Oggi, nuova puntata della vicenda Ilva. Una storia apparentemente infinita che dura da 6 anni, se si parte da quando la guida della famiglia Riva sul più grande gruppo siderurgico italiano è entrata in crisi. O da più di un anno, se si parte da quando il Governo italiano, allora un esecutivo di centrosinistra capitanato da Paolo Gentiloni, annunciò che AM InvestCo Italy, la cordata creata per impulso del colosso franco-indiano ArcelorMittal, si era aggiudicato la gara internazionale per l’acquisizione dei “complessi aziendali del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria”.
Una puntata, va detto subito, da cui non sono uscite novità sostanziali per ciò che riguarda i contenuti della trattativa triangolare fra Governo, azienda acquirente e sindacati, ma nel corso della quale lo schema stesso della relazione fra le parti ha assunto un nuovo assetto. E questo, almeno a prima vista, non è certo un cambiamento di piccolo
Che cosa vogliamo dire? Il punto è questo. Nel giugno del 2017 – dopo che i Commissari (cui all’inizio del 2015 era stata affidata l’Amministrazione straordinaria del gruppo Ilva) avevano giudicato che l’offerta presentata da AM InvestCo Italy fosse preferibile rispetto a quella presentata da Acciaitalia, la cordata costruita dal gruppo indiano Jindal South West – era cominciata una prima fase di trattativa tra l’azienda aggiudicataria, ovvero AM InvestCo, e gli stessi Commissari straordinari. Commissari cui il ministro dello Sviluppo economico dell’epoca, Carlo Calenda, aveva assegnato il compito di ottenere un significativo miglioramento degli aspetti occupazionali del piano industriale presentato dalla stessa AM InvestCo.
Orbene, questa prima fase di trattativa si era conclusa con una vittoria parziale dei Commissari, i quali avevano ottenuto che AM InvestCo facesse salire da 8.500 a 10.000 il numero dei lavoratori occupati nel gruppo Ilva che sarebbero stati riassunti dalla nuova proprietà. Vittoria parziale perché, certo, 1.500 occupati in più sono già qualcosa. Restava però il fatto che circa 4.000 dei 14.200 lavoratori in forza in quel momento al gruppo Ilva non avrebbero avuto davanti a sé una sicura prospettiva occupazionale. Da ciò la critica durissima dei sindacati che si sono proposti, da subito, di evitare che il cambio di proprietà comportasse degli esuberi.
Ed è appunto da questo momento che si è aperta quella che abbiamo definito come la seconda fase negoziale della vicenda Ilva. Una fase, avviatasi nel luglio del 2017 e durata fino alla fine di aprile del 2018, in cui i sindacati si sono confrontati con l’azienda aggiudicataria, ormai trasformatasi in azienda acquirente, mentre il Governo svolgeva, da una collocazione super partes, una funzione di mediazione.
Passando dalla cronaca alla geometria, si potrebbe dire che la trattativa aveva assunto una forma bilaterale, con i sindacati da una parte, e l’azienda acquirente dall’altra, mentre il Governo, postosi al di sopra del campo di gioco, si auto assegnava un ruolo non si vuol dire di arbitro, ma semmai di facilitatore dell’auspicato accordo. E ciò anche perché il Governo, in realtà, aveva già esercitato, per mezzo dei Commissari, il suo ruolo di parte in causa. Ruolo che aveva avuto uno sbocco concreto nella definizione del contratto di vendita dei complessi aziendali del Gruppo Ilva, eccetera, ad AM InvestCo Italy.
Ebbene, la novità di oggi, o quanto meno la novità intravista oggi, è che la trattativa, come sopra accennato, ha cambiato assetto, venendo ad assumere quella forma triangolare che, fin qui, non ha mai pienamente avuto. E ciò perché il nuovo Governo, quello in cui Luigi Di Maio ha preso su di sé oltre all’incarico di vice-Presidente del Consiglio, anche quello di Ministro, assieme, del Lavoro e dello Sviluppo Economico, sembra intenzionato ad assumere il ruolo di una terza parte che non è schierata aprioristicamente né con l’azienda acquirente, né con i sindacati. E, così facendo, riapre in qualche modo i giochi.
Lo si è capito già a metà pomeriggio quando, verso le ore 16:30, i dirigenti dei sindacati dei metalmeccanici sono usciti dal portone principale del Ministero dello Sviluppo Economico, quello posto all’angolo fra via Veneto e via Molise.
