Tra i vari piani di azione aperti dal Governo Renzi uno dei più urgenti è quello su Industria 4.0. Il piano nazionale presentato dal Ministro Calenda lo scorso 21 settembre è entrato di fatto nella manovra 2017, che contiene una serie di provvedimenti che hanno la finalità di avviarne la realizzazione. In primo luogo va sottolineato lo sforzo finanziario, ingente nonostante i vincoli di bilancio, con un impegno finanziario di circa 13 miliardi di euro di investimenti pubblici in innovazione e incentivi fiscali (superammortamento, iperammortamento, nuova Sabatini) per i prossimi7 anni e uníulteriore dote di 10 miliardi di euro per quelle che nel piano vengono definite “direttrici di accompagnamento” ovvero: salario produttività (1.3 miliardi nel quadriennio 2017-20), diffusione della banda ultralarga tra le imprese (6.7 miliardi già stanziati) rifinanziamento del Fondo garanzia per le PMI (900milioni), catene digitali e internazionalizzazione del Made in Italy (100 milioni), contratto di sviluppo con focus su industria 4.0 (1miliardo).
Un capitolo a sé viene dedicato alla ricerca, con la costituzione di innovation hub e competence center inseriti in una struttura “a rete” che mira a valorizzare le eccellenze del nostro sistema universitario.
Proprio su questíultimo aspetto abbiamo voluto puntare líattenzione nel Libro Verde che la Fim ha realizzato insieme a Adapt. Il piano Calenda si prefigge líobiettivo di abbandonare la vecchia idea di politica industriale dirigistica orientata da finanziamenti diretti, bandi e indicazioni specifiche di tecnologie e beni strumentali sui quali investire, preferendo un’impostazione caratterizzata da neutralità tecnologica e da incentivi automatici facilmente accessibili senza intermediazioni burocratiche e/o politiche. Viceversa affida al Governo un ruolo di coordinamento, razionalizzazione, semplificazione lasciando lo spazio agli stakeholders, dei quali si tenta di stimolare l’azione o líinvestimento attraverso meccanismi di co-responsabilizzazione, condividendo rischi e opportunità, per moltiplicare l’efficacia delle risorse messe a disposizione dal Governo. Líimpresa resta al cuore del piano, ma si inserisce in un ecosistema fisico e immateriale dove fondamentale è il lavoro di squadra dei diversi attori chiamati in gioco come le università, i centri di ricerca, le start-up.
Da tempo, come Fim, stiamo parlando della necessità di ragionare di un ecosistema 4.0 poiché la Quarta Rivoluzione Industriale non nasce e finisce nell’industria, anzi questa ne può trarre beneficio reale solo se inserita in un contesto più ampio e interconnesso, con il coinvolgimento di tutti gli attori in campo.
La formazione rappresenta sicuramente la chiave di volta di tutto il sistema, tanto che nellíultimo contratto dei metalmeccanici abbiamo fatto una dura battaglia per ottenerne il riconoscimento come diritto soggettivo. Come abbiamo voluto finalmente puntare sulla partecipazione.
Nel paradigma di Industria 4.0 l’azienda infatti non è più un luogo di conflitto ma di partecipazione, dove il lavoratore ha un ruolo attivo nelle scelte strategiche; una scelta che trova la sua concretizzazione normativa nel nuovo contratto, che riserva inoltre grande spazio alla contrattazione decentrata. Formazione, partecipazione e contrattazione decentrata: sono queste le chiavi per la crescita delle competenze, garanzia di un maggiore coinvolgimento dei lavoratori.
Restano però da chiarire e potenziare nel Piano alcuni aspetti, come quello relativo al ruolo delle piccole e medie imprese, che rischiano, se non messe nelle giuste condizioni, di rimanere indietro rispetto ai grandi players. Bisogna invece coinvolgerle valorizzandone punti di forza come l’“agilità” organizzativa e decisionale.
In questa prospettiva sarebbe quindi opportuno ripensare la normativa dei contratti di rete, che oggi esclude dalle aggregazioni soggetti non imprenditoriali. Invece l’apporto delle università e dei centri privati di ricerca potrebbe essere quanto mai utile per aumentare il bagaglio di conoscenze a disposizione.
