Era qualche anno che temevamo di ricevere la brutta notizia che ci ha colto questa mattina. Erano almeno tre anni che non riuscivamo più ad avere un contatto con Giuseppe Berta. Stava male, ma non ne faceva un dramma. Quando morì Sergio Marchionne mi confidò di avere lo stesso male. “Ma procede lentamente, aggiunse, non ha fretta”. E invece il male non lasciava tregua, poco dopo fu costretto a smettere di lavorare. Noi de Il diario del lavoro, un giornale che lui amava molto, lo cercavamo, perché tutti gli anni scriveva per l’Annuario del lavoro la voce Confindustria e non volevamo rinunciarvi. Ma fu gioco forza arrendersi. Lo cercavamo, ma i suoi lo tenevano al riparo. Non abbiamo mai smesso di ricordarlo e di rimpiangerlo.
Adesso, di fronte alla sua scomparsa, tornano alla memoria le tante occasioni di incontro che ho avuto con lui. Io ero al Sole 24 Ore e mi occupavo di relazioni industriali e di Confindustria, mi era naturale incontrarmi con lui che era un grande studioso dei problemi del lavoro e della storia della Fiat. Ma soprattutto ricordo la sua profonda conoscenza di Confindustria, è quella che ci aveva fatto incontrare. Giuseppe aveva scritto un libro che io ho saccheggiato in tutta la mia vita professionale. Era una storia della confederazione degli industriali divisa per i quadrienni dei tanti presidenti che si erano succeduti. Ogni presidente quattro anni, che lui approfondiva nei particolari. Una miniera di informazioni, di curiosità, di dati, di preziose analisi che mi consentivano di parlare di queste cose con cognizione di causa.
E fu proprio per questa sua profonda conoscenza dei fatti di Confindustria che nel 2008, quando partì l’avventura dell’Annuario del lavoro, gli chiesi di scrivere la parte che si riferiva a questa organizzazione. Non si fece pregare e, anno dopo anno, ha continuato per tanto tempo a regalarci la sua analisi. Che era terribile, perché, onesto come era, non faceva sconti a nessuno. Non erano anni felici per Confindustria e le sue analisi erano senza veli. Possiamo gloriarci di aver scritto della crisi dei corpi intermedi e dell’associazionismo imprenditoriale prima di tutti gli altri perché era lui a illuminarci la strada. Confindustria non gradiva questi suoi scritti, se ne lamentò con noi, ma era facile trincerarsi dietro la grande competenza di chi firmava quelle analisi. Se Giuseppe Berta scriveva una cosa, quella era la verità.
Lui rideva di queste lamentele, giustamente diceva che il problema era di chi non guidava come doveva Confindustria, non di chi quegli errori li raccontava. Adesso non c’è più, i nostri Annuari del lavoro continueranno negli anni, il ricordo di quel gran signore che per tanto tempo ci ha aiutato non svanirà, rimarrà sempre accanto a noi. Uno di noi.
Massimo Mascini