Nel pomeriggio di sabato è deceduto Luciano Pellicani, lasciandosi alle spalle le ‘’segrete cure’’ che gli avevano reso ‘’avversi’’ gli ultimi anni di vita. Docente universitario, sociologo, storico (sono importanti i suoi studi sulle origini del capitalismo, a cui stava lavorando per una riedizione di un saggio del 1988), è stato a lungo direttore di Mondoperaio, la rivista del Psi fondata da Pietro Nenni e tuttora in edicola, sotto la direzione di Luigi Covatta, come punto di riferimento del pensiero riformista.
Pellicani aveva seguito il percorso del padre che faceva parte di quel gruppo di intellettuali che uscirono dal Pci, nel 1956, ai tempi della repressione sovietica in Ungheria. Inizialmente comunista approdò nell’area del socialismo partecipando alle battaglie per l’autonomia dal Pci e dal pensiero marxista-leninista, fino all’incontro con Bettino Craxi, di cui appoggiò l’impegno per l’innovazione della politica e dell’idea socialista, senza mai rinunciare alla propria libertà di pensiero.
In una delle sue ultime interviste in occasione del ventennale della morte di Craxi non ebbe dubbi ad esprimere un giudizio obbiettivo sul leader socialista, proprio nelle stesse settimane in cui uscivano in libreria molti saggi ‘’revisionisti’’ sul ruolo di Craxi nella storia del dopoguerra: “C’è un Craxi degli esordi, delle idee e un Craxi della fine, senza idee ma unicamente indirizzato a riconquistare il potere. In sostanza si può parlare di una vera e propria scissione comportamentale: all’inizio della sua ascesa Bettino si proponeva di portare avanti idee davvero rivoluzionarie a partire dalla riforma costituzionale. Prima del declino, a Bettino era rimasta solo la volontà di voler tornare a Palazzo Chigi”.
Alla direzione di Mondoperaio succedette a Federico Coen che, con l’aiuto di un grande giornalista come Luciano Vasconi, lo aveva rilanciato raccogliendo intorno alla rivista un capitale umano di autori e collaboratori che l’avevano resa competitiva neiconfronti della pubblicistica di partito di quei tempi, inclusa quella del Pci. Divenne famoso quando si seppe che era lui l’autore del saggio firmato da Craxi e pubblicato col titolo di ‘’Vangelo socialista’’ sull’Espresso nell’agosto del 1978. Era un tentativo di trovare nel socialismo umanitario delle radici diverse dal marxismo-leninismo (una dottrina che per tanti anni era persino inclusa nello Statuto del Psi).
Nel saggio Pellicani risaliva al pensiero di Pierre-Joseph Proudhon, poiché questi, nella seconda parte della sua attività politico-teorica, aveva dichiarato che la proprietà privata era la condicio sine qua non per la conservazione delle libertà personali. Questo richiamo a Proudhon suonava, nella cultura comunista, come sacrilego, perché il pensatore socialista francese era stato aspramente criticato (e ridicolizzato) da Marx nella opera ‘’Miseria della filosofia’’. Pellicani, anche dopo la fine del Psi, restò sempre nell’area della sinistra, sostenne l’operazione dell’Ulivo, non volle mai – come tanti ex socialisti – avvicinarsi a Forza Italia.
Io l’ho conosciuto e frequentato a lungo, quando ero ancora della Cgil; e collaboravo assiduamente con Mondoperaio (una collaborazione che continua e di cui sono onorato). Di lui ricordo che fu tra i primi a capire l’importanza delle nuove tecnologie nel campo dell’informazione, tanto da fondare uno dei primi giornali on line, di cui non ricordo il titolo, anche se probabilmente avrò pubblicato qualche articolo. Ricordo benissimo che me ne parlò una sera a cena in pizzeria insieme ad altri compagni socialisti. Io rimasi a bocca aperta (erano i primi anni ’90) perché non riuscivo a capacitarmi di come potesse funzionare un meccanismo di quel genere, dove non c’erano spazi, battute, carta e dove tutto era gratis. Poi non ci siamo più visti. Io avevo sue notizie tramite il comune amico Giuseppe Pennisi che gli è stato vicino fino all’ultimo.
Quando una persona muore, soprattutto se è stato un amico, mi torna sempre in mente la poesia di John Donne che mandai a memoria da ragazzo dopo aver letto ‘’Per chi suona la campana’’: ‘’ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità; perciò non andare a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te’’. Eppure da tanto tempo non riesco a nascondere un po’ di invidia per coloro che se ne vanno. È una sensazione la mia che si è ingigantita in tempi di coronavirus. Non temo il contagio, ma quello che verrà dopo. Purtroppo non è vero che ‘’tutto andrà bene’’. Alla mia età non ci si può più permettere l’ottimismo della volontà.
Giuliano Cazzola