Infatti, sia da parte della Fiom che della Uilm sono venute parole di apprezzamento per la posizione espressa dal giovane ministro pentastellato nel corso dell’incontro da lui avuto oggi con i sindacati e durato un po’ più di due ore. “Siamo d’accordo con il Ministro quando dice che l’azienda deve cambiare posizione”, ha dichiarato Francesca Re David, segretaria generale della Fiom. “Quello che ci aspettiamo, e il Ministro oggi ce lo ha confermato, è un intervento forte del Governo nei confronti di ArcelorMittal”, ha detto, di rincalzo, Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. Il quale ha poi specificato che “la trattativa con AM InvestCo può ripartire solo da condizioni diverse”, ovvero “sulla base della piena occupazione” rispetto a “tutti i lavoratori”.
Verbalmente più prudente, ma almeno apparentemente collocato su questa linea, si è poi mostrato più tardi lo stesso Di Maio quando, verso le ore 19:00, si è affacciato anche lui sulla scalinata che unisce il portone ministeriale al marciapiede di via Veneto. Dopo aver ricevuto i sindacati, infatti, il biministro ha avuto un colloquio anche con i rappresentanti di ArcelorMittal. E ciò nel corso di un incontro che lui stesso, parlando con i cronisti che lo avevano atteso pazientemente sul marciapiede, ha definito “cordiale”.
In cosa consiste, dunque, la linea elaborata in merito all’Ilva dall’attuale Governo? Rispetto ai progetti presentati a suo tempo da AM InvestCo Italy, Di Maio ha detto che “sia il piano ambientale che il piano occupazionale non sono soddisfacenti”. Il Governo si attende dunque dall’Azienda un loro “forte miglioramento”. O, “almeno”, “qualche passo in avanti”.
Per ciò che riguarda in particolare il piano ambientale, Di Maio ha ribadito una formula da lui già usata, ovvero che gli abitanti di Taranto “devono poter respirare” aria pulita. L’azienda – a quel che si è compreso in mezzo ai rumori di fondo di una via che, a quell’ora, è solitamente piuttosto trafficata – avrebbe già presentato al Governo delle modifiche ai propri progetti originari. Modifiche che saranno sottoposte a un esame ravvicinato in cui i Commissari straordinari potranno avvalersi della cooperazione di tecnici messi a disposizione dal Mise.
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti occupazionali del piano industriale, Di Maio ha ribadito che, a giudizio del Governo di cui fa parte, “i numeri” non sono soddisfacenti. Insomma, rispetto a questo nodo decisivo della vicenda non si sarebbero ancora delineate novità. Ovvero, l’azienda sarebbe sempre ferma al progetto di riassumere solo 10mila dei 14mila dipendenti del vecchio gruppo Ilva.
E allora? Allora il Ministro si è mostrato consapevole del fatto che, come aveva dichiarato a metà pomeriggio Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, “è necessario trovare delle soluzioni al più presto”. Laddove “al più presto”, nelle parole del biministro Di Maio, significa “entro luglio”.
Tutto bene, allora? Fino a un certo punto. Da un certo punto di vista, infatti, il quadro si è un po’ rasserenato. Lo stesso Bentivogli ha dichiarato di aver chiesto a Di Maio, anche nella sua veste di vice-Presidente del Consiglio, delle “risposte definitive” sul futuro dell’Ilva. Una richiesta cui, secondo lo stesso Bentivogli, Di Maio non avrebbe “risposto direttamente”, ma solo indirettamente, affermando che “il fatto che sta trattando con ArcelorMittal significa che continua a lavorare affinché l’Ilva produca acciaio”. Traducendo dal sindacal-politichese in italiano corrente, ciò dovrebbe voler dire che, mentre il leader extraparlamentare del MoVimento 5 Stelle, ovvero Beppe Grillo, si era spinto fino a dire che al posto dell’Ilva di Taranto avrebbe visto bene un parco giochi, Di Maio avrebbe abbandonato ogni estremismo ambientalista, per acconciarsi a tentare di mantenere in vita un’Ilva risanata e quindi ecocompatibile. Evviva.
D’altra parte, lo stesso Di Maio ha poi ribadito anche ai cronisti, assiepati in serata sulla scalinata esterna del Mise, che sta lavorando “a 360 gradi” per “il miglioramento” dei piani ambientali e occupazionali di AM Investco Italy.
Resta però, sullo sfondo, un problema, al momento, irrisolto. In termini giuridici, ArcelorMittal può probabilmente sostenere di aver già definito, col precedente Governo italiano, un contratto di acquisto che è tutt’ora perfettamente valido. E ciò mentre, in termini politici, volendo lavorare in Italia, sembra intenzionato a trovare un qualche compromesso “più avanzato” con l’attuale Governo.
Ma è lecito chiedersi: i piani industriali di ArcelorMittal, immaginati a partire dalla conoscenza di uno scenario globale complesso come è oggi quello dell’acciaio, potranno dilatare le loro ricadute occupazionali fino a venire incontro alle aspettative dei sindacati o, quanto meno, a quelle del Governo? Il seguito, se non ancora la risposta, alla prossima puntata.
@Fernando_Liuzzi