Come molti di coloro che hanno avuto la fortuna di frequentare Bruno Trentin da vicino, sono rimasto estremamente colpito dalla lettura dei suoi Diari (FdV, Ediesse, 2017, a cura di Iginio Ariemma). Per la vastità culturale, la lucidità dell’analisi, la severità che usa con se stesso e con gli altri. Non c’è in quei diari (in francese “journal intime” suona già diverso) il Trentin ironico, simpatico, didascalico, sempre sicuro di sé, che abbiamo conosciuto e ricordiamo con piacere.
Per reazione ho cominciato a buttar giù i tanti episodi con lui che mi sono tornati alla mente: alcuni di lavoro, altri più personali. Ne sono uscite molte pagine. Metto qui di seguito solo tre piccole testimonianze: della sua lucidità, della sua simpatia, della sua lunga storia. Il testo completo di questa mia testimonianza uscirà nel prossimo Annuario del Lavoro 2017.
Sono rimasto sorpreso che nei Diari 1988-1994 di Bruno Trentin (a cura di Iginio Ariemma, FdV Ediesse, 2017) la vicenda del 10 dicembre 1991 sulla scala mobile sia trattata solo en passant. Quei giorni di sole, a Roma, con la temperatura sotto lo zero sono rimasti ben vivi nella mia memoria per diverse ragioni. Intanto perché penso che il primo attacco serio alla scala mobile sia stato fatto in quel momento. Secondo, perché Trentin è stato l’unico a intuirlo dell’intera delegazione sindacale e infine perché io, che ero uno dei ragazzi di bottega di quella trattativa, non avevo capito niente di quello che stava succedendo…
Bivaccavamo da tempo al Ministero dell’economia in Via XX Settembre: nello studio del Ministro Cirino Pomicino le delegazioni sindacali Cgil Cisl Uil e, in qualche altra stanza, Confindustria. C’era un clima di generale abbandono perché erano annunciate le dimissioni del Governo Andreotti e quindi la trattativa sarebbe stata sospesa. Quando arrivò il testo confezionato dagli uffici del ministro (almeno così pensavo io) gli demmo un’occhiata e sembrava effettivamente un comunicato che rinviava tutto a tempi migliori. Lo rilessi e lo portai a Trentin dicendo che a me pareva andasse bene. In quel momento entrava la delegazione di Confindustria per sedersi sui divani di fronte a noi.
Bruno scorse il testo in silenzio poi alzò gli occhi e disse gelido a Pininfarina: “Presidente, la sfido a non pagare la contingenza a maggio, se ne è capace…”. Io sbianco e capisco di aver frainteso il testo. Bruno lo butta sul tavolo e la scena finisce lì, senza risposta di Pininfarina e degli altri dirigenti industriali, che non si difendono da quell’accusa così netta.
Confindustria uscì ed entrarono i giornalisti. Improvvisammo una conferenza stampa in cui dicemmo che non c’era nessun accordo e che la trattativa era rinviata a quando ci fosse il nuovo Governo. I giornalisti ci lasciarono e noi iniziavamo a prepararci per smobilitare. Non avevamo ancora finito di raccogliere fogli, quaderni e tutto il resto che torna indietro Massimo Mascini (il Sole24ore) e ci avverte che Cirino Pomicino sta dicendo in una sua conferenza stampa che la scala mobile è praticamente sospesa dato che non c’è stato accordo tra le parti. Noi restammo di sasso, giudicando le parole del Ministro un tipico gioco delle tre carte. Trentin non reagì. Cominciai a pensare le cose peggiori di quello che era successo (e anche delle mie capacità di interpretare le dinamiche sindacali). Uscimmo dal palazzo del Ministero che era ancora pomeriggio, passammo accanto alle fontane con i getti d’acqua ghiacciati e tornammo in Cgil. Non ricordo reazioni o commenti di Cisl e Uil (e me ne dispiace).
……….
Il vero esame di ammissione non è avvenuto su materie sindacali e nemmeno in una delle lunghe e fumose riunioni cui partecipavo. Al contrario, tutto è accaduto in pochi minuti: scelta della materia, domande, risposte e giudizio finale.
