Ci ha lasciato Andrea Gianfagna, dirigente della Cgil dai primi anni 50. La sua scomparsa è una grande perdita per i suoi famigliari, per i suoi amici, per la nostra Cgil. Non solo per quello che Andrea è stato e ha fatto come sindacalista (dalla Camera del Lavoro di Campobasso alla Flai nazionale, al Cnel) ma per la persona che è sempre stato: intelligente, curioso, equilibrato, pieno di ironia, profondo e lucido nell’analisi, sempre corretto nei confronti degli altri e delle loro organizzazioni. Con una memoria da fare invidia a tutti: dei fatti, dei nomi, dei caratteri delle persone. Con la modestia di chi ha lavorato con Di Vittorio, Novella, Lama, Trentin, e ha condiviso le responsabilità di conduzione di una macchina complessa come la Cgil nei momenti più difficili della storia del Paese. Con la forza d’animo di chi non intende mai rinunciare a una sua visione personale delle cose, pur ricercando la composizione fra le diverse sensibilità e le opinioni degli altri. Con l’idea che l’unità della Cgil (per convinzione non per disciplina) sia il valore più importante da trasmettere ai compagni più giovani.
La storia sindacale di Andrea, dalle battaglie sull’occupazione delle terre al Piano del Lavoro, alle manifestazioni, ai fermi di polizia, ai nuovi contratti unitari degli anni ’70, alla riorganizzazione della Cgil dopo i sommovimenti nazionali e internazionali degli anni 80 è ben raccontata da Gianfagna in un recente libro di Elisabetta Scavo per le Ediesse, “Impegno e passione dalla parte del lavoro”, che ho avuto il piacere di presentare in Cgil assieme agli autori un paio di anni fa. Qui preferisco ricordare Andrea come amico e maestro, con il suo buon senso, la sua schiettezza, le sue originalità, le sue battute che hanno arricchito me e chi lo ha conosciuto. A partire dalla prima volta che l’ho incontrato in Cgil nazionale, quando si era preso il compito di fare da tutor (o da badante) a un sindacalista chimico di provincia, che veniva a lavorare nello storico palazzo di Corso d’Italia nel 1987. Ricordo che mi accompagnò al secondo piano, mi presentò per prima cosa le segretarie di allora (Annetta, Antonella, Annalisa), estrasse una chiave dalla tasca e aprì la porta del mio nuovo ufficio che stava tra quello di Fausto Vigevani e quello di Fausto Bertinotti: i due Fausti con cui avrei dovuto lavorare (“il poeta” e “il contadino”, come dicevamo Andrea e io con il loro divertito consenso). Sorpreso da quel gesto gli domandai perché la porta dell’ufficio era chiusa a chiave e Andrea mi rispose, con la franchezza scherzosa di sempre: “Perché volevo essere sicuro che il tuo nuovo PC restasse sul tavolo”.
Io dovevo seguire il dipartimento sulla contrattazione e faticavo a capire tutte le tendenze presenti nei contratti che si stavano facendo e tutte le scelte programmatiche che si stavano elaborando in Cgil: nelle categorie e nei territori. Anche su questo Andrea mi riportò con i piedi per terra con una frase plurilingue che diventò presto anche la mia: “Ricordati guaglio’, nella contrattazione, money first! E poi power e tutto il resto… ma senza money so’ tutte chiacchiere…”. Se in Cgil avesse senso immaginare delle componenti sindacali e non politiche direi che Andrea faceva parte prima della “componente contrattuale” (che e non di quella politica). E che all’interno della componente contrattuale era un “salarialista”. A entrambe queste appartenenze culturali (in buona minoranza nella Cgil di allora) mi sono avvicinato anche io. E con Andrea ho finito per condividere valutazioni e opinioni di congresso in congresso, per decenni (fino all’ultima telefonata di 3 giorni fa, mi viene da dire con nostalgia e rimpianto).
