Mercoledì 11 aprile: nella cronaca, lunga ormai quasi un anno, della vicenda della vendita del gruppo Ilva al colosso franco-indiano ArceloMittal, questa resterà segnata come la giornata dei tweet. Ma anche, lo vedremo più avanti, come la giornata in cui si è verificato un salto all’indietro, fino ai primi passi di questa storia.
Ma, per restare intanto nella cronaca, cominciamo ricordando che l’ennesimo incontro Ilva era stato fissato per le 10.00 del mattino dell’11 aprile a Roma, presso il Ministero dello Sviluppo economico. Nel palazzo di via Veneto, che ospita il Ministero, sono dunque convenuti i Commissari dell’Amministrazione straordinaria, i rappresentanti di AM Investco Italy, l’azienda creata ad hocda ArcelorMittal, e quelli dei sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom, Uilm. A presiedere l’incontro per il Governo c’era il vice Ministro Teresa Bellanova.
L’incontro è finito verso le 13.30. Ed ecco subito il primo tweet, inviato proprio dal vice Ministro Bellanova: “Il confronto su #Ilva continua con responsabilità. Abbiamo convocato i prossimi incontri per il 13, 20 e 23 aprile. Il Paese sta vivendo una fase complessa, ma guai a non pensare prima al destino dei lavoratori e delle persone”.
Traduzione: più di un mese fa ci sono state le elezioni politiche, ma ancora non si vede neanche da lontano quale possa essere un futura maggioranza di governo. Comunque, anche se solo per il “disbrigo degli affari correnti”, un Governo ancora in carica c’è. E’ il Governo guidato da Paolo Gentiloni, e finchè ci sarà porterà avanti il suo lavoro. In quest’ambito, c’è anche la vertenza Ilva che è tutt’ora viva e vegeta. Tanto che, nell’incontro odierno, abbiamo già fissato le date di tre prossimi incontri.
Passano pochi minuti, ed ecco l’interlocuzione della Fim-Cisl: “#Ilva il confronto continua 13-20-23 aprile non accetteremo esuberi e licenziamenti ma soluzioni occupazionali che garantiscono tutti i lavoratori di Ilva”.
E qui già si comincia a capire di cosa si è parlato in questo incontro. Infatti, anche la Fim, sostanzialmente, sottolinea la positività del fatto che siano state già fissate le date di tre prossimi incontri, ma poi ribadisce una ferma posizione politica. Laddove il no a “esuberi” e “licenziamenti” significa che, come già ripetutamente affermato dalla primavera del 2017, i sindacati non accettano che almeno 4.000 dei 14.000 attuali dipendenti dell’Ilva vengano dichiarati in esubero; inoltre, significa che, comunque, per avere l’assenso dei sindacati alla vendita di Ilva ad AM Investco Italy sarà necessario che vengano costruite delle “soluzioni occupazionali” capaci di garantire “tutti i lavoratori di Ilva”. La situazione, insomma, è quanto meno complessa.
Passano un paio d’ore e la complessità si trasforma in vera e propria difficoltà. Esce infatti un tweetdella Fiom-Cgil il cui inizio è già piuttosto duro: “La #Fiom respinge la proposta occupazionale di #ArcelorMittal che ci appare confusa in merito a salario e tema della discontinuità del rapporto di lavoro”. Ma non basta. Perché la seconda parte del messaggio è sostanzialmente ultimativa: “Ci aspettiamo che #13Aprile arrivino sostanziali modifiche altrimenti la trattativa #Ilva per la Fiom non può proseguire!”.
Un altro paio d’ore, ed ecco un secondo tweet della Fim: “#ILVA: #Bentivogli su contratto discontinuità solo nella forma, non nella sostanza”. Un messaggio che traduce in tuitterese il titolo di un comunicato emesso nel frattempo dal sindacato dei metalmeccanici Cisl.
Che cosa è successo, dunque, nell’incontro svoltosi al Mise? Nelle intenzioni del Governo, quello odierno doveva costituire il primo di una serie di appuntamenti organizzati per esaminare in termini ravvicinati i punti della trattativa rispetto ai quali si svolge il confronto fra acquirente, ovvero AM Investco Italy, e sindacati.
