Charles de Villers tentò di spiegare Kant a Napoleone. Il breve scritto, poi dato in stampa nel 1801, “è lo schizzo, appena abbozzato, che mi è toccato fare per Bonaparte, in fretta e furia e quasi come si trattasse di un ordine. Il primo console di tutta l’Europa ha pochissimo tempo da perdere e non mi hanno concesso che quattro pagine per spiegargli di che si tratta e quattro ore per pensarci”. Il piccolo capolavoro, un gioiello di sintesi, ora ha i caratteri editoriali di Morcelliana. Un libricino che può essere portato in tasca e letto, e riletto, in ogni momento. Come ammirare di continuo una minuscola opera d’arte, imprevedibile e sorprendente connubio tra la potenza analitica del filosofo di Konigsberg e l’ansia didattica del letterato che se ne fece interprete e ambasciatore.
Villers, come spiegano nella chiara e dotta prefazione Francesca Botticchio e Renato Pettoello, era un Giano Bifronte, parola di Goethe, nato in Francia ma con lo sguardo rivolto verso la Germania. Un mediatore di culture, un utopista che credeva nel dialogo, nella comprensione, nell’umano, comune, sentire al di sopra dei confini. Un cosmopolita ante litteram. Un costruttore di ponti. Un illuso. Morì, ricordano i due curatori, malato e amareggiato il 29 febbraio del 1815. Così come gli ultimi giorni di vita del suo nume furono segnati dalla totale scomparsa della prometeica capacità di ragionamento. Il Michelangelo del pensiero lasciò questa vita demente e incapace di intendere e di volere.
Non si sa se l’Imperatore lesse lo scritto da lui stesso richiesto e, nel caso, quale idea si fosse fatta e se in qualche modo il suo operare sia stato influenzato dalle pillole di pensiero kantiano. Di certo i cannoni continuarono a tuonare, le nazioni invece di alleggerire le frontiere le alzarono sempre più alte, le guerre da continentali sono diventate mondiali. La forza continua a prevalere sulla Ragione, pratica o pura che sia, e il potere sulla critica del giudizio.
Qui sta il fallimento di colui che arrivò a sognare la pace perpetua. E qui sta l’inanità dello sforzo di Villers per rendere accessibile il mastodontico edificio ideale forgiato per rispondere a tre essenziali domande: “Che cosa posso sapere?”, “Che cosa debbo fare?”, “Che cosa mi è lecito sperare?”.
Viene da dire che almeno Napoleone fu incuriosito da queste teorie. Oggi è immaginabile che Donald Trump chieda un tweet che gli spieghi Kant? E ci sarebbe qualcuno capace e disposto a farlo? Con 280 battute si può scatenare un nuovo conflitto ma per ragionare su se stessi, sulla conoscenza e sull’intelletto, bisogna fermarsi un attimo. E respirare.
Il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.
Marco Cianca