Una mattina sono arrivato nel corridoio al pian terreno di Corso d’Italia 25 e ho chiamato l’ascensore per salire in ufficio al secondo piano, come facevo tutti i giorni. L’ascensore veniva dal piano sotto (il -1) e quando mi si è aperto davanti c’era dentro Bruno Trentin. Ci conoscevamo già di vista, avevamo partecipato insieme a qualche seminario sulla contrattazione, ma niente di più. E la sua presenza ancora mi intimoriva: come non ha mai smesso di fare… Elegante come sempre, la pesante borsa di pelle nella mano destra, un panciotto sotto la giacca.
L’ho salutato con un “Buongiorno” e lui ha risposto serio nello stesso modo. Poi l’ascensore ha cominciato a salire. Tutto è durato il tempo per arrivare al 4° piano, dove era il suo ufficio di segretario generale.
Mentre l’ascensore sale lui mi guarda e dice: “Cos’è quella spilla che hai sulla giacca?” Io rispondo: “È una spilla di Tintin, il fumetto…”, sapendo che mi muovevo in un terreno rischioso. Lui fa segno di sì con la testa, mentre l’ascensore continua a salire e mi chiede: “E l’hai letto Tintin?” Io rispondo di sì. “Ma gli hai letti tutti?” Io rispondo “Sì, tutti”. E lui insiste: “Hai letto anche Les Cigares du Pharaon?” Io comincio a sudare e rispondo che sì, ho letto anche quello… L’ascensore rallenta, siamo al quarto piano: io non ho avuto il coraggio di scendere al secondo. Trentin mi fa la domanda finale: “E ti ricordi come si chiama la prima mummia a destra nella copertina?” Le porte si aprono mentre io rispondo: “Sì, si chiama come te…” Bruno sorride, mi dice: “Bravo” ed esce. Da quel giorno mi sono sentito in Cgil nazionale a tutti gli effetti.
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L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato a Ferrara, nei primi anni 2000. Trentin, parlamentare europeo, aveva accettato il mio invito a tenere una conferenza su “Lavoro ed Europa” nel Teatro Comunale della città di cui da qualche anno ero diventato sindaco. Arrivò nel mio bell’ufficio per un caffè, chiacchierammo insieme per una mezz’ora. Mi raccontò di quanto fosse frustrante occuparsi di normative tecniche sull’alimentazione, sui detersivi, e altre materie “strategiche” di questo tipo… E della follia per cui ogni settimana la sede parlamentare europea si trasferisce armi e bagagli da Bruxelles a Strasburgo e viceversa. Era allegro e ironico. Poi ci avviammo a piedi verso il Teatro. A Ferrara le distanze sono brevi: basta scendere dal Comune, attraversare Piazza Savonarola, fiancheggiare il Castello Estense e si è arrivati.
Bruno camminava in silenzio al mio fianco, un po’ curvo sulla sua borsa sempre pesantissima. Guardava in giro: a sinistra il muretto del castello, poi le case dall’altra parte della strada, i negozi, la farmacia. Abbassava la testa e continuava a camminare. Dopo un po’ si è fermato, si è girato verso di me e ha detto: “L’ultima volta che sono passato di qui… era pieno di morti, stesi a terra… una vendetta tra fascisti.” Sono rimasto di stucco. “Ci sono le lapidi… siamo in Corso Martiri della Libertà, Bruno. È stata una strage repubblichina… per rappresaglia. Hanno ammazzato ebrei e antifascisti”. Ma lui scuoteva la testa: “No, è stata una vendetta interna al partito fascista… si sono sparati fra loro, fidati”.Ho cercato di cambiare discorso perché sapevo che quando Trentin prendeva una direzione era difficile fargliela modificare. Certo che c’era stata una specie di congiura interna, tra fascisti, per togliere di mezzo il federale Ghisellini. O almeno così si è detto da sempre. E una delle vittime era un senatore del regno. Però si trattava di cittadini innocenti, trucidati a freddo una notte del novembre ’43 (anche se Bassani scrive “dicembre”, chissà perché). Lasciati a terra molte ore, per terrorizzare la città. Poi ho fatto qualche conto a mente e gli ho chiesto: “Ma tu cosa ci facevi qui, Bruno? Dovevi essere un ragazzino nel ‘43… al massimo 17 anni, se non sbaglio”. E lui, in maniera molto spiccia e ricominciando a camminare: “Ero a Padova e dovevo andare a Bologna. Sono passato di qui proprio quella mattina.” Sottinteso: “Ero già nelle brigate partigiane e avevo una missione da compiere.”