Il diario del lavoro ha intervistato Patrizia Ordasso, responsabile affari sindacali e welfare di Intesa Sanpaolo, in merito all’introduzione della settimana corta ed altre novità sull’organizzazione del lavoro, anche se dopo mesi di trattativa non si è giunti ad un accordo con i sindacati di categoria.
Ordasso, le vostre relazioni industriali sono sempre state solide, che cosa è successo con i sindacati per arrivare a questo mancato accordo?
Rispettiamo ovviamente la decisione dei sindacati. Da quanto è nata Intesa Sanpaolo, quindi dal 1° gennaio 2007, sono stati firmati circa 1.200 accordi sindacali. Questa è la prima volta in cui il confronto con le Organizzazioni Sindacali, pur svolgendosi in maniera proficua e costruttiva, non ha trovato una condivisione sul complesso dei contenuti. Siamo in un momento particolare: il contratto nazionale è scaduto nel 2022 e sono in corso le trattative per il rinnovo. Le ultime novità che sono state introdotte nell’organizzazione del lavoro rientrano comunque nell’ambito delle disposizioni del contratto nazionale, che consente una contrattazione di secondo livello e quindi l’adattabilità delle norme a vari contesti operativi e organizzativi aziendali, anche per le diverse dimensioni degli istituti bancari.
In assenza di accordo sindacale che cosa succede?
Dal 1° gennaio 2023 le misure introdotte da Intesa Sanpaolo, che si aggiungono a molte altre già ricomprese nella contrattazione di Gruppo, sono disponibili per tutte le persone operanti in Italia. In caso di mancata adesione da parte dei dipendenti rimane attiva l’autorizzazione al lavoro flessibile precedentemente concessa e le relative regole come previsto nei due accordi sindacali collettivi firmati nel 2014 e nel 2015 che hanno introdotto lo smart working nel Gruppo. Lo abbiamo chiamato lavoro flessibile, nel senso che è possibile per il lavoratore operare da casa o in sedi aziendali prenotabili, in modo da dare la garanzia che in ufficio si abbia sempre a disposizione la postazione di lavoro, oppure si possa scegliere di lavorare dai clienti.
In che senso lavoro flessibile da cliente?
Faccio un esempio. Intesa Sanpaolo ha una Direzione Impact, un tempo Banca Prossima, che opera con enti del terzo settore e ha meno uffici sul territorio nazionale rispetto al Gruppo; di conseguenza, le modalità di lavoro erano differenti e a volte i colleghi si fermavano direttamente dai clienti. Quando siamo partiti nel 2015 era questa la modalità. Quell’accordo è ancora valido e ha un solo vincolo, cioè un massimo di 8 giorni di lavoro da casa al mese. In questi due anni di pandemia inevitabilmente è stato superato quel limite. Da inizio 2023 saremmo dovuti tornare a quell’accordo con il vincolo dei giorni, dato che tutta la normativa emergenziale relativa al lavoro agile è terminata a fine 2022.
E poi cosa è successo?
L’accordo sindacale era stato fatto prima dell’introduzione della legge sul lavoro agile e non volevamo rientrare nella legislazione del telelavoro, perché avrebbe comportato una serie di adempimenti molto onerosi a svantaggio di dipendenti e azienda. Quindi siamo partiti in anticipo, anche per evitare di tornare il primo gennaio con il regime ordinario. Abbiamo proposto modalità di lavoro innovativo per dare la possibilità alle persone di organizzarsi al meglio il lavoro da casa.
Come mai questa scelta?
Perché l’esperienza che abbiamo maturato in questi due anni è stata positiva e ha fatto apprezzare sempre di più alle persone il lavoro ibrido, in parte in sede e in parte a casa. Abbiamo cercato di dare ai colleghi la possibilità di organizzarsi a seconda del bisogno: alcune attività si svolgono meglio da remoto, altre in presenza.
Cosa avete proposto ai sindacati?
La possibilità di lavorare da casa per un massimo di 120 giorni annui, senza limiti mensili, su base volontaria e compatibilmente con le esigenze aziendali, ma con alcuni vincoli.
Vincoli per evitare abusi?
Abbiamo cercato di evitare la possibilità di lavorare sei mesi in ufficio e sei mesi a casa, per individuare un migliore equilibrio. Anche perché sappiamo che in alcuni periodi dell’anno ci possono essere esigenze diverse, ad esempio i figli a casa da scuola o attività aziendali con una ciclicità che richiede una maggiore presenza in ufficio. Quindi abbiamo stabilito come limite massimo 30 giorni consecutivi di lavoro agile dopo i quali è necessario il rientro “in presenza” per almeno un giorno. Non ci sono invece limiti nel caso di lavoro da remoto da hub o da cliente.
Perché proprio 30 giorni?
