“L’Azienda conferma l’impegno minimo di assumere 10mila lavoratori e si impegna anche a riconoscere i livelli salariali attuali. Pertanto il tavolo Ilva, adesso, si può effettivamente aprire.” Mezzogiorno è passato da poco più di mezz’ora quando il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, esce dal suo ministero per annunciare a un nugolo di cronisti, fotografi e cameraman l’esito dell’incontro che si è appena concluso. Dritto in piedi sugli scalini che collegano l’ingresso dell’edificio a via Veneto, il ministro, visibilmente soddisfatto, spiega, peraltro, che la cifra di 10mila lavoratori da riassumere nella nuova azienda costituisce un minimo che “si spera di migliorare” nel corso di una trattativa che potrà finalmente avviarsi nella seconda metà di novembre.
Come frutto dell’incontro odierno ci sono già, infatti, due date. Quella del 9 novembre, per un incontro sul Piano industriale elaborato da AM InvestCo per il gruppo Ilva, e quella del 14 novembre, per un successivo incontro dedicato al piano di risanamento ambientale. Due appuntamenti che, va detto, sono però considerati dai sindacati come preliminari alla trattativa vera e propria che potrà quindi cominciare non prima della seconda metà di novembre.
Dopo un primo incontro a carattere esplicitamente preliminare svoltosi presso il Mise il 20 luglio scorso, la trattativa tra AM InvestCo e i sindacati sarebbe dovuta partire intorno alla metà di settembre. Ma il 12 settembre il Ministero annunciò un rinvio dell’incontro al 9 ottobre a causa di varie difficoltà procedurali insorte nel frattempo.
Ora quello che occorre tenere presente per comprendere la complessità della vicenda attualmente in corso è che, al di là degli aspetti ambientali, industriali e occupazionali, che rendono già abbastanza complicata questa stessa vicenda, vi sono dei rilevanti aspetti giuridici connessi al fatto che il gruppo Ilva è, da tempo, un’azienda in amministrazione straordinaria. Il Governo ha indetto una gara tra i soggetti che avessero manifestato l’intenzione di aggiudicarsi quello che era ed è non solo il primo gruppo siderurgico italiano, ma uno dei primi a livello europeo. Nel luglio scorso, i commissari straordinari, nominati dal Governo nel gennaio del 2015, individuarono in AM InvestCo Italy, la cordata formata dal colosso franco-indiano dell’acciaio Arcelor-Mittal e dal gruppo siderurgico italiano Marcegaglia, il vincitore della gara. Il che, però, non portava all’immediato acquisto di Ilva da parte della cordata vincente, ma all’apertura di un percorso le cui prime tappe sono fissate dalla legge.
In particolare, seguendo questo percorso, il 6 ottobre scorso AM InvestCo, congiuntamente ai Commissari straordinari, notificò alle organizzazioni sindacali l’avvio della procedura ex art. 47 della legge 428 del 1990, relativa, appunto, al cosiddetto “affitto di ramo d’azienda”. Stiamo cioè parlando della fase in cui il vincitore della gara – nel nostro caso AM InvestCo – viene già considerato come aggiudicatario, ma non ancora come acquirente dell’azienda in amministrazione straordinaria – nel nostro caso il gruppo Ilva.
E fin qui tutto bene, nel senso che stiamo solo descrivendo un passaggio fissato dalla legge. I problemi – almeno in parte oggi superati – sono nati però con i contenuti della comunicazione del 6 ottobre. Infatti, l’aggiudicatario comunicava ai sindacati, in primo luogo, che la cifra di 10mila lavoratori da riassumere nella nuova impresa costituiva un tetto massimo rispetto ai suoi programmi occupazionali. Il che significava dichiarare che 4.200 degli attuali dipendenti di Ilva potevano già essere considerati in esubero. In secondo luogo, l’aggiudicatario parlava, appunto, di riassunzione, ovvero dell’intenzione di aprire con ognuno dei lavoratori candidati alla riassunzione un rapporto individuale del tutto nuovo. Il che comportava non solo l’azzeramento della pregressa anzianità aziendale, ovvero degli scatti di anzianità via, via acquisiti dai singoli lavoratori, ma anche l’azzeramento dei loro livelli di inquadramento e, soprattutto, l’azzeramento delle tutele loro assicurate dal famoso art. 18 della legge n. 300/1970. Tutele che continuano ad essere valide, ancorché “limate” da vari interventi legislativi del recente passato, solo per i lavoratori assunti prima del Jobs Act e non sono invece più attive per quelli assunti dopo l’entrata in vigore dei decreti legislativi del 2015, attuativi dello stesso Jobs Act.
