I punti significativi della bozza del documento presentato ieri sera dalle imprese ai sindacati:
Salari – Per tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni i contratti nazionali saranno rinnovati per la parte economica “entro i limiti previsti dai principi vigenti”, cioè in base all’indicatore previsionale d’inflazione Ipca, ma “tenendo conto delle tendenze generali dell’economia”.
La dinamica dei salari, dunque, continuerebbe a essere regolata dall’Ipca. Vengono tuttavia introdotti riferimenti al contesto economico e occupazionale, al raffronto competitivo e all’andamento del settore che saranno oggetto di esame congiunto nelle trattative contrattuali. I contratti nazionali potranno poi decidere che una quota degli aumenti salariali sia destinata all’incremento del salario di produttività definito dalla contrattazione di secondo livello. “Tuttavia – si legge nel testo discusso ieri e, quindi, non ancora definitivo – qualora non vi fosse o laddove venisse meno la contrattazione di secondo livello tale quota resterebbe parte integrante dei trattamenti comuni a tutti i lavoratori definiti dal contratto nazionale”.
Fonti vicine al dossier hanno riferito che “non ha nessun senso parlare di diminuzione dei salari. Al contrario – è stato sottolineato in merito all’opposizione della Cgil – questa misura renderà possibile che un numero maggiore di lavoratori possano realizzare la contrattazione di secondo livello e avere un incremento di salario, anche per effetto della detassazione del salario di produttività al 10%”.
Rappresentanza – Piena applicazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 definendo entro il 31 dicembre un regolamento per la misurazione della rappresentanza sindacale, la disciplina delle Rsu, l’effettività delle intese sottoscritte, il rispetto delle clausole di tregua sindacale, di prevenzione e risoluzione delle controversie collettive, ed eventuali meccanismi sanzionatori sulle organizzazioni inadempienti.
Fonti vicine al dossier hanno evidenziato che “è del tutto fuori luogo parlare di affossamento dell’intesa del 28 giugno. Al contrario – hanno aggiunto riferendosi alle perplessità mostrate dalla Cgil – si vuole finalmente definire per via pattizia, e non imposizione legislativa, le regole che tutti dovranno rispettare nelle relazioni sindacali”.
Autonomia delle parti su mansioni-diritti – Le parti sociali chiedono a governo e Parlamento di intervenire attraverso una “coerente evoluzione legislativa” affinché la contrattazione collettiva ai fini di una maggiore produttività possa esercitarsi con “maggiore autonomia” anche su materie oggi regolate in via esclusiva dalla legge, quali l’equivalenza delle mansioni e l’integrazione delle competenze la ridefinizione dei sistemi di orari, la compatibilità dell’impiego delle nuove tecnologie con la tutela dei diritti dei lavoratori.
Delega partecipazione – Le parti sociali chiedono al governo un “esame preventivo” sui decreti legislativi attuativi della delega sulla partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa, di rafforzare lo strumento della formazione “in funzione di una maggiore occupabilità delle persone – si legge – e incentivazione del welfare contrattuale”.
Mercato del lavoro – Sul mercato del lavoro e le misure di solidarietà intergenerazionale l’intesa tra le parti sociali sulla produttività prevede di “favorire la ricollocazione dei lavoratori cassintegrati e disoccupati e il part-time per i lavoratori anziani, richiedendo adeguata copertura contributiva, e ove possibile l’assunzione in parallelo di giovani”.