Un punto notoriamente problematico è quello dell’occupazione. Come ricordato sopra, e come noto ormai quasi da un anno, in Ilva vi sono attualmente circa 14.000 dipendenti. ArcelorMittal aveva espresso inizialmente la volontà di riassumerne circa 8.500, mentre il ministro Calenda aveva dato istruzione ai Commissari straordinari di trattare con il candidato acquirente per portare tale cifra almeno fino a 10.000 addetti. Di questo punto si è parlato nell’incontro del 4 aprile scorso e si dovrebbe tornare a parlare nei prossimi appuntamenti.
Oggi, invece, al centro del confronto c’era la questione della cosiddetta “discontinuità contrattuale”. Una questione che, come vedremo, rinvia a un’altra questione fondamentale: quella del contratto di vendita di Ilva a AM Investco definito l’anno scorso fra Governo e ArcelorMittal.
Fin dall’anno scorso si sapeva, infatti, che nel progetto originario dei ArcelorMittal c’era l’idea che tutti i lavoratori destinati a trasmigrare dall’Ilva a AM Investco venissero prima licenziati dall’Ilva e poi riassunti dall’azienda acquirente. Un’idea, questa, che ovviamente non è mai piaciuta ai sindacati che hanno sottolineato, fin da subito, i rischi connessi a questo schema. Rischi che consistono, innanzitutto, nel fatto che ogni singolo lavoratore che dovesse passare attraverso le due tappe costituite da licenziamento e riassunzione verrebbe a perdere la propria anzianità aziendale e dunque, da una parte, le tutele offerte dall’art. 18 ormai solo ai lavoratori tutt’ora attivi in base a assunzioni effettuate prima del 2015, e, dall’altra parte, il proprio inquadramento con annesso livello retributivo. Ma va anche detto che esiste un rischio collettivo, ovvero quello che la discontinuità contrattuale implichi la cancellazione dei risultati contrattuali accumulatisi in azienda dopo anni di contrattazione, anche normativa, di secondo livello.
Ciò che, in merito a tali questioni, è emerso con maggiore chiarezza nell’incontro odierno rispetto a quanto avvenuto negli incontri precedenti, è che i Commissari straordinari, espressisi oggi per bocca del commissario Enrico Laghi, sostengono che la discontinuità contrattuale di cui stiamo parlando sia un elemento necessario affinché il processo di vendita dell’Ilva possa andare a buon fine.
Questa convinzione deriva dal fatto che il bando di vendita del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, reso noto l’anno scorso dal Governo italiano, era stato predisposto nell’ambito della normativa europea relativa a simili operazioni. Ora il punto è che nel corso del tempo vari e successivi Governi del nostro Paese hanno impegnato ingenti risorse finanziarie rispetto all’Ilva, specie allo scopo di cominciare a risolvere i gravi problemi ambientali dello stabilimento di Taranto (che, ricordiamolo, è l’impianto siderurgico più grande d’Europa). D’altra parte, la normativa europea, in senso lato, è volta a impedire che esborsi di denaro pubblico, configurabili come “aiuti di Stato”, vadano ad alterare le condizioni della concorrenza fra imprese operanti entro i confini dell’Unione.
Da tutto ciò segue che, in base alla normativa europea, è necessario impedire che risorse finanziarie, stanziate dalla Repubblica italiana per risolvere problemi urgenti del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, finiscano poi per avvantaggiare l’azienda acquirente del gruppo stesso. A tal fine, occorre tagliare ogni continuità giuridica fra la vecchia azienda, posta in vendita in base al modello di bando di cui sopra, e quella che potrà iniziare a operare dopo il perfezionamento dell’acquisizione della vecchia azienda.
Ora, par di capire, i sindacati non intendono eccepire qualcosa rispetto ai termini generali di questo ragionamento. Intendono però trovare i modi in base a cui tale discontinuità giuridica fra vecchia e nuova proprietà non si scarichi con uno strascico di conseguenze negative sui lavoratori in forza all’Ilva. Come si può leggere nel citato comunicato della Fim-Cisl, il tema della discontinuità “può essere affrontato solo nella forma”, ma occorre “mantenere sostanzialmente le condizioni attuali” sia “in termini di anzianità aziendale, professionale e retributiva dei lavoratori”, sia “per quanto riguarda il Contratto nazionale”, sia per ciò che riguarda l’accordo di “secondo livello sottoscritto nel 2010”.
