“Le crisi sono un terreno dal quale bisogna trarre degli insegnamenti, e questo vale anche per le crisi che interessano il comparto bancario”. Con queste parole il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan ha aperto il suo intervento al convegno organizzato da Cgil e Fisac Cgil “Buona finanza. Oltre le crisi bancarie, crescita, uguaglianza, lavoro”, di scena nella sede del sindacato di Corso d’Italia. E la lezione che, secondo il titolare del dicastero di via XX Settembre, si deve trarre può essere riassunta in tre punti.
Il primo è quello di una riforma e revisione delle istituzione e degli strumenti che agiscono all’interno del comparto bancario, non solo in una prospettiva nazionale, ma anche, e soprattutto, europea. La parola d’ordine, quando si gestisce una crisi nel settore bancario, è rapidità. Un aspetto che molto spesso manca, prosegue Padoan, perché si confrontano tra di loro istituzioni che hanno compiti diversi e tempi di attuazione diversi, ma tutti indispensabili per trovare delle soluzione ad una crisi in atto. È un fatto che l’Unione bancaria europea sia ancora una realtà incompiuta. È opportuno inoltre rivede gli strumenti che si usano in queste circostanze. La mancanza di liquidità è un fattore negativo in periodi di forte sofferenza, allo stesso tempo bisogna agire con accortezza per ridurre lo stock di sofferenza, senza forzare troppo la mano.
Il secondo aspetto verte sui modelli di banca che si sono sviluppati durante la crisi. Non esiste più un unico modo di fare la banca, me ci sono, all’interno dello stesso settore, una pluralità di esperienze, ciascuna delle quali è oggi in concorrenza l’una con l’altra. Questa contesa deve diventare, per Padoan, una fattore propulsivo, foriero di prassi positive. Per far questo occorre investire sul capitale umane, che deve essere considerato il vero valore per fornire al cittadino un servizio eccellente.
Come ultimo punto, fortemente saldato a quello precedente, si deve porre al centro dell’attività della banca la tutela, non solo dei suoi lavoratori, ma anche quella delle famiglia e dei risparmiatori. E l’unico modo per imboccare questa strada è puntare sulla formazione. L’idea, prosegue Padoan, è quella di un Comitato nazionale per l’educazione finanziaria, nel quale confluirà l’azione di diversi ministeri e di stakeholder, per creare un sistema creditizio più attento alle esigenze del fruitore.
La crisi del 2008, frutto di una cattiva finanza, ha avuto forti ripercussioni anche sul comparto bancario. Questo lo si può vedere, prima di tutto, nelle sofferenze nette accumulate dalle nostre banche. Secondo i dati forniti da ISRF LAB, il centro studi della Fisac Cgil, si è passati da 36,6 mld nel dicembre 2010, agli 86,6 mld del dicembre 2016, fino a scendere a 65,8 mld dello scorso luglio. Il percorso evidenza dunque il forte stress accumulato dal sistema bancario italiano negli anni più duri della recessione, fino al cambio di rotta e alla diminuzione delle sofferenze, segno di una svolta in tutto il comparto. Come peraltro osserva il presidente dell’Ani Antonio Patuelli, ricordando che i crediti inesigibili sono calati del 25% negli ultimi sette mesi.
Una risposta alle sofferenze bancarie poteva essere data, secondo lo studio della Fisac, dai governi degli anni precedenti, come quello guidato da Monti, attraverso la possibile creazione di una bad bank per la gestione dei crediti deteriorati, come fatto da altri paesi. Contestualmente andrebbe rivista l’intera gestione del settore bancario nella zona euro, attraverso un sistema di supervisione unico, che contempli anche una gestione condivisa delle crisi bancarie, e, in questo senso, la Fisac ha auspicato una revisione del bail-in
Inoltre la crisi, come evidenzia lo studio, è stato un fattore di accelerazione di diverse situazioni. Come prima cosa si è assistito ad un processo di aggregazione, che ha ridotto sensibilmente il numero di banche operanti. Contemporaneamente sono calate anche le filiali sul territorio, passando dalla 34mila del 2008, alle 28mila del 2017.
