I Fondi pensione stanno faticosamente risalendo la china in cui erano precipitati con la grande crisi finanziaria del 2008. I dati provvisori della COVIP in chiusura del bilancio 2009 ci dicono che la ripresa dei rendimenti è abbastanza generalizzata, ma con notevoli sofferenze nei comparti più rischiosi a forte o totale componente azionaria: in questi comparti i guadagni del 2009 non sono riusciti a ricostituire i livelli patrimoniali pre-crisi del 2007. Invece gli altri comparti hanno più che recuperato le perdite laddove ve n’erano state. Per i Fondi aperti e ancor più per i Piani delle Assicurazioni c’è ancora un po’ di strada da fare quest’anno nonostante la buona ripresa dei rendimenti medi aggregati. Lo scopo è ovviamente quello di tornare ai livelli patrimoniali precedenti alla crisi. E di superarli.
Le adesioni sono generalmente ferme, tranne che per i piani assicurativi. I Fondi negoziali sono addirittura in calo di iscritti, seppure di pochissimo (-0,1 per cento, a 2.041.000 aderenti). Tra il settembre e il dicembre 2009 è accaduto che 4.230 lavoratori sono usciti dal sistema, quasi tutti perché sono andati in pensione, e non sono stati sostituiti. Oppure sono in Cassa Integrazione, condizione che permette loro di riscattare quanto versato al Fondo integrativo e uscirne. Sotto questo profilo anche i Fondi pensione si possono considerare come una spia della crisi occupazionale. I Fondi aperti sono in leggera crescita di adesioni su base annua (2,8%) a 820 mila iscritti.
Boom dei Piani individuali malgrado i costi
I piani individuali invece vanno fortissimo, non ci si crederebbe: il boom del 27,4 per cento a 894 mila adesioni, 200 mila in più. Già, non ci si crederebbe. La valutazione sulla convenienza di un Fondo che il risparmiatore ha compiuto nel 2009 avrebbe dovuto basarsi sulla performance del 2008. Che per questi piani è stata molto peggiore che non per le altre tipologie di Fondi. Inoltre i costi di gestione dei PIP, a carico dell’iscritto, sono tre o quattro volte superiori a quelli dei Fondi negoziali.
I costi amministrativi hanno conseguenze rilevanti sul risultato finale, la rendita pensionistica. Nell’arco della vita lavorativa, ad esempio 35 anni, l’onere annuale aggiuntivo dell’1 per cento alla fine del percorso produce una riduzione della pensione integrativa pari al 15 per cento. E nei PIP i costi sono per lo più tra l’1,5 e il 2 per cento. Invece in parecchi Fondi aperti sono sotto l’unità, e in tutti i Fondi negoziali sono intorno allo 0,50 per cento (in qualche caso sotto lo 0,10%). Ciò significa che a parità di condizioni di mercato e di gestione finanziaria, gli ipotetici 1.000 euro mensili di pensione da parte di un Fondo negoziale dopo 35 anni di permanenza, da parte di un PIP si ridurrebbero a 850 euro mensili. Si assiste cioè a una colossale premeditata redistribuzione del reddito da soggetti deboli come i futuri pensionati, a favore di soggetti forti come le compagnie di assicurazione.
Eppure i PIP attraggono di più. Non è razionale, come invece dovrebbe essere ogni scelta economica. Gli esperti rilevano qui una distorsione del mercato, in cui le forme pensionistiche più costose e meno performanti diventano paradossalmente le più concorrenziali. Con effetti molto negativi per gli iscritti. Il fenomeno è ancor più paradossale se si considera che la stragrande maggioranza delle adesioni ai PIP – 545 mila su 894 mila – è rappresentata da lavoratori dipendenti del settore privato. Quasi tutti questi soggetti hanno a disposizione un Fondo di categoria che grazie ai minori costi, a parità di gestione finanziaria, darebbe loro una pensione del 15 per cento superiore a quella della loro compagnia.
La ripresa dei rendimenti
Riguardo al Bilancio 2009, il rendimento medio aggregato del sistema integrativo rispetto al 2008 è stato positivo per tutte le tipologie dei Fondi: +8,5 per cento quelli negoziali, + 11,2 quelli aperti, +16,5 i PIP. All’interno di queste medie, possiamo osservare che tutti i comparti delle tre tipologie hanno riportato il segno positivo, che va da un minimo del 2,9 per cento nell’obbligazionario puro dei Fondi negoziali, ad un massimo del 23,3 per cento dei Piani azionari delle Assicurazioni. In tutti i casi nei 12 mesi il sistema Fondi pensione ha battuto il TFR, il cui rendimento si è fermato al 2 per cento.
E allora, a che punto siamo con il patrimonio dei vari fondi dopo il drammatico default del 2008? Il suo valore è tornato ai livelli precedenti, ha ripreso a crescere al fine di dare una rendita previdenziale vicina alle attese? Per capire che cosa accade il confronto dei dati va fatto con lo status quo del 2007, e cioè la condizione patrimoniale precedente allo shock finanziario. Fatto cento il patrimonio di due anni prima, il calcolo del rendimenti composto ci permette di sapere quanto il 2009 è stato capace di recuperare le perdite e magari realizzare ulteriori profitti.
Da questo punto di vista, nella media aggregata soltanto i Fondi negoziali hanno recuperato la perdita del 6,3 per cento, e sono pure lievemente cresciuti, diciamo così, in termini reali del 1,6 per cento. Invece i Fondi aperti sono ancora sotto, intorno al 4 per cento, e i PIP perdono ancora oltre il 10 per cento. Qui le variazioni sono state forti, perché nel 2008 i piani individuali avevano mediamente perso addirittura un quarto del patrimonio, e nel 2009 la crescita del 16,5% non è riuscita a recuperarlo.
Il recupero delle perdite da shock finanziario
Nel dettaglio, osserviamo che tra i comparti che sono stati in perdita nel 2008, tutti quelli obbligazionari sono risaliti ai livelli del 2007, peraltro superandoli con una crescita “reale” tra il 4 e l’8 per cento circa. I comparti azionari sono ancora in sofferenza per tutti. Qui le perdite dei PIP sono più pesanti che nelle altre tipologie. Il livello del patrimonio dei Piani azionari rispetto al 2007 è ancora sotto di oltre il 20 per cento. Invece i Fondi aperti azionari perdono ancora intorno al 14 per cento, e intorno al 12 quelli Negoziali.
Occorre ancora una volta ricordare che queste valutazioni sono congiunturali, e che il sistema della previdenza integrativa può essere ragionevolmente giudicato solo nei tempi lunghi. La ripresa dell’economia globale consentirà ai Fondi di sviluppare il loro patrimonio. I veri punti critici sono due, i costi e le adesioni. Sui costi abbiamo visto come il terzo pilastro, quello assicurativo, presenta elementi di criticità con ricadute pesanti sui redditi previdenziali. Riguardo alle adesioni, nel complesso rappresentano solo il 21 per cento dei 23 milioni di occupati in Italia. Uno su cinque. Come ha ribadito il presidente del Covip Antonio Finocchiaro in una recente audizione alla Camera, c’è un problema generazionale. Siccome le giovani generazioni si tengono lontane dal sistema nel quale entrano soprattutto i lavoratori meglio retribuiti e con un lavoro stabile, “si potrebbe affermare che la previdenza complementare risulta maggiormente diffusa tra coloro che ne hanno un bisogno meno stringente”.
Raul Wittenberg