Paolo Sylos Labini, economista socialista che sapeva guardare ai cambiamenti sociali senza paraocchi, opportunamente notava che “il problema delle classi sociali rappresenta essenzialmente una eredità feudale” anche se con retaggio non solo negativo in termini di cultura e valori. Ma aggiungeva che il problema di questa …eredità era di “perseguire l’eguaglianza verso l’alto e non verso il basso”. Ma puntare verso il basso è proprio quello che il confuso periodo che stiamo vivendo, egemonizzato sul piano politico ed economico dal governo a guida gialloverde, rischia di esasperare.
È fondamentale allora che il movimento sindacale riprenda le file di una iniziativa forte sul terreno dello sviluppo economico e delle diseguaglianze sociali, prima che i danni di un populismo senza una vera strategia ci conducano verso nuove stagioni recessive, impoverendo i pilastri strategici della nostra produzione, allargando il fossato fra i vari ceti sociali e le aree territoriali. Il vizio di farsi guidare da preconcetti ideologici per mettere all’angolo il passato e gli avversati, sta conducendo il Paese verso rischi di caos economico e sociale.
Ben venga allora il rilancio di una piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil, in grado di mobilitare di assicurare quella coesione sociale che l’attuale politica sembra voler solo smantellare.
L’emblema di questo stato “confusionale” che nasconde però obiettivi di potere ben più lucidi soprattutto in campo leghista, è la manovra di bilancio: taglia fuori completamente il lavoro dipendente, mortifica la centralità del lavoro, fa cassa per l’ennesima volta sui pensionati, mentre dall’altro lato della bilancia la legge di bilancio appare intessuta da una miriade di commi a favore di micro interventi che possono avere solo una spiegazione: curare interessi minimi e in odore di clientele, per garantirsi in tal modo il consenso fino alla prova “muscolare” delle elezioni europee. Altro che manovra anticiclica, questa è un’operazione rischiosa di misure economiche “buone” per sei mesi fino al voto europeo.
Peccato però che lo scenario economico sia di tutt’altra natura, tanto da far ammettere al Ministro dell’economia che la stagnazione è un problema già attuale, mentre le previsioni che si succedono in Europa ed in Italia testimoniano di un rallentamento economico sempre più allarmante. Ed il debito pubblico prosegue la sua corsa verso record di cui non possiamo certo vantarci.
Non è questo lo scenario giusto per proseguire sulla via di una strategia di politica economica che in realtà altro non è che una continua propaganda.
Ma non sono solo gli aspetti congiunturali a preoccupare: si tenga conto che i processi di destrutturazione del mercato del lavoro innestati da tempo ed in grado di avanzare anche per “merito” del decreto su reddito di cittadinanza e quota 100, potrebbero disegnare scenari futuri nei quali la crescita economica potrebbe essere avversata da una sempre maggiore disgregazione sociale.
Ma per puntare all’obbiettivo segnalato da Sylos Labini, eguaglianza verso l’alto, serve non solo ritornare ai fondamentali economici – investimenti, politica industriale vera, riorganizzazione del mercato del lavoro che non può essere considerato una caserma controllata a vista – ma provare a ricomporre quel tessuto sociale che la recessione ed i fallimenti di un certo riformismo hanno sfarinato pericolosamente.
Per questo motivo riproporre la centralità del lavoro non è uno slogan vuoto. Semmai fa parte di quell’impegno volto a ritessere rapporti solidali, più ampi del passato, fra tutti coloro che lavorano ristabilendo priorità e diritti che non possono non far parte di una equa democrazia economica. Un nuovo blocco sociale da costruire in tal senso non è una utopia ma una necessità. Anche perché la competizione internazionale e questa Europa che tutto è meno che una Europa sociale, “burocratica” e finanziarizzata come si presenta, rischiano di agire come ulteriori elementi di frantumazione, che non a caso nell’Est europeo ma non solo (vedi il fenomeno dei gilet gialli in Francia) spingono verso estremizzazioni di destra anche quando magari la protesta nasce da ragioni concrete ed inevase.
Il compito di tenere insieme i vari segmenti del mondo del lavoro, offrendo nuove ragioni culturali e valoriali, può diventare uno degli impegni più importanti per l’azione sindacale, oggi che si è ancora in tempo per la forza contrattuale e di radicamento sociale di cui dispone il sindacato italiano.
E non si deve scartare l’eventualità di percorrere strade che senza nostalgie con il passato, prevedano anche iniziative combattive, di quelle che un tempo avremmo etichettato come episodi di lotta di classe. Certo, dobbiamo intenderci: il senso di marcia è quello della partecipazione, ma per evitare che essa sia derubricata dall’evoluzione politica ed economica occorrerà anche saper puntare i piedi quando è necessario senza timori reverenziali e costruire alleanze del lavoro che non abbiano il timore di opporsi con decisione a quelle scelte che sono contrarie agli interessi che intendiamo perseguire per evitare il fallimento dell’azienda Italia.
Ma non basta: non si può aprire una nuova stagione di impegno per evitare un futuro tutto in perdita per il mondo del lavoro, senza interlocutori in grado di rendere attuabili le proposte che vanno avanzate.
Ma più che prendere di mira il “disordine” politico che attraversa tutti gli schieramenti, sarà fondamentale stabilire relazioni solide con le Istituzioni che garantiscono la tenuta sociale ed economica e con esse quella “statualità” che è a fondamento della democrazia. È necessario dunque costruire proprio con le Istituzioni, territoriali ma non solo, quella capacità di resistenza al disordine, alla amplificazione delle diseguaglianze, all’immobilismo che impedisce scelte di sviluppo. In questo senso possiamo contare su relazioni industriali che possono rendere l’interlocuzione con le Istituzioni ancora più efficace. Non è facile ma si può tentare. Specialmente se si sarà in grado di garantire un livello elevato di unità. Quello che ci giochiamo nei prossimi mesi non è poco visto che si tratta degli assetti democratici ed economici con i quali si dovrà aprire la grande scommessa della riforma dell’Europa e di gran parte della politica europea. Ma è una consapevolezza che secondo le nostre tradizioni riformiste spinge ad accettare la sfida senza smarrirsi.
Paolo Pirani