Il Ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha annunciato che “il 1° marzo 2022 verrà completato e illustrato il piano industriale” del Gruppo automobilistico. Ebbene, “prima di quella data, è necessario che (…) il Governo convochi le Organizzazioni sindacali e l’Azienda per fare il punto sulla situazione complessiva del Gruppo”.
Siamo, virtualmente, a Torino ed è da qui, ovvero dalla sede Cisl di via Madama Cristina, che il Segretario nazionale Fim-Cisl responsabile per il settore auto, Ferdinando Uliano, tiene, nella mattinata di martedì 4 gennaio, una conferenza stampa. Conferenza che è stata convocata per presentare il rapporto stilato dall’organizzazione sulla situazione produttiva e occupazionale relativa agli stabilimenti italiani del gruppo Stellantis nel 4° trimestre 2021, e quindi anche nell’insieme dell’annata appena conclusa. Da qualche tempo, infatti, il sindacato dei metalmeccanici Cisl ha preso la buona abitudine di costruire, con cadenza trimestrale, un’analisi molto dettagliata circa l’attività produttiva e la conseguente situazione lavorativa e occupazionale del maggior Gruppo automobilistico attivo in Italia. Analisi che viene declinata stabilimento per stabilimento, nonché tenendo conto dei diversi modelli assegnati in produzione ai vari siti del Gruppo stesso.
Da un punto di vista analitico, l’incontro con la stampa – che si rivolge a giornalisti in parte presenti nella sede sindacale e in parte collegati da remoto – ha, come si è accennato, un duplice scopo: fare il punto sia sul quarto trimestre 2021, che sull’insieme di un’annata che, al di là delle attese, ha finito per risultare come particolarmente contrastata. Ma anche dal punto di vista politico lo scopo della conferenza stampa è duplice. Infatti, la Fim vuole mandare i suoi messaggi a due diversi interlocutori: a Stellantis, ovvero a un’azienda dichiaratamente multinazionale, con cui la stessa Fim ha comunque un rapporto, e, per non dire soprattutto, al Governo italiano. Messaggi che, nonostante il tono relativamente pacato tipico dell’organizzazione dei metalmeccanici Cisl, veicolano un contenuto che rinvia a una visione, quanto meno, preoccupata dei processi in corso. Infatti, per bocca di Uliano i metalmeccanici Cisl così affermano: “Saremo indisponibili ad operazioni volte a penalizzare e a ridimensionare ulteriormente il patrimonio industriale e occupazionale di Stellantis Italia, come saremo indisponibili a scelte che peggiorino le condizioni lavorative e di sicurezza dei lavoratori”.
Da dove nascono le preoccupazioni della Fim? Innanzitutto, da una situazione che, invece di migliorare con l’attenuarsi della fase più letale della pandemia, sta peggiorando. Infatti, nel precedente report su Stellantis Italia presentato – sempre a Torino – ai primi di ottobre, la Fim notava che la produzione realizzata da Stellantis nel nostro Paese nei primi nove mesi del 2021 era sì inferiore del 16,3% rispetto al corrispondente periodo pre-Covid, ovvero rispetto ai primi tre trimestri del 2019, ma segnava comunque una crescita del 14,2% rispetto ai primi nove mesi del 2020, l’anno dei lockdown. D’altra parte, la Fim notava anche che tale situazione produttiva non stava migliorando poiché “la sofferenza riscontrata nei primi sei mesi del 2021”, sofferenza dovuta alla penuria di componenti essenziali quali i microchip, “si è aggravata nel terzo trimestre, causando numerosi blocchi produttivi”. Blocchi che, sottolineava la Fim, colpiscono la produzione “più del lockdown del 2020”.
Ebbene, col quarto trimestre 2021 la situazione è peggiorata ulteriormente. Tanto che, sottolinea la Fim in questo suo nuovo report, “i continui fermi produttivi”, motivati con la carenza dei microchip, hanno segnato, a fine 2021, “una riduzione del 6,1%” rispetto allo stesso 2020.
“Nello specifico – prosegue la Fim – nel 2021 sono state prodotte, tra autovetture e furgoni commerciali, 673.574 unità, contro le 717.636 del 2020.” Ancor più in dettaglio, nell’intero anno la produzione di autovetture, pari a 408.526 unità, registra una decrescita dell’11,3%, mentre quella di veicoli commerciali segna un aumento pari al 3,1%.
Se poi il confronto viene effettuato non con l’anno segnato dal lockdown, ma con l’ultima annata pre-pandemia, e cioè col 2019, la situazione si presenta in termini ancor più negativi. Infatti, con tale confronto si vedrà che la produzione è scesa, complessivamente, del 17,7%, “con le autovetture a -22,3% e i veicoli commerciali a -9,6%”.
Va poi osservato che la crisi attuale non viene a spezzare un trend precedente volto alla crescita, ma, anzi, si inserisce in una tendenza non positiva che risale a prima della nascita di Stellantis. Infatti, dice la Fim, “è dal 2017 che i dati” relativi alla produzione “sono in flessione”. “Nell’arco temporale di quattro anni – sottolinea il report – si è perso il 35% della produzione complessiva”, scesa da 1.035.454 a 673.475 unità. Il calo relativo alle sole autovetture è stato poi ancor più rilevante, essendo pari al -45%: da 743.454 a 408.562 unità.
Ancor più impressionanti sono poi i dati relativi ai singoli stabilimenti, con tendenze accentuatamente negative relative a quelli collocati da Cassino in giù.
