la sua ultima da segretario generale, che la confederazione è arrivata a un congresso unitario, cosa che non accedeva da anni e anni, e che questo risultato è sancito dal fatto che il 98% del popolo della Cgil ha approvato il documento congressuale proposto dal gruppo dirigente. Le divisioni, aggiunge, sono arrivate dopo, e sono arrivate perché ha prevalso l’io sul noi. Io, ha detto ancora Camusso per spiegare la sua posizione, ho sempre lavorato per la collegialità, qualcun altro ha preferito avanzare il proprio nome al posto di quello scelto dalla segreteria confederale. Il “cattivo” è Vincenzo Colla, colpevole – secondo la segretaria uscente- di aver inventato una divisione che è basata solo sui nomi, non sui programmi. E questo avrebbe causato un vulnus, parola latina che nella Cgil evoca sempre un’offesa grave, un attacco proditorio, malevolo.
Con tutto il rispetto per la segretaria generale della Cgil non mi sento di avallare questa sua spiegazione. Sarà perché nella mia vita ho sempre diffidato dalle maggioranze bulgare, ma quel 98% forse nascondeva divisioni profonde, che non a caso sono venute fuori, portando alla situazione odierna. E infatti è vero che non sono stati presentati programmi specifici e contrapposti dai due contendenti, ma dalle esternazioni di queste settimane sono emerse differenze sensibili tra i due candidati. Non quelle politiche, alle quali credo poco, sottolineate dai grandi quotidiani solo perché più facili da indicare. Ma sulle cose da fare sono state dette cose molto diverse, soprattutto sui compiti che attendono la Cgil nei mesi e anni a venire.
Susanna Camusso afferma che “non si chiede alla Cgil”. È vero, ma è compito di un buon dirigente dire cosa la confederazione dovrebbe fare per affrontare e, se possibile superare, le difficoltà che si trova a vivere. E questo Colla e Landini hanno fatto: hanno detto la loro sui vari problemi esistenti, lasciando al popolo della Cgil, rappresentato da quella Assemblea generale che sarà insediata a breve, il compito di scegliere tra le due diverse proposte. Non si vede il vulnus dove sia, quale sia la mano traditrice che ha inferto il colpo malvagio.
L’unica cosa vera è che la Cgil si trova in una situazione di difficoltà, spaccata in due; e il mancato accordo per una ricomposizione, che ormai pare irraggiungibile, naturalmente acuisce questa dualità perniciosa. Ma non è negando l’esistenza di tesi contrapposte che si rimedia. Forse non avrebbe guastato maggiore accortezza nell’indicare come prossimo segretario generale una figura che tutti sapevano essere invisa a gran parte del gruppo dirigente della confederazione. Ma anche questa è acqua passata. Adesso bisogna guardare più avanti, cercare di far sì che davvero il prossimo sia il segretario generale di tutta la Cgil. Un accordo di gestione, quale che sia il vincitore alle urne, non dovrebbe essere difficile da trovare e poi da praticare. Ma bisogna volerlo davvero.
Massimo Mascini