E’ inoltre importante che la cosiddetta “cabina di regia” non si limiti a compiti di facciata, come per altre iniziative del genere in passato, ma assuma un ruolo propulsivo creando le condizioni per costruire gruppi di lavoro di rete con i soggetti di maggiore prossimità di tutti gli ambiti.
Più in dettaglio, l’individuazione dei competence center non può avvenire solo sulla base del criterio territoriale né può esaurirsi con l’indicazione di alcune università di eccellenza, quali indubbiamente sono quelle inserite fin dall’inizio nel Piano (Università di Bologna, Politecnici di Milano, Torino, Bari, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, le Università del Veneto e Federico II di Napoli) così come quelle che si sono aggiunte in un secondo momento. Teniamo conto che è in gran parte su queste realtà che nei prossimi anni si concentreranno gli investimenti in ricerca e sviluppo, anche quelli esteri, se saremo in grado di attrarli.
Ed è per le stesse ragioni che va definito meglio l’ambito di riferimento o di produzione, la governance, le modalità di interlocuzione con l’ambiente circostante.
Un ulteriore spunto di riflessione riguarda il potenziamento dei dottorati industriali. Una decisione positiva, che per essere efficace, dovrà però intervenire sui criteri di accreditamento, in particolare aprendo ad una diversa composizione dei collegi docenti, sui contenuti dei percorsi formativi, sui criteri di valutazione delle tesi di dottorato, ancora troppo accademici.
Non è ancora chiaro se vi sia intenzione di avviare un profondo rilancio dellíapprendistato scolastico e universitario, anche se è questo l’unico strumento in grado di garantire competenze utili ai processi di Industria 4.0: l’esempio tedesco lo dimostra a sufficienza.
Con il “Libro Verde” siamo partiti dall’organizzazione dei Competence Center e, più in generale, dalla gestione della transizione verso un nuovo modello produttivo che impatterà sul lavoro e sulle relazioni industriali. Se líItalia vuole mantenere la seconda piazza tra le potenze industriali europee, è dunque evidente che dovrà puntare le sue carte sul sistema formativo e su quella parte del tessuto imprenditoriale che in questi anni ha fatto dellíinnovazione tecnologica e organizzativa il suo punto di forza. Lo spazio cíè, ma serve una visione. Una visione in grado di far maturare il Paese sotto il profilo sia politico che culturale, di metterlo nelle condizioni di “fare sistema”, magari prendendo a modello quanto di buono hanno realizzato altri Paesi (in questo campo, ma seguendo una propria strada.
In caso contrario il rischio è che le risorse stanziate con la Legge di stabilità vadano fuori bersaglio, specie se a ricevere gli incentivi fossero solo investimenti nellíautomazione delle linee di produzione o nellíacquisto di macchine a controllo numerico: miglioramenti utili, senzíaltro, ma di per sé non decisivi ai fini dellíimplementazione di un modello di Industria4.0. Modello che non può essere confuso con la semplice automazione o con il crescente impiego della robotica. Per questo abbiamo deciso di aprire insieme ad Adapt un confronto pubblico a più voci su uno dei principali nodi qualificanti del Piano nazionale di Industria4.0, e cioè le funzioni dei competence center, con líobiettivo di avviare un percorso che ci porterà, a partire dal 2017, ad incontrare imprese, università e scuole per discutere dei temi trattati nel libro verde. Un processo di coinvolgimento e consultazione territoriale dal quale prenderà forma un successivo Libro Bianco.
La Fim da tempo insiste su un concetto: quello di fare anche poche cose, ma efficaci e insieme. In questo senso stiamo dando il nostro contributo per creare un sistema virtuoso che metta in sinergia costruttiva le scelte politiche con il mondo delle imprese e con quello dell’università e della ricerca, mettendo al centro il prezioso contributo delle persone, dei lavoratori.
Scarica il libro verde : http://www.fim-cisl.it/2016/12/12/libro-verde-industria-4-0-ruolo-e-funzioni-dei-competence-center/