Abbiamo avuto la fortuna e il piacere di conoscere e lavorare con il Professor Luigi Mariucci (Gigi, per i suoi amici) e apprezzarne le doti scientifiche da un lato, le capacità di relazione dall’altro in complesse trattative sindacali del secolo scorso. Oggi che piangiamo la sua scomparsa ci piace ricordarlo perché quel lavoro comune fu di largo respiro ed è tuttora di grande attualità.
Il 10 luglio 1996, i segretari generali di Fim-Fiom-Uilm, il Gruppo Electrolux-Zanussi e Federmeccanica firmarono un’intesa che dava compimento a un modello di relazioni industriali nitidamente ispirato a una scelta di partecipazione e che rappresenta un punto mai più raggiunto nelle esperienze nazionali in materia di diritti di consultazione e di co-decisione dei lavoratori nella gestione aziendale e di influenza reale delle organizzazioni sindacali nella governance di un’impresa. Non una partecipazione nei consigli di amministrazione e nemmeno un sistema duale alla tedesca, malgrado si trattasse di un grande gruppo multinazionale. Ma la dispobilità di impresa e sindacato – delle “parti”, come si dice – dai delegati ai dirigenti, a confrontarsi e decidere insieme sia sulle strategie industriali della parte italiana del gruppo, sia sulle questioni concrete di tutti i giorni nei diversi stabilimenti. Non fu senza tensioni la trattativa, in cui ognuno dovette rinunciare a un pezzo delle proprie opinioni iniziali, e nemmeno fu facile applicare l’intesa ma si avviò un’esperienza davvero innovativa anche grazie alla presenza e alla competenza di Gigi Mariucci che fungeva da “garante” per tutti.
L’intesa, che prese il nome di “Testo Unico sulla Partecipazione”, fu firmata anche da un sindacalista “radicale” come Claudio Sabattini e da un convinto sostenitore delle ragioni industriali come Michele Figurati. Essa prevedeva – a chiusura di una complessa architettura istituzionale che si snodava dal Consiglio di Sorveglianza come luogo del confronto strategico a livello di Gruppo a una fitta rete di commissioni paritetiche dotate di potestà decisionali su temi cruciali come l’organizzazione del lavoro, la formazione, la sicurezza e le pari opportunità a livello di fabbrica – l’attivazione di una Commissione di Garanzia. L’organismo, già sperimentato prima dell’intesa definitiva, era deputato a risolvere arbitralmente, in esito a istruttorie in cui poteva esplicare amplissimi poteri d’indagine, ogni controversia insorta nell’applicazione dei contratti di secondo livello applicati nel Gruppo, nonché a sanzionare le violazioni del generale principio di “buona fede partecipativa” cui le parti dovevano ispirare le loro condotte. Non era un percorso che limitasse i diritti di decisione e di negoziato di nessuno, intendevamo solo evitare conflitti inutili, come spesso avvengono per mancanza di informazione o di sedi di confronto “preventivo”, in tempo utile. Decidemmo che quell’organismo, la Commissione di Garanzia, dovesse essere presieduto da un professore ordinario di diritto del lavoro, adiuvato da un altro docente con funzioni di istruttore.
Per tranquillizzare le componenti più “prudenti” nell’imboccare questa strada innovativa per le relazioni sindacali in un’impresa industriale, decidemmo insieme che sarebbe toccato alla Fiom nazionale proporre un nome di garanzia. E la Fiom, d’intesa con Fim e Uilm, gli altri sindacati metalmeccanici, propose il nome del prof. Luigi Mariucci, titolare della cattedra veneziana di diritto del lavoro, allievo di Federico Mancini e assessore alla Regione Emilia Romagna. Dopo qualche confronto interno anche la Direzione del Gruppo Electrolux Zanussi Italia, accettò la proposta sindacale, pur non conoscendo Mariucci di persona ma soltanto per le sue opere scientifiche di valente giuslavorista e per il suo esplicito profilo “progressista”. A sua volta, Mariucci scelse come istruttore il suo brillante discepolo veneziano, il prof. Adalberto Perulli.
Cominciò così un’esperienza di innovazione profonda nelle prassi delle relazioni industriali che durò cinque anni scanditi da assidue sessioni della Commissione (ci si vedeva a Bologna quasi una volta al mese): un’attività non solo istituzionalmente densa e professionalmente molto ricca, ma soprattutto intellettualmente e politicamente affascinante come nessun’altra, proprio per la sapiente guida di Mariucci. Egli infatti, miscelando con sapienza quasi “alchemica” la sua vocazione di giurista raffinato e di intellettuale sofisticato con quella di amministratore efficace e di mediatore tenace, sapeva sempre far approdare i suoi interlocutori, dirigenti sindacali e dirigenti aziendali di esperienza e assai “scafati” nelle pratiche negoziali, anche attraverso percorsi scoscesi, tortuosi e persino ignoti alle abitudini in uso, alla conclusione da lui in realtà sin dall’inizio individuata come appropriata, lasciando tutti insieme sorpresi e soddisfatti. La sua capacità di alternare il rigore metodologico di ragionamenti di limpida intonazione giuridico-illuminista con l’appassionata vicinanza alla condizione del lavoro industriale come autenticità esistenziale e finanche etica e il suo mobilitante entusiasmo per una vicenda sindacale in cui l’ideologia sapeva finalmente convertirsi e condensarsi in prassi riformista senza smarrire l’orizzonte dei suoi valori fondanti erano irresistibili. A uno di noi capitò una volta di definirlo un vero “giacobino” che aveva saputo comportarsi da “girondino” per meglio difendere la traiettoria concreta del progresso sociale. Un “professore”, insomma, che si misurava volentieri con il lavoro in “carne e ossa” (come soleva dire Bruno Trentin), verificando in questo anche le sue bussole di riferimento scientifico.
Quando le spire oscene del terrorismo giunsero a lambire il laboratorio sociale e sindacale rappresentato dal modello Electrolux-Zanussi, e da quella Commissione di Garanzia che ne incarnava tutta la propulsiva ereticità (molte sessioni si svolsero con le scorte di polizia fuori dell’uscio), Mariucci ne fu profondamente amareggiato, ma non turbato, e proseguì il suo mandato con convinta energia.
In verità, Gigi Mariucci è stato uno dei campioni più rappresentativi di quella specialissima cultura “emiliano-romagnola” che, tra gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta, seppe imprimere una formidabile accelerazione modernizzatrice alla sua tradizionale visione della società, congiungendo i valori della solidarietà, dell’equità, della protezione pubblica, con il dinamismo di un’impresa orientata all’innovazione e all’internazionalizzazione ma saldamente ancorata alla sua dimensione territoriale e che seppe, in fondo, costruire le condizioni per lo sviluppo di un modello comunitario, ma aperto e plurale. Un uomo del Novecento, certo, ma di quel Novecento ritmato dalla coralità, dalla passione, dalla generosità, dalla competenza, dal fuoco del cambiamento, di quel Novecento che, come lui, già ci manca.
E di Gigi ci piace ricordare quel sorriso, che all’improvviso gli tagliava lo sguardo prima di una battuta maliziosa e mai malevola, ch’era il segnale della mediazione incombente, della seduzione intellettuale cui ci saremmo arresi. Un Maestro, davvero: di quelli che dalla cattedra ti sanno spiegare tutto, ma sanno anche scenderne per aiutarti a fare sul campo le cose che ti hanno insegnato.
di Maurizio Castro e Gaetano Sateriale