I problemi cui abbiamo sopra accennato hanno una duplice natura. Innanzitutto sindacale, poiché Fim, Fiom e Uilm, ovvero i maggiori sindacati della categoria dei metalmeccanici, peraltro col pieno appoggio delle rispettive confederazioni di appartenenza, e cioè di Cisl, Cgil e Uil, hanno immediatamente espresso la loro più ferma contrarietà ai contenuti della comunicazione aziendale del 6 ottobre. Ma anche giuridica, perché la legge stabilisce che qualora l’azienda aggiudicataria di un’impresa in amministrazione straordinaria intenda ridurre gli organici e alterare gli assetti retributivi di quest’ultima, l’assenso dei sindacati è necessario affinché l’aggiudicataria possa trasformarsi concretamente in acquirente.
Di fronte alla levata di scudi effettuata immediatamente dai sindacati, tradottasi sin dalle prime ore del mattino del 9 ottobre in una massiccia adesione agli scioperi indetti dagli stessi sindacati, il ministro Calenda, dopo un breve incontro con i rappresentanti di AM InvestCo, decise di porre un temporaneo stop al percorso negoziale. Stop protrattosi fino alla mattinata di oggi, ovvero fino al nuovo incontro avviatosi intorno alle ore 11.0.
Qui bisogna però aggiungere un’altra spiegazione relativa a una polemica relativa alla natura della convocazione dell’incontro odierno e quindi anche alla relativa ristrettezza della platea degli invitati.
Quando deve essere affrontata, in sede ministeriale, una vicenda industriale complessa, è d’uso che il tavolo sia convocato dal Governo e che fra gli invitati a partecipare all’incontro vi siano, oltre ai sindacati, anche le Regioni e gli Enti locali (un tempo Provincie e Comuni, oggi, forse, solo Comuni) nei cui territori siano insediati gli stabilimenti coinvolti.
Ma quando si ha a che fare con una procedura ex art. 47, le cose cambiano e, soprattutto, si irrigidiscono. Nel nostro caso, con due conseguenze. Prima: l’incontro odierno è stato promosso non dal Governo, ma dall’azienda aggiudicataria in concorso con i commissari straordinari. Seconda: l’incontro era riservato solo alle parti interessate direttamente dalla procedura ex art. 47, e quindi aggiudicatario, commissari, Governo e sindacati di categoria. Il che ha contrariato chi si è sentito escluso.
In ogni caso, si è avuta l’impressione che il tempo che sta tra il 9 ottobre e la data odierna non sia trascorso invano. AM InvestCo, infatti, ha cambiato posizione. In primo luogo, per ciò che riguarda le retribuzioni, si è sostanzialmente impegnata a far sì che esse non si discostino in termini negativi da quelle riconosciute attualmente dall’Ilva, sottolineando l’intenzione di legare la parte variabile delle retribuzioni stesse alla realizzazione del suo piano industriale. In secondo luogo, come si è appreso dalla dichiarazione del ministro Calenda riportata nell’apertura di questo articolo, AM InvestCo ha accettato l’idea che la cifra di 10mila addetti costituisca la base acquisita che, nel corso della prossima trattativa, potrà – eventualmente – essere alzata, ma non abbassata.
Su questa base, seguendo l’impostazione che nel nostro paese è tradizionale per simili vicende, la trattativa partirà da un esame del piano industriale che, come si è detto, sarà presentato ai sindacati il 9 novembre, e del piano ambientale, che sarà presentato il 14 dello stesso mese.
D’altra parte Calenda ha oggi anche annunciato che intende istituire un tavolo istituzionale, ovvero una sede di incontri cui possano partecipare anche i rappresentanti delle regioni e dei Comuni interessati alla vicenda Ilva. Sede che possa seguire, in parallelo, gli sviluppi della trattativa. A tale tavolo potranno essere invitate dunque, anche le Confederazioni sindacali, che, tra l’altro, rappresentano gli oltre 7mila lavoratori dell’indotto, spesso occupati in base a contratti diversi da quello dei metalmeccanici (trasporti, servizi, energia). Nonché Regioni come la Liguria, firmataria di un accordo di programma relativo all’Ilva di Cornigliano (Genova), o come la Puglia, responsabile legalmente, assieme al Comune di Taranto, della salute degli abitanti di questa stessa città, cioè del sito la cui salubrità è stata, ed è, notoriamente messa a rischio dalla presenza dell’Ilva.
@Fernando_Liuzzi