Ma Gianfagna era anche una personalità curiosa e stimolante nella sua dimensione privata, con interessi tra i più vari. Andrea era l’unico in Cgil, assieme a Bruno Trentin, che indossava sempre un panciotto sotto la giacca: non per esibizione ma per eleganza propria. Chi lo ha conosciuto sa che aveva da tempo (prima che la gastronomia diventasse una moda) una certezza quasi maniacale per alcuni cibi, derivante dalla sua lunga esperienza nella categoria degli alimentaristi e dalle sue abitudini. Non usciva mai di casa senza riporre nella tasca del panciotto una scatolina d’argento che conteneva due peperoncini rossi piccanti coltivati personalmente. E non avrebbe assaggiato nessuna pasta asciutta senza aggiungere i peperoncini sapientemente tagliati da lui e offerti a tutti prima di iniziare a mangiare. Alla cena del novantesimo compleanno (assieme al suo caro amico Angelo Lana) ricordo che Andrea, dopo aver ascoltato l’elenco dei primi, chiese alla ragazza che era venuta ad accoglierci: “Che marca di pasta usate?” La poverina, colta alla sprovvista, pensò bene rispondere: “Credo pasta Barilla, signore”. Andrea ci guardò serio e disse: “Ce ne andiamo?” Toccò al padrone del locale, un siciliano, correre al nostro tavolo per mostrarci un pacco della pasta che usavano davvero in cucina. Andrea guardò l’etichetta, lesse le caratteristiche del prodotto e poi disse: “Va bene, restiamo”. Anche le sue opinioni sui vini, sugli olii, sui liquori e sugli amari erano assolute: non si poteva scherzare su questo argomento e volentieri lasciavamo che fosse lui a decidere.
Un giorno che con Fausto Vigevani stavamo andando a un Congresso della Cgil sulla bella Lancia Tema di Fausto (forse da Roma a Rimini), ascoltando musica alla radio e sonnecchiando, improvvisamente Andrea si girò verso di me per dirmi: “Elton John è sicuramente la più importante rock star vivente, non credi guaglio’?” E poi mi illustrò la sua personale graduatoria dei cantanti anglo americani dell’epoca. A quel congresso Andrea era responsabile della “commissione politica”, quella che valutava gli emendamenti presentati dalle categorie e dalle altre strutture ai documenti congressuali. Io gli facevo volentieri da garzone al tavolo della commissione. Ricordo che avevamo diverse cartelle in cui raccogliere gli emendamenti, a seconda fossero accettati o respinti, in attesa del voto del congresso. Poi avevamo due cartelle con scritto sopra “Sospesi” e “Archivio”. Quando il testo presentato non era comprensibile, Andrea, dopo averlo letto ad alta voce, spiegava alla commissione che necessitavano chiarimenti, incaricava qualcuno di verificare con i firmatari e mi faceva segno con la testa di mettere l’emendamento nella prima cartella, quella dei “Sospesi”. Quando l’emendamento nascondeva delle furbizie tattiche o politiche contro la Cgil, Andrea mi diceva: “Questo lo archiviamo” e mi accennava con la testa alla seconda cartella. Non ho mai saputo che fine avessero fatto davvero gli emendamenti “archiviati”.
Andrea Gianfagna aveva una grande competenza professionale e capacità di esprimersi pubblicamente con chiarezza ed efficacia. Ricordo un suo intervento esemplare in memoria di Bruno Buozzi fatto a Ferrara qualche anno fa. In quella giornata Andrea risultò, con i suoi 80 anni e passa, l’oratore più efficace e lucido. E ancor più di recente, mentre stavamo ascoltando il lungo intervento di un dirigente sindacale nazionale, si è girato di scatto e mi ha detto: “Qualcuno dovrebbe spiegargli, prima che vada in pensione, che non si parla così in pubblico…” In privato, a volte, lasciava senza fiato perché citava in tutta serietà gli strafalcioni che aveva sentito nella sua lunga carriera. Dal “capo respiratorio” allo “scontro tra totani” e altri ancora. Ma la bonomia, anche critica, era sempre il tratto distintivo delle sue parole.
Ci mancherai Andrea. Con la tua ironia, la tua cortesia, l’onestà e la correttezza, l’insegnamento lieve che eri in grado di dare a tutti. Già ci manchi: ti ricorderemo come un maestro, un fratello maggiore, un dirigente sindacale cui ispirare il nostro lavoro quotidiano in questi momenti di incertezza per tutti.
Gaetano Sateriale