Quel che è certo, è che la crisi delle banche ha dato nuovo valore alle relazioni industriali e al ruolo delle parti sociali: un ruolo prezioso, come ha sottolineato Patuelli, ma molto spesso sottovalutato. Si sono evitati in questo modo numerosi licenziamenti, attraverso l’uscita volontaria di 67mila dipendenti, permettendo nel contempo le assunzioni di 17mila giovani, grazie agli accordi aziendali, alla costituzione del FOC, il fondo per l’occupazione e al fondo di sostegno al reddito.
Un comparto, quello del credito, sottolinea Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, che anche in momenti di crisi ha saputo dare prova di grande solidarietà, grazie alla dialettica della negoziazione, instauratasi tra il governo e le parti sociali, e soprattutto grazie alla professionalità dei lavoratori.
Restano comunque ancora dei nodi da affrontare e risolvere, soprattutto nel rapporto tra mondo bancario e sistema produttivo. Il problema, secondo il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, è quello di garantire nel miglior modo possibile il credito destinato agli investimenti. Uno dei fattori della crisi economica italiana è stato proprio il loro tracollo, con una riduzione che, nel decennio 2007-2017, è stata del 25%, per un totale di 100 miliardi.
Naturalmente in questo campo non ci sono solo le banche come unico attore, ma anche, sottolinea la Camusso, numerosi fondi, di molti dei quali non si conosce l’effettiva natura. Ecco perché è ancor di più urgente sorreggere quella finanza che sostiene la ripresa economica. Resta comunque la difficoltà, almeno nel nostro paese, di far dialogare, nel miglior modo possibile, il tessuto produttivo con quello bancario. Molto spesso le banche, prosegue il leader della Cgil, mal capiscono le esigenze della piccola impresa, che costruisce la spina dorsale della nostra economia. Ma, dall’altra parte, troviamo tutta una serie di aziende a conduzione familiare poco capitalizzate e distanti dal comparto bancario. Bisogna dunque rimettere in piedi una relazione che possa funzionare al meglio, in modo bidirezionale e non univoco.
Altro tema al centro del dibattito è rappresentato dall’innovazione, che si deve declinare in una duplice veste: da una parte come salvaguardia e valorizzazione del patrimonio umano, e, dall’altra, come introduzione di effettivi cambiamenti tecnologici. La logica sin qui seguita è stata quella di una compressione degli organici, come primo intervento per gestire le crisi. Tuttavia, sottolinea Patuelli, bisogna ripartire proprio da fattore umano, non solo per “rieducare”, nel suo complesso, il sistema bancario, ma anche per governare quel processo di innovazione tecnologica che non potra’ comunque mai prescindere dalla “mano” umana.
La riflessione sul futuro del sistema bancario rappresenta un aspetto strettamente collegato con quello della ripresa economica. Infatti, l’attività delle banche riveste un peso sistemico e d’interesse pubblico. Un sistema del credito sano costruisce un primo posso decisivo verso un mercato del lavoro altrettanto sin salute. I numeri parlano di una crescita che dovrebbe attestarsi ad un + 1,5%, anche se il livello del Pil italiano è inferiore di 7 punti rispetto al periodo pre crisi, e di disoccupati sono circa 3 mln, metà dei quali ha meno di 34 anni.
Il sentiero da imboccare, sottolinea Camusso, è quello non percorrere esclusivamente la via degli incentivi, che rappresentano uno strumento momentaneo e non strutturale, con il quale si sono avuti pochi risultati rispetto alle grandi risorse impegnate, per puntare maggiormente sugli investimenti: capaci non solo di creare più lavoro, ma di creare anche un lavoro di qualità, che non sia vittima della precarizzazione e di livelli salariali troppo bassi, dove i percorsi professionali dei giovani non siano mortificati, ma anzi tutelati e incentivati.
Incentivi e investimenti, ha evidenziato in chiusura il ministro Padoan, sono due “gambe” per trovare una soluzione al medesimo problema, quello dell’occupazione. È molto difficile, ha detto, pensare di dar vita a degli incentivi strutturali per lungo tempo, considerati i vincoli di bilancio. Ma è altresì vero che per molto tempo si è fatta sentire la mancanza degli investimenti, anche quelli pubblici, che risentono della lentezza decisionale della politica. Gli incentivi sono un primo passo, un primo stimolo per rimettere in moto qualcosa di stagnante. Quel che è certo, conclude, è che “una politica economica che non sia in grado di creare nuova occupazione, è una politica che può dirsi fallita”.
Tommaso Nutarelli