Minimo storico di morti sul lavoro nel 2017, con 617 decessi accertati di cui 360 (pari al 58%) fuori dall’azienda, a fronte di 1.112 denunce di infortunio con esito mortale (erano 1.142 nel 2016 e 1.370 nel 2012). È questo lo scenario che emerge dai dati della relazione annuale dell’Inail presentata oggi alla Camera dal presidente dell’Istituto Massimo De Felice, alla presenza del ministro del Lavoro e Sviluppo Economico Luigi Di Maio.
Nonostante ci siano ancora 34 casi in istruttoria, sottolinea il presidente De Felice, se tutti fossero riconosciuti come morti “sul lavoro” si avrebbe comunque un calo del 2,8% rispetto al 2016 e del 25% sul 2012. Per quanto riguarda le denunce di infortunio, nel 2017 sono state 641mila, in linea con il dato del 2016 (-0,08%) e con una flessione del 14% in riferimento al 2012.
Ma spostandoci al 2018, nei primi cinque mesi i casi mortali denunciati sono stati 389, 14 in piu rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’aumento, tuttavia, riguarda situazioni avvenute “fuori dall’azienda”.
Se da una parte, in questi primi mesi dell’anno, c’è stata una diminuzione, anche se lieve, degli infortuni mortali “in occasione di lavoro” (da 194 a 190), è stato forte l’incremento degli infortuni in “itinere”, ovvero quelli che avvengono nel tragitto casa-lavoro, che sono passati da 68 a 96. Anche nei 617 decessi registrati nel 2017, 360, il 58%, non sono avvenuti nei luoghi di lavoro ma nel percorso.
Questa dinamica, ha sottolineato De Felice, pone una sfida ulteriore al tema della prevenzione. Infatti, se molto spesso non è facile fare prevenzione all’interno dei luoghi di lavoro, ancor più lo diventa in spazi diversi da quelli produttivi.
Ecco perché è sempre più primario il tema della vigilanza, che, secondo De Felice, deve essere attuata secondo due direttrici: dall’esterno e dell’interno. La prima va impostata secondo una logica cooperativa, che tenga assieme i corpi ispettivi preposti con le Asl. La seconda deve partire dai luoghi di lavoro, grazie al contribuito di lavoratori, datori e delle parti sociali. È essenziale, si specifica nella relazione, abbandonare la logica che la prevenzione rappresenti unicamente un costo o un intralcio evitabile con l’esperienza.
In questo senso l’Inail ha avviato, lo scorso aprile, un confronto presso il ministero del Lavoro per dar vita a una politica nazionale di prevenzione, rivolta soprattutto alle piccole e medie imprese. Un piano che dovrebbe basarsi su una mappa statistica che raggruppi le imprese per tipologie di rischio e tenga conto delle cause che più frequentemente generano un infortunio. Questo deve condurre verso schemi di azione tarati per “classi di rischio”.
All’interno di questo quadro, spiega De Felice, una vera e autentica riforma della governance e delle politiche nella prevenzione agli infortuni non può più basarsi solo su una loro semplice quantificazione. La valutazione deve essere fatta sulla base di un indice di “sinistrosità”, che si può misurare raggruppando le mansioni per indice di rischio.
Altro tema caldo riguarda i lavoratori della gig economy. Il primo passo, secondo De Felice, è quello di arrivare ad una definizione contrattuale chiara di questa nuova manodopera, per poi cucirvi sopra le tutele più adeguate. Su questo tema è intervenuto anche il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Di Maio, che ha annunciato per lunedì l’apertura di un tavolo sui rider.
“A questo tavolo, che partirà lunedì al Ministero del Lavoro – ha spiegato il Ministro – inizieremo le discussioni sulle tutele. Ragioneremo innanzitutto per tutele, non per forma di contratto, dopodiché cercheremo di mettere in piedi il primo contratto della gig economy”.
Tommaso Nutarelli
@tomnutarelli