Cominciamo col cosiddetto Polo di Torino. Al di là degli spostamenti fra le missioni produttive assegnate ai vari stabilimenti, con i trasferimenti da Grugliasco a Mirafiori annunciati da Stellantis all’inizio dello scorso ottobre, il report Fim riferisce che “i volumi produttivi”, qui misurati nel 2021, “sono pari a 77.267 unità, rispetto alle 36.702 rilevate nel 2020”. Il che ha portato a una crescita pari al 110%. Crescita dovuta, in maggior parte, alla produzione della 500 Bev (Battery Electric Vehicle) che, “partita nel mese di ottobre 2020, nel 2021 si è attestata sulle 53.819 unità”.
Anche alla Maserati di Modena le cose non sono andate male. In particolare, grazie alla “partenza produttiva”, dal secondo trimestre 2021, della nuova vettura “supersportiva”, la MC20, qui “si è azzerato l’uso degli ammortizzatori sociali”.
Al contrario, le cose vanno male a Cassino (Frosinone), dove “è dal 2017 che continua la flessione (…) dei volumi produttivi”; flessione che si è concretizzata in “una perdita” di “oltre 91.000 unità (-68%)”. In particolare, nel corso del 2021, “le fermate produttive totali sono state complessivamente” pari a “92 giorni”. Conseguenza: vi è stato un continuo ricorso agli ammortizzatori sociali. Peggio: l’occupazione, “nel corso dell’ultimo anno e mezzo, si è ridotta di oltre 1.000 lavoratori, passando da circa 4.300 a 3.289” addetti.
A Pomigliano d’Arco (Napoli), “nel corso del 2021” la produzione di autovetture si è attestata sulle “123.000 unità”, in calo “anche rispetto alle 140.478” del 2020”. E si tenga presente che il 2020 è stato un anno in cui si era già verificata una forte diminuzione rispetto all’anno precedente, il 2019, ovvero all’ultimo anno non ancora toccato dalla pandemia. Se quindi si istituisce un confronto diretto fra il 2021 e il 2019, con le 198.647 unità di quest’ultimo, il calo risulta pari al -38%.
Restando però al confronto secco fra 2021 e 2020, si vedrà che “il crollo più pesante in termini di volumi produttivi” è quello di Melfi (Potenza). Qui, rispetto al 2020, si assiste a una diminuzione di 66.202 unità, pari a un -28,8%. Se invece il confronto viene fatto col 2019, si dovrà registrare la “perdita di oltre 1/3 delle produzioni”.
Risalendo dalla Basilicata all’Abruzzo, si incontrano inattese difficoltà anche alla Sevel di Atessa (Chieti). Qui, nel 2021, la produzione di veicoli commerciali ha raggiunto “la quota di 265.048 unità, con un incremento positivo rispetto al 2020 del +3,1%”. Purtroppo, ricorda però la Fim, in questo stabilimento, “dal mese di maggio”, era partita un’organizzazione dell’attività produttiva basata su 18 turni. Nel corso dei mesi successivi, a causa della carenza di microchip, vi sono però state 20 giornate di fermo. Ciò, sempre secondo la Fim, “ha impattato negativamente sui livelli occupazionali del sito”. Infatti, l’Azienda “unilateralmente” – sottolinea la Fim – ha riportato lo stabilimento a 15 turni, con “un contraccolpo occupazionale di oltre 1.000 lavoratori”. Tra questi, “circa 600 sono lavoratori in somministrazione”, a cui “bisogna aggiungere i cassaintegrati” cosiddetti “infragruppo”, ovvero attivi ad Atessa in trasferta da altri stabilimenti di Stellantis.
Concludendo, al di là dei guai derivanti dal lockdown del 2020 e dalla carenza di componenti, quali i microchip, manifestatasi nel 2021, la Fim si mostra consapevole del fatto che, in prospettiva, l’industria dell’auto deve fronteggiare altri problemi, caratterizzati da una caratura strategica. I primi dei quali sono quelli connessi alla doppia transizione avviata anche grazie all’iniziativa dell’Unione europea: quella energetica e quella digitale. Per non parlare della transizione interna al mondo dell’automotive, ovvero quella che dovrebbe portare dal prodotto auto al prodotto mobilità.
Ora è evidente che processi di questa portata non possono essere affrontati se non all’interno di robuste cornici di politica industriale. E se non abbiamo capito male il messaggio della Fim, ci pare che questo messaggio sia rivolto innanzitutto al Governo italiano. Un Governo che, fin qui, e non da pochi mesi, ma da un tempo più lungo, non ha brillato per la sua capacità non si dice di realizzare, ma anche solo di impostare politiche credibili in relazione ai settori principali della nostra industria manifatturiera.
L’obiettivo principale dichiarato dalla Fim rispetto all’industria dell’auto, componentistica compresa, può essere per adesso riassunto in poche parole: “la messa in sicurezza degli stabilimenti e dell’occupazione”. Obiettivo semplice solo all’apparenza.
A breve, ovvero per ciò che riguarda “le prossime settimane”, la Fim afferma che “il Ministero dello sviluppo economico deve convocare le Organizzazioni sindacali e la Direzione di Stellantis”; e ciò, appunto, “in anticipo rispetto alla presentazione del Piano industriale del gruppo” prevista, come si è già visto, per il 1° marzo prossimo.
A partire da questa occasione, ormai molto ravvicinata, “il Governo deve svolgere un ruolo da protagonista, determinante per le sorti dell’industria più importante del nostro Paese”. Ed ecco, infine, la proposta della Fim: “Nei prossimi mesi, serve la definizione di una strategia specifica, con la destinazione di un Fondo del settore per governare la transizione industriale e sociale”. In particolare, secondo la Fim “servono incentivi per la mobilità sostenibile”.
Il seguito, alla prossima puntata.
@Fernando_Liuzzi