Italia maglia nera per la partecipazione delle donne all’economia e per le opportunità a loro riservate.
Il nostro Paese è scivolato, nella classifica stilata dal rapporto Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum, al 101esimo posto su 135, a distanza macroscopica da paesi come il Burundi, il Mozambico, l’Uruguay e la Thailandia, solo per citarne alcuni. E peggio di noi hanno fatto solo Cile, Messico, Bangladesh e pochi altri paesi. Un quadro che risulta in buona parte confermato, seppure con alcuni segnali positivi, dalla fotografia sul lavoro delle donne in Italia scattata in occasione del convegno promosso dal Centro studi Progetto Donna in collaborazione con Abbott dal titolo “Donne al lavoro tre mosse vincenti. Pari opportunità, conciliazione dei tempi, nuovi modelli organizzativi”.
Dai dati illustrati Antonietta Mundo dell’Inps, sul lavoro delle donne in Italia, emerge che solo un terzo della popolazione femminile fa parte della forza lavoro, mentre degli uomini ne fa parte la metà. Eppure qualcosa sta cambiando: si osserva un incremento tendenziale dello 0,4% nell’occupazione femminile e nel contempo diminuisce lievemente l’occupazione maschile, tuttavia va sottolineato che l’82% dei lavoratori a tempo parziale è rappresentato da donne.
Il rapporto Global Gender Gap 2012 punta il dito sul nostro Paese in particolare riguardo alla differenza di salario percepito da uomini e donne in Italia. I dati Inps, infatti, registrano per lavoratori dipendenti del settore privato una retribuzione annua media di 21.678 euro lordi per le donne rispetto ai 30.246 euro per gli uomini. Il lavoro femminile appare concentrato nelle posizioni basse e intermedie, le donne sono il 57% degli impiegati e la rappresentanza femminile diminuisce nelle posizioni più elevate.
Segnali positivi, tuttavia, si vanno evidenziando: i dati Inps rilevano nel triennio 2009-2011 una crescita delle donne quadro (+8,3%) e delle donne dirigenti (+ 4,4%), con un più accentuato incremento di quest’ultime in particolare nei settori credito, assicurazioni e servizi. Si riscontra anche un aumento delle operaie (+ 3,1%) in controtendenza rispetto agli uomini.
Quanto alle reali opportunità di carriera un caso emblematico è fornito dallo stesso inps, istituto che conta 26.500 dipendenti di cui il 57,6% donne. Dall’analisi delle qualifiche di entrata e di uscita risulta una possibilità di carriera in larga parte analoga per uomini e donne nel passaggio dal ruolo esecutivo a quello di quadro. Tuttavia, nelle posizioni di dirigenti e professionisti, per i quali non sono previsti avanzamenti di qualifica, sono assunti più uomini (60%) che donne (40%).
se si considerano poi le pensioni delle donne si possono ricavare informazioni interessanti che ci aiutano a delineare un quadro della situazione lavorativa femminile nel passato. Un primo dato significativo che emerge è la ridotta anzianità contributiva delle donne.
Nel privato una pensionata su due ha meno di 20 anni di contribuzione. Nel pubblico il 40% delle donne hanno più di 30 anni di anzianità contributiva. Le donne rappresentano il 47% dei pensionati, ma percepiscono il 34% dell’importo complessivo; l’80% delle pensioni integrate al minimo sono erogate alle donne.
Una pensionata su tre prende meno di mille euro al mese. Più bassi in generale gli importi percepiti: ad esempio nel pubblico la pensione media per le donne è pari a 18.400 euro l’anno lordi, contro i 26.900 euro degli uomini. (LF)