Abbiamo imparato dall’esperienza degli ultimi due anni, in cui per alcuni periodi c’è stata la possibilità per i lavoratori di spostarsi e di gestire diversamente in base alle situazioni familiari; abbiamo quindi individuato il limite di 30 giorno consecutivi come un buon elemento di flessibilità. Inoltre, se si usufruisce di tutti i giorni consecutivamente, ne rimangono solo 90 giorni per 10 mesi. Ci è sembrato giusto un equilibrio.
Mentre il contratto nazionale cosa prevede?
Al momento il contratto nazionale prevede al massimo 10 giorni di lavoro agile al mese. Noi diamo 120 giorni, quindi in media 10 al mese, ma con la possibilità di aggregarli diversamente senza limiti mensili. È una soluzione più flessibile rispetto al contratto nazionale.
Questi giorni di smart working sono obbligatori o facoltativi?
Sempre su base volontaria.
Quindi non è detto che il lavoratore utilizzi tutte le giornate a disposizione, dato che non è obbligato dall’azienda a restare a casa.
Assolutamente no, è totalmente volontario.
Se è volontario allora perché il sindacato è rimasto sulle sue posizioni?
Questo dovete chiederlo al sindacato.
È inedito questo rifiuto del sindacato sull’auto-regolazione dei lavoratori, dato che in altri settori il sindacato ha spinto in direzione contraria.
Da marzo 2022 è stato chiesto un rientro minimo al 40%, quindi almeno due giorni a settimana. I colleghi si sono sempre organizzati bene e non ci sono stati problemi organizzativi. L’esperienza di questi due anni dimostra che i lavoratori sono in grado di organizzarsi e gestire le attività.
Il rientro minimo al 40% lo avete deciso per evitare “buchi” di presenza in sede?
E’ stato per prevedere un rientro graduale dopo mesi interamente a casa. La programmazione deve comunque essere compatibile con le esigenze tecniche – organizzative e produttive della Banca, ma il rientro al 40% era anche un modo per passare un messaggio: vogliamo che ci sia un giusto equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle dell’azienda che deve portare avanti le attività. Questo meccanismo esiste anche per le filiali, lo abbiamo già sperimentato a partire dal 2015 ma non era stato esteso per non creare problemi, innanzitutto garantire l’apertura al pubblico. Anche a garanzia dei colleghi, l’utilizzo di queste misure da parte di tutti non deve avere ripercussioni sull’operatività di un servizio pubblico essenziale.
Quindi con la pandemia siete riusciti, pur con il servizio al pubblico, a gestire una certa quota di smart working?
Si, considerando che i giorni medi di fruizione di smart dei lavoratori di filiale sono in numero inferiore rispetto ai lavoratori della sede centrale e delle aree di governance, data la presenza necessaria e l’apertura degli sportelli al pubblico, per evitare impatti sull’operatività.
Cosa intende per impatti sull’operatività?
Quello bancario è un servizio pubblico essenziale, come emerso anche durante la pandemia, se sorgono tensioni con i clienti purtroppo si riverberano negativamente anche sui colleghi. Quindi per cercare di gestire al meglio lo smart working, con l’obiettivo nel futuro di aumentarlo a tutto il personale delle filiali che voglia farlo, abbiamo avviato una sperimentazione su circa 200 filiali per garantire un diritto minimo di fruizione nel corso del mese a tutte le figure professionali.
Compresi i cassieri?
Si, per loro verranno individuate attività da svolgere in remoto, in modo tale che anche in filiale il lavoro agile sia possibile per tutti.
Per adesso quindi è una sperimentazione e poi a seconda di come prosegue vedrete se estenderla?
Esatto, adesso reputiamo sia gestibile in circa 200 filiali. Dobbiamo garantire un servizio pubblico essenziale, non possiamo permettere che si creino disservizi. Quindi faremo una sperimentazione in piccolo con l’obiettivo poi di provare a estenderlo, individuando tutti i necessari adeguamenti.
Sul diritto alla disconnessione il sindacato ha sollevato delle criticità, come la mancata individuazione di strumenti tecnici che permettano una reale disconnessione al termine del proprio orario di lavoro.
Esiste già una norma nel contratto nazionale che prescrive le regole generali. In merito alla disconnessione, la Banca, che rispetta le vigenti norme anche del CCNL, ha confermato la concreta fruizione di tale diritto da parte delle persone, non solo nel caso di utilizzo della settimana corta, ma ovviamente anche nel caso di lavoro con orario “tradizionale” e in smart working.
Intende che non c’è l’obbligo per tutti di collegarsi alla vostra rete?
Il lavoratore può decidere di svolgere da casa attività che non richiedono l’utilizzo del collegamento. Quindi di fatto non chiediamo il collegamento attivo e non abbiamo modo di sapere quante ore si è effettivamente lavorato. Dal 2021 abbiamo anche eliminato l’uso del badge in ufficio per la rilevazione delle presenze. L’obiettivo è creare un clima di fiducia con le persone della Banca che permetta di conciliare esigenze familiari e lavorative con soddisfazione di tutti.
