Sono 6,7 milioni le persone in Italia in grave difficoltà economica, cioè coloro che non sono in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro o non possono riscaldare adeguatamente casa o sono in arretrato con i pagamenti dell’abitazione o non riescono a fare un pasto a base di proteine ogni due giorni. E’ quanto emerge dal primo Rapporto sul benessere equo e sostenibile, Bes 2013, presentato dall’Istat in collaborazione con il Cnel, su una serie di indicatori che si affiancano al Pil per misurare il benessere di un paese.
Dal rapporto emerge che in un solo anno, nel 2011, il dato sugli individui in grave difficoltà è peggiorato decisamente passando dal 6,9% della popolazione pari a 4,2 milioni di persone a 6,7 milioni pari all’11,1%, con un incremento di 4,2 punti percentuali. Cresce anche il rischio povertà: calcolato sul reddito del 2010 nel Centro tale rischio è passato dal 13,6% al 15,1%, e nel Mezzogiorno dal 31% al 34,5%.
La crisi ha fortemente intaccato il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Il reddito disponibile in termini reali, secondo quanto si legge nel rapporto, si è ridotto in 4 anni, dal 2007 al 2011 del 5%, portando molti a intaccare i risparmi per far fronte alle esigenze, risparmiano meno o addirittura indebitandosi: la quota di persone in famiglie che hanno ricevuto aiuti in denaro o in natura da parenti non coabitanti, amici, istituzioni o altri è passata dal 15,3% del 2010 al 18,8% del 2011 e, nei primi nove mesi del 2012 la quota delle famiglie indebitate è passata dal 2,3% al 6,5%.
Alcuni segmenti di popolazione e certe zone del paese, rileva l’Istat, sono stati particolarmente colpiti sia dalla riduzione dei posti di lavoro (la percentuale degli individui in famiglie senza occupati è passata, tra il 2007 e il 2011, dal 5,1% al 7,2%, con una dinamica più accentuata tra gli under 25, per i quali è cresciuta dal 5,4% all’8% e nel Mezzogiorno, dove dal 9,9% si è passati al 13,5%), sia dalla diminuzione del potere d’acquisto, che tra il 2007 e il 2011 si è ridotto del 5%. Questo si è tradotto in un’ulteriore riduzione della già scarsa mobilità sociale.
Grave la situazione occupazionale di giovani e donne. Il rapporto, infatti, evidenzia che l’Italia è il paese europeo che, dopo la Spagna, presenta la più forte esclusione dal lavoro dei giovani e l’unico con bassissime opportunità di occupazione regolare. Solo poco più di tre giovani su dieci lavorano con un tasso di occupazione del 33,8% tra i 20-24enni. Insieme ai giovani a essere penalizzate sono anche le donne e gli abitanti del Sud con tassi di occupazione del 49,9% e del 47,8% rispettivamente.
La crisi inoltre ha molto ridotto le possibilità di stabilizzazione dei contratti temporanei, soprattutto per i giovani (dal 25,7% del 2008 al 20,9% del 2011). Anche la presenza di lavoratori con bassa remunerazione (10,5%) e di occupati irregolari (10,3%) rimane sostanzialmente stabile negli ultimi anni, mentre cresce la percentuale di lavoratori sovra-istruiti rispetto alle attività svolte (21,1% nel 2010).
Anche se l’asimmetria del lavoro familiare a sfavore delle donne è in lenta riduzione, la percentuale di donne con un sovraccarico di ore dedicate al lavoro (retribuito o meno) non diminuisce (39,2% nel 2008), così come non aumenta il rapporto tra il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare e quello delle donne senza figli, stabile al 72%. Il 64% delle donne lavora più di 60 ore a settimana compreso il lavoro cosiddetto di cura. Le condizioni peggiori delle donne meridionali fanno supporre che ad alimentare l’insoddisfazione sia anche la carenza di servizi.
La crisi economica degli ultimi cinque anni sta mostrando i limiti del modello sociale italiano in cui la famiglia ha funzionato da ammortizzatore sociale, “accentuando le disuguaglianze tra classi sociali, le profonde differenze territoriali e riducendo ulteriormente la già scarsa mobilità sociale”.
Una delle disuguaglianza che la crisi sta accentuando di più è quella del reddito: “il rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero dal 5,2 del 2008 sale al 5,6 del 2011”, rileva l’Istat. (FRN)