Ottaviano Del Turco non è più con noi. In verità, sono già troppi anni che l’avevamo perso, preda di una malattia dopo l’altra, ma l’altro giorno siamo arrivati all’ultimo atto, è morto. È stato un grande sindacalista, tutta una vita nella Cgil. Abruzzese di Collelongo, un piccolo paese sperduto per i monti, aveva vissuto la sua vita di lavoro tutta a Roma e nella Cgil in particolare. Era socialista e come tale non è mai arrivato alla carica più alta, la segreteria generale della confederazione, ai suoi tempi non era pensabile superare i comunisti, ma è stato leader della componente socialista, quando le componenti politiche erano fortissime in Cgil. Fu il segretario generale aggiunto, il numero due, prima di Luciano Lama, poi di Antonio Pizzinato e di Bruno Trentin, che lo stimavano profondamente. Il momento forse più difficile per lui fu certamente il 1984, quando si consumò la rottura nel sindacato sulla scala mobile. Cgil da una parte, Cisl e Uil dall’altra. In mezzo appunto i socialisti della Cgil, che idealmente stavano con Cisl e Uil ma non potevano rompere il patto con i comunisti della Cgil. Ottaviano non esitò un momento, l’unità della Cgil era un valore superiore a tutto, anche se gli costava.
Fu un grande sindacalista confederale, ma il suo cuore era sempre con la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici dove fece tutta la gavetta, fino a scalarne i vertici. Quando si tratta di presentare un sindacalista che ha militato tra i metalmeccanici io dico sempre la stessa cosa ai ragazzi della nostra Scuola di relazioni industriali, che quando si è stati metalmeccanici una volta lo si è per sempre. E per lui è stata la stessa cosa, non ha mai abbandonato i valori di quel sindacato. Ed è stato in nome della sacralità di questi valori che io mi sono sempre attestato con forza tra coloro che non hanno mai creduto alla sua colpevolezza quando nel 2008 è stato coinvolto in un brutto caso di corruzione. Era governatore dell’Abruzzo e fu colpito senza alcun riguardo, lo arrestarono e gli negarono anche la libertà provvisoria perché, dissero, poteva reiterare il reato. Era stato accusato da un grande corruttore, un imprenditore del settore della sanità, invischiato in numerose vicende sempre di corruzione. Si credette più a costui che a Ottaviano. Una lunga serie di processi alla fine abbatté tutte le accuse, ma fu un periodo lungo e per lui davvero difficile. Io e tanti altri che lo avevano conosciuto bene non credemmo mai a quelle accuse. Nella convinzione che chi aveva militato per trent’anni nella Cgil non poteva avere architettato un sistema di corruzione come quello che gli imputavano, era impossibile. E alla lunga è stata fatta giustizia.
Ma è stato un calvario lungo e difficile, che certamente ha lasciato il segno nel suo corpo. Il ricordo che ci resta è però limpido, con il suo grande amore per Collelongo, per la pittura, per la musica rock, per le cene con gli amici in un tavolo sempre più lungo, dove sedeva di tutto e di più, per le sue battute sferzanti. Più di una volta, irritato per un titolo che non gli era piaciuto a un’intervista che mi aveva dato sbottò con un “Se lo sapevo che usavi l’intervista contro di me non te l’avrei mai data”. Io ridevo, alla fine rideva anche lui. Eravamo abituati a non averlo con noi, ci mancherà lo stesso.
Massimo Mascini