Pagate lo straordinario anche durante lo smart-working?
Sì, con le stesse modalità autorizzative di quando si lavora in presenza
Come vi siete regolati sulla settimana corta?
Nel contratto nazionale la settimana corta da 36 ore su 4 giorni esiste dal 1999. Di fatto non è mai stata utilizzata, se non in casi rarissimi. Sulla base del contratto, possiamo disporre l’orario di lavoro su 4 giorni per 9 ore giornaliere o su 6 giorni per 6 ore, riducendo di un’ora e mezza l’orario lavorativo settimanale che è di 37 ore e mezzo.
Quindi quali sono gli elementi di novità che avete provato a introdurre?
Abbiamo introdotto il tema della volontarietà organizzativa, a patto che sia compatibile con le esigenze tecnico-organizzative e produttive della Banca. L’azienda cerca di contemperare la volontarietà dei colleghi di utilizzare queste misure, migliorative rispetto al quadro normativo vigente, con i profili organizzativi specifici della Banca, nonché con la gestione delle filiali e delle attività rivolte alla clientela, un aspetto organizzativamente molto più complesso rispetto alle strutture di governance. L’azienda non fa differenze tra colleghi, ma le attività svolte possono essere diverse e, come già successo durante la pandemia, richiedere una diversa organizzazione.
Per esempio?
Il collega esprime la sua preferenza alla settimana corta, il gestore del personale e il responsabile valutano in base alle attività che svolge se è compatibile o meno; dopo l’autorizzazione, la programmazione deve tenere comunque conto della compatibilità complessiva. Ad esempio, non è possibile che tutti i colleghi contemporaneamente chiedano lo stesso giorno di riposo, perché bisogna garantire una continuità di servizio.
In questi due anni avete dovuto “correggere” spesso il tiro dei lavoratori sulla scelta dell’orario di lavoro?
No, sono stati pochissimi i casi in cui abbiamo dovuto rivedere le programmazioni. Con la nuova organizzazione del lavoro abbiamo valutato di mantenere una discrezionalità aziendale, come già accade per il lavoro agile, in cui il collega inserisce la programmazione ma l’azienda può chiedere modifiche se emergono particolari necessità. La stessa logica l’abbiamo valutata per la settimana corta e per questo è stato deciso di avviare una sperimentazione anche nelle filiali.
Sulla sicurezza perché ci sono queste criticità in caso di settimana corta?
Se rimanesse una sola persona in filiale, per qualunque problema come un malore o l’arrivo di malintenzionati non ci sarebbe nessun altro ad intervenire. In filiale c’è un tema legato alla sicurezza diversi rispetto alle sedi centrali.
Avete discusso anche delle flessibilità di orario con il sindacato, un altro tema che non vi ha trovato d’accordo
La flessibilità di orario consente di iniziare a lavorare tra le 7 e le 10 – sia nel caso di lavoro in presenza che in caso di lavoro da remoto – con correlativo spostamento dell’orario di fine lavoro. Quindi il collega lavora sempre 7 ore e 30 ma può regolare le attività come preferisce. Questa proposta va incontro a chi ad esempio deve prendere i bambini a scuola o deve assistere un familiare e vuole organizzarsi la giornata in base alle proprie esigenze.
Forse il sindacato ha paura di eventuali abusi da parte dei capi, o più semplicemente che qualche lavoratore stakanovista si allunghi dopo il lavoro utilizzando le ore di pausa, con il risultato che si lavori più di quanto si dovrebbe.
Come società in generale, ma anche come imprese, stiamo andando sempre più verso un mondo del lavoro con caratteristiche individuali. Persone diverse per generazione, età, provenienza, caratteristiche personali, che svolgono mansioni anche molto distanti, hanno necessità diverse. Quindi bisogna cercare di essere più flessibili andare incontro alle esigenze di tutti, lavoratori e azienda.
Le relazioni industriali, soprattutto nel vostro settore, sono forti e consolidate, su molti temi all’avanguardia e da apripista rispetto ai tempi e gli altri settori. Pensa che possiate reggere, insieme alle parti sociali, il peso di questi cambiamenti nel mondo del lavoro?
Intesa Sanpaolo, in considerazione dei cambiamenti del mondo del lavoro in generale e del settore bancario-finanziario, negli ultimi anni si è sempre posta all’avanguardia in materia di organizzazione del lavoro per anticipare i cambiamenti ma sempre in linea con il suo impegno costante per il benessere e l’inclusione delle persone. Le misure introdotte, che si aggiungono a molte altre già ricomprese nella contrattazione di Gruppo, sono pensate per andare incontro alle esigenze di conciliare vita professionale e lavorativa delle persone con l’obiettivo di favorire il benessere di tutti senza diminuire la produttività dell’azienda.
Emanuele Ghiani