Almeno a prima vista, c’è una singolare sintonia fra i risultati conseguiti dal nostro Paese nella battaglia contro la pandemia da Covid-19, e l’andamento della produzione della nostra industria metalmeccanica. In entrambi i casi, infatti, si potrebbe azzardare, come sintesi, l’uso di tre parole messe in fila: meglio della Germania.
Sul primo punto, abbiamo ancora tutti nelle orecchie quanto detto da Angela Merkel nel momento in cui ha preso commiato dal suo pluriennale incarico di guida del Governo tedesco. Ovvero, che avrebbe voluto che la situazione della pandemia, in Germania, fosse come quella rilevabile in Italia. E ciò, aggiungiamo noi, perché in Italia, contro ciò che chiunque si sarebbe potuto attendere, una maggiore severità delle misure assunte nella lotta contro la diffusione del Covid-19 è riuscita a contenere tale diffusione in misura maggiore di quanto non si sia verificato proprio in Germania.
Sul secondo punto, possiamo invece buttare un occhio sui risultati dell’indagine congiunturale sull’industria metalmeccanica presentati ieri alla stampa da Federmeccanica. Ebbene, nella sintesi dell’indagine si può leggere che “a settembre 2021, i volumi di produzione dei principali Paesi europei (Francia, Germania e Spagna) risultano ancora inferiori di circa 10 punti percentuali rispetto al periodo pre-pandemico, mentre nel nostro Paese sono superiori di circa il 2%” rispetto a quello stesso periodo.
Ora, mentre sul primo punto si può ritenere che la somma del fattore efficienza con il fattore severità sia dovuta in buona misura alle scelte del Governo Draghi (vedi alla voce: Generale Figliuolo), Governo che, peraltro, ha saputo trarre il meglio dalla già avviata esperienza del Ministro Speranza, sul secondo punto la ricerca dei perché e dei percome l’industria metalmeccanica italiana possa aver avuto una performance migliore di quelle delle sue consorelle dell’Europa continentale è sicuramente più complessa.
Cominciamo col dire, per non inorgoglirci troppo nel giorno in cui l’Economist ha nominato l’Italia di Draghi quale Paese dell’anno, che, come mostrano alcuni dei dati presentati oggi da Federmeccanica, il 2019 aveva già rappresentato una brutta annata per le imprese metalmeccaniche del nostro Paese. E ciò perché lo stesso 2019, secondo anno dell’infelice esperimento governativo giallo-verde (M5S + Lega), era stato un periodo di recessione. Basterà qui ricordare, a questo proposito, che l’occupazione dipendente nella grande industria metalmeccanica aveva cominciato a calare continuativamente già nel maggio del 2019, raggiungendo a dicembre dello stesso anno un -1,6% rispetto al gennaio precedente.
Per l’Italia, dunque, recuperare i dati del 2019 significa ritornare a un livello che era già stato abbassato da un processo di crisi produttiva. Va sottolineato, tuttavia, che la recessione del 2019 era una recessione, per così dire, “classica”, mentre quella del 2020, originata dalle misure di lockdown assunte per contrastare la diffusione della pandemia, aveva un carattere eccezionale sia per le sue cause extra-economiche, sia per il suo carattere catastrofico. Basti pensare, a questo proposito, che nell’aprile 2020 la produzione metalmeccanica era crollata al 44,2% rispetto a quella del gennaio dello stesso anno. Risalire da un simile precipizio era dunque cosa assolutamente necessaria quanto impegnativa.
Vediamo dunque come stanno andando adesso le cose. Nell’industria metalmeccanica italiana, scrive Federmeccanica, “prosegue la fase espansiva iniziata a partire dal mese di giugno del 2020”. Ciò anche se con “ritmi di crescita” che, “nella seconda metà dell’anno in corso”, sono “più contenuti rispetto a quelli registrati nei primi 6 mesi”.
In particolare, nel terzo trimestre 2021 l’attività produttiva del settore ha mostrato “una crescita dello 0,7% rispetto al trimestre precedente”. Con un calo della velocità di crescita rispetto al +1,5% registrato nel primo trimestre e al +1,3% del secondo trimestre. Più significativo è però forse il fatto che i volumi produttivi realizzati nello stesso terzo trimestre 2021 risultino “superiori di circa 2,5 punti percentuali” rispetto al periodo immediatamente pre-pandemico (gennaio-febbraio 2020).