A questo proposito, la Fiom sostiene, in un comunicato uscito a metà pomeriggio, che l’attuale proposta aziendale “determinerebbe per i lavoratori una perdita economica di circa 4.000-5.000 euro annui”. AM Investco, infatti, vorrebbe trasformare gli attuali premi aziendali, quattordicesima compresa, in “premi completamente variabili”. Oltre a ciò, l’azienda acquirente prevede il pagamento effettivo di tali premi solo al raggiungimento di una soglia di redditività aziendale che, a giudizio della Fiom, difficilmente potrà essere toccata nei prossimi anni.
I problemi connessi al termine “discontinuità contrattuale” sono dunque più d’uno. In primo luogo, ci sono aspetti, quanto meno formali, relativi alle conseguenze, forse impreviste, che l’applicazionedella normativa europea varata con finalità antitrust può determinare in campo sindacale. In secondo luogo, c’è la volontà dell’azienda acquirente di risparmiare cifre significative del monte salari, almeno nei primi anni del suo nuovo impegno.
A monte di tutto, però, c’è un’altra questione che, pur essendo relativa alle origini stesse dell’attuale vertenza Ilva, è venuta emergendo con crescente visibilità nei due incontri più recenti: quelli del 4 e dell’11 aprile. Ed è la questione costituita dai termini, definiti l’anno scorso, del contratto di vendita dell’Ilva a AM Investco.
Che per i sindacati fosse problematico accettare il piano elaborato da AM Investco per l’Ilva è cosa nota fin dalla primavera dell’anno scorso. Infatti, già il 30 maggio del 2017 Fim, Fiom e Uilm avevano definito come “inaccettabili” le conseguenze occupazionali dei piani inizialmente presentati dalle due cordate che, allora, si contendevano la possibilità di acquisire il maggior gruppo siderurgico italiano: quella guidata da ArcelorMittal, risultata poi vincitrice, e quella capeggiata dal gruppo indiano Jindal South West, risultata poi soccombente.
Successivamente, il 5 giugno dell’anno scorso il Ministro Calenda aveva reso noto di aver autorizzato “i Commissari straordinari del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria a procedere alla aggiudicazione dei complessi aziendali” del gruppo stesso ad AM Investco Italy. Contestualmente, aveva annunciato l’apertura di una “fase negoziale” che si sarebbe svolta “in esclusiva tra i Commissari straordinari e l’aggiudicatario”. Una fase, questa, che sarebbe stata “finalizzata” a “eventuali miglioramenti dell’offerta vincolante”.
Dal luglio dell’anno scorso, è invece in corso una successiva fase della vicenda Ilva, quella in cui i sindacati, a partire dal fatto che l’azienda acquirente intende modificare sia il totale degli occupati che i trattamenti salariali dei lavoratori riassunti, sono chiamati a confrontarsi con l’acquirente. Il che non è solo un esercizio svolto nel campo delle relazioni industriali, ma un passaggio decisivo della vicenda. Infatti, in base a quanto previsto dall’articolo 2112 del codice Civile (modificato dall’articolo 47 della legge n. 428/1990), in simili casi l’accordo con i sindacati ha un valore vincolante affinché la vendita di un “ramo d’azienda” possa essere perfezionata.
Ebbene, il nodo problematico che è stato illustrato oggi ai cronisti presenti al Mise dal segretario nazionale Fiom responsabile per la siderurgia, Rosario Rappa, è proprio quello dell’ambito e della natura del confronto in corso rispetto all’Ilva. Se i sindacati chiedono all’azienda acquirente di modificare questo o quell’aspetto del suo piano, per il sindacalista tale azienda non può trincerarsi dietro il fatto che si tratta di aspetti già discussi col Governo. Né il Governo può limitarsi a fare da spettatore. In ogni caso, ha chiarito Rappa, i sindacati, di cui lo stesso Rappa ha lodato la “tenuta unitaria”, intendono, appunto, partecipare a un confronto e non essere chiamati a ratificare decisioni altrui.
Le risposte che AM Investco fornirà ai sindacati venerdì prossimo appaiono dunque decisive per il futuro stesso del negoziato.
@Fernando_Liuzzi