Oggi doccia fredda sulla trattativa Ilva. Tanto fredda che la data di giovedì 26 aprile rischia di entrare nella storia di questo negoziato, che dura ormai da più di nove mesi, come quella di una giornata, allo stesso tempo, importante e difficile: la giornata in cui la trattativa è stata sospesa.
A monte di questa decisione sta un fatto preciso: le parti non sono state in grado di individuare un percorso che consentisse loro di superare quello che il Viceministro dello Sviluppo Economico, Teresa Bellanova, ha definito come lo “scoglio dell’occupazione”. Dopodiché, per descrivere le conseguenze di tale fatto, sono state usate parole anche diverse, ma di significato molto simile.
“Prendiamo atto che non ci sono le condizioni per andare avanti con la trattativa”, ha detto Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil. “Riteniamo che non ci siano le condizioni per poter andare avanti nella trattativa”, ha soggiunto, impiegando quasi le stesse parole, Marco Bentivogli, leader della Fim-Cisl. “Abbiamo unitariamente considerato che è ormai esaurita questa fase negoziale”, ha dichiarato, rendendo il giudizio ancora più netto, Francesca Re David, segretaria generale della Fiom-Cgil.
Cosa è successo dunque oggi nelle sale del Ministero che sorge all’angolo tra via Veneto e via Molise, per causare lo stop della trattativa? Come i lettori ricorderanno, tra lunedì 23 aprile e martedì 24 si erano svolti due giorni di negoziati intensi e ravvicinati; due giorni che avevano consentito ai sindacati dei metalmeccanici e ad AM InvestCo Italy – l’impresa costituita ad hoc per impulso principale di ArcelorMittal allo scopo di acquisire i complessi aziendali del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria – di ridurre le distanze precedentemente registrate in materia di salario aziendale. AM InvestCo aveva cioè modificato in parte le sue posizioni iniziali, accettando l’idea di mantenere sostanzialmente inalterata la parte fissa del salario aziendale, quella derivante dagli accordi storicamente definiti nel gruppo Ilva. Era invece rimasta irrisolta la questione della parte variabile dello stesso salario aziendale, poiché qui AM InvestCo era rimasta sulla sua idea originaria, ovvero sulla proposta di modificare, in termini che i sindacati giudicano peggiorativi, i parametri che determinano tale parte variabile.
Stamattina, all’apertura dell’incontro, il Viceministro Bellanova, il cui fermo impegno ai tavoli del Mise è ben noto, lanciava un tweet carico di buona volontà: “Prosegue il confronto su #Ilva. Ce la stiamo mettendo tutta per assicurare lavoro, salute e produzione per il più grande impianto siderurgico europeo”. Con una chiara allusione allo stabilimento di Taranto. Oggi, però, il calendario della trattativa, che in questa fase aveva assunto ritmi più incalzanti, e quindi incontri cronologicamente più ravvicinati, di quelli conosciuti nei mesi scorsi, prevedeva che tornasse sul tavolo il problema, allo stesso tempo, più importante e più complesso della trattativa stessa, ovvero quello dei piani occupazionali elaborati da AM InvestCo Italy.
Come si ricorderà, l’impresa candidatasi ad acquisire l’Ilva aveva inizialmente comunicato di puntare, a regime, ovvero entro il 2023, a un organico di 8.400 lavoratori, e cioè molti meno dei 14.200 dipendenti in forza a fine maggio dell’anno scorso. Poi, dopo essersi aggiudicata, ai primi di giugno dello stesso anno, la gara per l’acquisizione dell’Ilva, la stessa AM InvestCo aveva dovuto affrontare una fase negoziale con i Commissari straordinari. I quali ultimi avevano ricevuto dal Governo l’input di convincere l’impresa a migliorare la propria offerta, dotandosi di un organico più robusto, ammontante a 10mila addetti. Infine, nell’ottobre dell’anno scorso AM InvestCo aveva comunicato di essere effettivamente intenzionata ad assumere 10mila dei circa 14mila dipendenti dell’Ilva.