“Complessivamente – prosegue Federmeccanica – nel periodo gennaio-settembre 2021 i volumi di produzione metalmeccanica sono cresciuti del 21,8% nel confronto con l’analogo periodo del 2020”, ovvero con quello segnato, a partire da marzo, dall’effetto-lockdown. Ciò, va sottolineato, a fronte di una crescita dell’intero comparto industriale certo significativa, ma meno marcata (+14,5%) di quella registrata nel solo settore metalmeccanico. Fatto sta che questo stesso settore ha così ormai recuperato “quasi integralmente” i risultati conseguiti nello stesso periodo del 2019, rispetto ai quali si attesta a un -0,2%.
Federmeccanica sottolinea poi che “il miglioramento in atto sta interessando diffusamente tutte le attività dell’aggregato” metalmeccanico. Rispetto al periodo gennaio-settembre 2020, nell’analogo periodo del 2021 “macchine e apparecchi elettrici” crescono del 27,1%; i “prodotti in metallo” del 24,2%; le attività metallurgiche del 23,6%; “macchine e apparecchi meccanici” del 19,3%; “computer, radio tv, strumenti elettromedicali e di precisione”, del 17%; infine, gli “altri mezzi di trasporto” del 5,1%. Più complesso il caso del sub settore “autoveicoli e rimorchi” che, nel citato periodo, è cresciuto mediamente più di tutti gli altri (+35%). Nei mesi più recenti, ricorda però Federmeccanica, sono stati osservati, in questo stesso sub settore, dei cali produttivi connessi alla mancanza di componenti “essenziali”, in particolare di semiconduttori.
Infatti, i buono risultati dell’industria metalmeccanica italiana appaiono tanto più notevoli se solo si pensa che sono stati conseguiti, nell’ultimo anno, in uno scenario mondiale che, dal punto di vista industriale, appare come particolarmente contrastato. Prima la profondità della crisi determinata dal blocco improvviso di molte attività produttive, poi una ripresa priva di gradualità hanno stressato un assetto delle relazioni economiche globali che si era venuto assestando su una divisione internazionale del lavoro che aveva generato catene di fornitura intercontinentali, al tempo stesso, cogenti e fragili.
Con la ripresa dell’attività che, entro certi limiti, possiamo definire post-pandemica, si è quindi assistito all’esplodere di una serie di problemi imprevisti che vanno dalla carenza di materie prime e di componenti industriali come i microchip, a rialzi improvvisi dei prezzi di materie prime energetiche come il gas, nonché a una inattesa insufficenza di strutture logistiche, come le navi porta containers; navi i cui programmi di viaggio sono stati sommersi di prenotazioni, con ovvi ritardi rispetto alle attese dei compratori finali.
Fatto sta che, secondo Federmeccanica, sui risultati conseguiti dalla nostra industria metalmeccanica ha influito, da un lato, la ripresa della domanda interna e, dall’altro, il riaccendersi degli scambi internazionali. Tanto che, “nei primi nove mesi del 2021, le esportazioni metalmeccaniche sono cresciute del 24,1%” rispetto allo stesso periodo del 2020. E ciò a fronte del fatto che le esportazioni totali del nostro Paese sono cresciute, invece, in termini sì consistenti, ma comunque più contenuti, assestandosi a un +20,1%. Dato ancor più rilevante è quello che ci dice che le esportazioni metalmeccaniche dei primi nove mesi del 2021 sono anche superiori del 7,2% rispetto a quelle dell’analogo periodo del 2019.
E veniamo adesso alle conseguenze occupazionali di questo quadro produttivo. Il primo dato che balza agli occhi è quello relativo al vero e proprio crollo del ricorso alla Cassa integrazione verificatosi nei primi 3 trimestri dell’anno in corso. Nel 2019, il totale delle ore di Cassa integrazione guadagni utilizzate nell’industria metalmeccanica era stato pari a 135 milioni. Nel 2020, tale ammontare balzò a più di un miliardo. In particolare, nei primi nove mesi del 2020 questo totale ammontò a 771 milioni di ore. Nello stesso periodo di quest’anno siamo scesi a quasi 392 milioni di ore, con un calo del 49,2%.
