Oggi mercoledì 9 marzo sono 13 giorni di guerra di aggressione russa al popolo ucraino, colpevole solo di esistere.
Qualcuno forse si ricorderà un famoso libro dal titolo “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” scritto da un cronista americano John Reed, che raccontava i primi 10 giorni della rivoluzione Bolscevica in Russia del 1917.
Il titolo era veramente azzeccato, in effetti il mondo dopo non fu più come quello che era prima.
Oggi tocca all’Ucraina rappresentare questa tragica transizione. Il mondo dopo non sarà più lo stesso.
Molti hanno scritto, con maggiore competenza di me, su quanto sta accadendo. Io intendo solo soffermarmi sulla eroica resistenza di un esercito e di un popolo, quello ucraino, contro la guerra spietata e ingiustificata che li sta travolgendo.
In onore di questa resistenza voglio solo riportare qui di seguito il discorso di EnricoV prima della battaglia di Anzicourt del 25 ottobre 1415, cosi come narrato da Shakespeare nel dramma “EnricoV”.
“ Westmoreland: Oh! se avessimo qui anche solamente diecimila di quegli Inglesi che in patria se ne stanno sfaccendati oggi!
Re Enrico: Chi esprime questo desiderio? Mio cugino Westmoreland?
No, mio bel cugino; se è destino che si muoia, siamo in numero sufficiente a costituire per la patria una grave perdita; e se siamo destinati a sopravvivere, meno siamo e tanto più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non augurarti che abbiamo un solo uomo di più.
Per Giove! non sono avido di denaro, né mi curo di vedere chi mangia a mie spese; e non mi addoloro se altri porta i miei abiti. Tali cose esteriori non sono nei miei desideri: ma se è un peccato essere avido di onore, allora sono l’anima più peccatrice di questo mondo. No, cugino mio, non augurarti neanche un solo soldato che ci venga dall’Inghilterra. Alla pace di Dio! Non vorrei perdere quel tanto d’onore che un sol uomo di più potrebbe condividere con me, neanche se ne andasse di mezzo la salvezza dell’anima mia.
Oh! Non desiderarne neanche uno; e piuttosto, Westmoreland, fa’ proclamare in tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di combattere se ne vada; gli daremo il passaporto e gli metteremo in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire con alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiniano: chi sopravviverà e tornerà a casa, si leverà in punta di piedi e si farà più grande al nome di San Crispiniano. Chi non morirà oggi e vivrà sino alla vecchiaia, ogni anno, la vigilia, conviterà i vicini e dirà: «Domani è San Crispiniano»: poi tirerà su la manica e mostrerà le cicatrici e dirà: «Queste ferite le ebbi il giorno di San Crispino». I vecchi dimenticano: egli dimenticherà tutto come gli altri, ma ricorderà le sue gesta di quel giorno e fors’anche un pochino di più.
E allora i nostri nomi, che saranno termini familiari in bocca sua, re Enrico, Bedford e Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester, saranno ricordati di nuovo in mezzo ai bicchieri traboccanti: questa storia il buon uomo insegnerà a suo figlio. E sino alla fine del mondo il giorno di San Crispino e San Crispiniano non passerà senza che vengano menzionati i nostri nomi.
Felici noi, noi pochi, schiera di fratelli; poiché chi oggi spargerà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto bassa sia la sua condizione questo giorno la nobiliterà: molti gentiluomini che dormono ora nei loro letti in Inghilterra malediranno se stessi per non essere stati qui oggi, e non parrà loro neanche di essere uomini quando parleranno con chi avrà combattuto con noi il giorno di San Crispino.
Tutto è pronto, se lo sono anche i nostri cuori. Ora non desideri altri aiuti dall’Inghilterra, cugino?
Westmoreland: Per Dio! mio sire, vorrei che voi ed io soli senz’altro aiuto potessimo combattere questa regale battaglia!
Luigi Marelli