Coerentemente a quanto sostenuto sin da fine maggio, i sindacati dei metalmeccanici si erano però dichiarati totalmente insoddisfatti di questi programmi occupazionali, ribadendo che nessuno dei 14mila dipendenti Ilva doveva restare senza un’occupazione. Né era bastata a rassicurarli l’idea, ripetutamente avanzata da fonti governative, che comunque anche i lavoratori Ilva non riassunti da AM InvestCo sarebbero rimasti in forza all’Amministrazione straordinaria, per essere poi reimpiegati nelle robuste opere di ambientalizzazione di cui lo stabilimento di Taranto ha sicuramente bisogno. E ciò sia perché le professionalità dei siderurgici non coincidono necessariamente con quelle richieste dalle opere di ambientalizzazione, sia perché, comunque, si tratta di opere che, come è facile immaginare, devono essere portate a termine entro tempi definiti.
In sostanza, che tra i progetti occupazionali di AM InvestCo Italy e le esigenze avvertite dai sindacati vi fossero distanze consistenti era cosa nota. Tuttavia, forse proprio a causa dell’importanza e della difficoltà della questione, il tema occupazione era stato più volte rinviato. E forse anche nella speranza che lo stesso trascorrere del tempo consentisse all’azienda aggiudicataria di riconsiderare l’effettiva praticabilità delle proprie posizioni iniziali.
Sia come sia, oggi i nodi sono venuti al pettine. “ArcelorMittal ha ribadito la volontà di partire” sì da “10.000 lavoratori”, ma “per arrivare a 8.500 nel 2023”, ha spiegato Francesca Re David. Mentre, anche secondo Bentivogli “l’Azienda deve garantire l’occupazione a tutti i 13.802 lavoratori attualmente in forza”. “Per noi – ha poi specificato il segretario generale della Fim – le garanzie possono passare anche dagli incentivi alle uscite, ma esclusivamente su base volontaria.” Inoltre, sempre secondo lo stesso Bentivogli, nel corso dell’incontro odierno è stato fatto presente che qualora, a fine piano, ovvero nel 2023, “ci fosse ancora anche un solo lavoratore in amministrazione straordinaria”, AM InvestCo dovrebbe “farsene carico”.
In serata, è stato poi diffuso un comunicato unitario delle Segreterie nazionali dei tre sindacati “confederali” dei metalmeccanici, ovvero Fim, Fiom e Uilm, con l’aggiunta della Segreteria della Usb, l’Unione sindacale di base, che potremmo definire come un sindacato autonomo molto radicale. E già il fatto che i simboli di questi quattro sindacati siano stati allineati uno a fianco all’altro su una carta intestata creata ad hoc ci dice qualcosa sul fatto che siamo davanti a qualcosa di più di un semplice rallentamento della trattativa. Un’impressione, questa, confermata dal titolo del comunicato: “Ilva. Così non va! Assemblee e mobilitazioni per respingere la proposta di Mittal”.
“Fim, Fiom, Uilm, Usb – è scritto nel comunicato – hanno assunto la decisione di sospendere il negoziato in attesa che AM InvestCo modifichi l’irricevibile impostazione, confermando l’obiettivo di calendarizzare le assemblee e le iniziative di mobilitazione unitarie a livello di Gruppo”.
Insomma, un testo in cui si parla di “assemblee” e di “iniziative di mobilitazione”. Dal punto di vista del linguaggio usato, va detto che i sindacati non hanno fatto oggi particolari drammatizzazioni. E’ tuttavia evidente che il negoziato ha raggiunto un punto di estrema difficoltà. Infatti, al momento è impossibile capire quando potrà riprendere. In ogni caso, la prossima mossa dovrebbe spettare all’azienda aggiudicataria, cioè ad AM InvestCo.
@Fernando_Liuzzi