Ancor più in dettaglio, sempre comparando i primi nove mesi del corrente anno ai primi nove mesi del 2020, si vede che il ricorso alla Cassa integrazione in deroga è crollato da 3 milioni e mezzo di ore a 782.000 ore (-77,2%), mentre il ricorso alla Cassa integrazione ordinaria si è più che dimezzato, passando da 731 a 352 milioni di ore (-51,8%). In leggero aumento, invece, la Cassa integrazione straordinaria, salita da 36 a 38 milioni di ore (+6,2%).
In questo contesto, notizie non negative giungono anche per ciò che riguarda l’occupazione. Qui, la prima osservazione che va fatta è quella relativa al ruolo efficacemente protettivo di uno strumento come quello offerto complessivamente dalle tre tipologie della Cassa integrazione guadagni (ordinaria, straordinaria e in deroga). In parole povere, nei mesi del lockdown e della crisi conseguente, e quindi nei mesi dominati dal crollo produttivo, la copertura offerta dalla Cassa integrazione ha consentito di minimizzare il ricorso ai licenziamenti.
Fatto uguale a 100 il totale degli occupati nella grande industria metalmeccanica nel gennaio 2019, si vedrà che questo totale aveva subito, come già detto, un calo del 1,6% a tutto il dicembre dello stesso 2019. Era cioè sceso al 98,4% a causa di quel processo recessivo di cui abbiamo fatto cenno nella prima parte di questo articolo. Dopo una mini-ripresa registrata fra gennaio e febbraio del 2020, l’occupazione nella grande industria metalmeccanica ha poi ricominciato a perdere terreno con l’esplosione della pandemia da Covid-19. Da marzo a dicembre 2020, è così scesa ininterrottamente di un altro 1,1%, calando fino al 97,3%. Nei primi nove mesi del 2021 è invece risalita fin quasi ai livelli pre-pandemici (98,3%).
Va poi sottolineato che questa tendenza moderatamente positiva si riverbera sulle previsioni a breve (sei mesi). Infatti, uno dei risultati più interessanti fra quelli prodotti dall’indagine congiunturale effettuata da Federmeccanica su un campione di imprese metalmeccaniche è quello che ci dice che, alla fine del terzo trimestre 2021, le imprese che prevedono una crescita numerica dei propri addetti prevalgono del 18% su quelle che prevedono un calo di tale numero. Un dato, questo, molto vicino a quello relativo al primo trimestre 2018, quando le imprese “ottimiste” erano risultate superiori a quelle “pessimiste” con un distacco del 21%. Dopo di che, le previsioni occupazionali delle imprese avevano imboccato la via delle attese negative. Attese culminate alla fine del primo trimestre 2020, cioè allo scoppio del lockdown, con il netto prevalere delle imprese pessimiste.
E adesso? Adesso, per Federmeccanica, i problemi sono tanti, ovvero gli stessi già denunciati nelle due più recenti indagini congiunturali: crescita dei prezzi di alcune materie prime, specie energetiche, difficoltà di approvvigionamento delle stesse o di altre materie prime, carenza di componenti, problemi di liquidità aziendale, difficoltà nel reperire manodopera disponibile quanto adeguatamente formata. Ma il sentimento che ieri è risultato percepibile nelle parole di Diego Andreis, il Vicepresidente di Federmeccanica con la delega alla Cultura d’impresa e alla Comunicazione, e di Stefano Franchi, Direttore Generale della stessa Federmeccanica, è un sentimento positivo, confortato, come si è detto, dalla prosecuzione della “fase espansiva” iniziata a metà dell’anno scorso.
Due ultime osservazioni. La prima: l’indagine congiunturale di Federmeccanica è giunta alla sua edizione n. 160. Il che vuol dire, data la sua cadenza trimestrale, che esiste da 40 anni. Ormai, è un’istituzione nel panorama informativo del nostro Paese. La seconda: rispetto alla vexata quaestio del cosidetto mismatch, ovvero mancanto incontro, tra domanda e offerta di lavoro nel settore metalmeccanico, lo stesso Andreis ha ammesso, con quella che ci è parsa come un’apprezzabile novità, che le imprese “devono essere più attrattive verso i giovani”. E questa è una problematica su cui occorrerà approfondire il discorso.
@Fernando_Liuzzi