“Un fulmine a ciel sereno”, ma anche “Il meglio è nemico del bene”. Due espressioni proverbiali che possono aiutarci a inquadrare e descrivere la più recente, drammatica puntata della vicenda Ilva.
Puntata che inizia nella serata di martedì 28 novembre, quando si forma la notizia che il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci (Pd), e il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (anch’egli Pd), hanno deciso di impugnare il dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) con cui, a fine settembre, il Governo aveva modificato il piano ambientale relativo allo stabilimento Ilva di Taranto. Decreto che, a giudizio dei ricorrenti, sarebbe illegittimo.
Perché fulmine a ciel sereno? In realtà, si potrebbe osservare, il cielo sopra la vertenza Ilva non è affatto sereno da molto tempo a questa parte. E se questo è vero in generale, dati i molti problemi che appesantiscono e travagliano questa vicenda, è vero anche nello specifico dei rapporti fra Regione Puglia e Governo, dato che il prorompente Emiliano non ha mancato di rimarcare ripetutamente le sue critiche relative al modo in cui gli Esecutivi guidati da uomini del suo stesso partito (da Letta a Gentiloni, passando per Renzi) si sono rapportati, in questa legislatura, alle questioni ambientali, dal Tap al risanamento del centro siderurgico tarantino.
E tuttavia, in apertura di questa settimana, un certo ottimismo aveva cominciato a diffondersi sulle prospettive della vicenda Ilva. Proprio nella mattinata di ieri, infatti, la Commissaria alla Concorrenza dell’Unione Europea, Margrethe Vestager, aveva pronunciato parole più concilianti in merito all’indagine da lei aperta l’8 novembre sulla progettata acquisizione del gruppo Ilva da parte di AM Investco Italy, la cordata formata ad hoc dal maggior produttore mondiale di laminati piani, il colosso franco-indiano ArcelorMittal. E ciò non in un’occasione qualunque, ma dopo aver partecipato, su invito di Mario Monti, all’apertura dell’anno accademico dell’Università Bocconi e quasi in contemporanea con un incontro avuto, nella stessa circostanza, col ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda.
A ciò si aggiunga che, nei giorni scorsi, lo stesso ministro Calenda aveva mostrato di sapersi districare rispetto ai problemi posti dai rilevanti aspetti territoriali delle vicende del gruppo Ilva. E ciò immaginando che, da un lato, al tavolo ministeriale, potessero proseguire gli incontri quadrangolari fra, Governo, Commissari straordinari, sindacati e AM Investco. Mentre dall’altro, per offrire un’occasione di interlocuzione alle Regioni e ai Comuni interessati dagli sviluppi della vicenda, potessero formarsi dei tavoli istituzionali separati dedicati, in particolare, ad aspetti specifici connessi ai vari stabilimenti, quali l’accordo di programma relativo a quello di Genova Cornigliano e le questioni ambientali di quello di Taranto. In modo tale, insomma, che ognuno potesse avere un ruolo appropriato in questa complessa vicenda.
L’impugnativa voluta da Emiliano e Melucci, di cui a quanto pare dovrebbe occuparsi la sezione distaccata di Lecce del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ha avuto invece l’effetto di far precipitare improvvisamente il barometro della vertenza, facendo infuriare il ministro Calenda.
Se ne è avuta una prova stamattina quando il Ministro ha tenuto un discorso franco e insolitamente duro di fronte a un pubblico per lui inconsueto: quello dell’Assemblea nazionale della siderurgia organizzata dalla Fiom, a Roma, presso la sede nazionale della Cgil.
Proprio per oggi, infatti, era stata messa in calendario dalla Fiom un’assemblea di settore impostata più come un convegno che come un tradizionale appuntamento sindacale. Tra gli ospiti attesi il suddetto Ministro, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, e Luis Angel Colunga, vicesegretario di IndustriALL Europa, sindacato continentale del settore manifatturiero.
Ed ecco che, dopo l’introduzione svolta da Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom responsabile della siderurgia, ha preso la parola Carlo Calenda. Il quale ha spiegato che se il Tar di Lecce dovesse accogliere la richiesta di sospensiva del dpcm, ai Commissari che hanno tutt’ora la responsabilità del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria non resterebbe che avviare il processo di spegnimento degli altoforni.
E qui siamo alla fattispecie del detto “Il meglio è nemico del bene”. Dopo una lunghissima e intricatissima vicenda snodatasi nel corso degli ultimi anni, il dpcm di fine settembre si era proposto di semplificare l’attuale quadro normativo in materia ambientale, allo scopo di favorire un ormai improcrastinabile avvio dei più urgenti lavori di ambientalizzazione. E infatti, al termine dell’incontro fra sindacati e commissari straordinari svoltosi al ministero dello Sviluppo economico nella serata di lunedì 27, era stato annunciato che gli stessi commissari avrebbero dato avvio, a partire dai primi di gennaio, ai lavori di copertura dei famigerati parchi minerali; quelli da cui, nei giorni più ventosi, si levano quelle folate inquinanti che rendono irrespirabile l’aria di Taranto.
In sostanza, l’idea era che i commissari avviassero da subito tali lavori, utilizzando fondi pubblici. In un secondo tempo, una volta conclusa positivamente, come sperato, la procedura di acquisizione del gruppo Ilva da parte di AM Investco, attualmente ancora solo aggiudicataria del gruppo stesso, tali fondi avrebbero poi potuto essere restituiti dall’acquirente. Il quale ultimo aveva nel frattempo il dovere di mettere a punto un proprio piano ambientale. Piano i cui lineamenti, ancora molto generali, sono stati illustrati dall’azienda ai sindacati nel secondo dei due incontri svoltisi al Mise nella giornata di martedì 28.
Ora, considerando che la vicenda dell’acquisizione è destinata a durare ancora qualche mese, la via escogitata dal Governo avrebbe consentito di guadagnare tempo prezioso per cominciare a far migliorare la situazione ambientale di Taranto. A questo punto, invece, niente. Mirando a ottenere norme più rigorose, la mossa di Emiliano e Melucci rischia di azzerare quel tanto che avrebbe potuto cominciare a concretizzarsi già dai primi del prossimo gennaio. Non solo. Un eventuale azzeramento del dpcm rischierebbe di alterare profondamente il quadro normativo fin qui noto al candidato acquirente, ovvero a AM Investco Italy. Il quale, proprio mentre si rasserenava, come detto, il quadro dell’indagine svolta dall’Antitrust europeo, verrebbe così a trovarsi davanti a un nuovo fattore di incertezza.
Il piano di investimenti attualmente prospettato per l’Ilva assomma, ha ricordato Calenda, a qualcosa come 5,3 miliardi di euro. Una dimensione che sarebbe più che apprezzata in qualsiasi paese europeo, mentre da noi insorgono nuove e inattese difficoltà. E dopo aver affermato che, qualora il Tar di Lecce dovesse accogliere il ricorso di Emiliano e Melucci, il Governo farà comunque ricorso al Consiglio di Stato, Calenda ha affermato che “è inutile continuare a discutere” al tavolo ministeriale col candidato acquirente “finché questa situazione non si chiarirà”. Pertanto, “il processo di confronto su Ilva si ferma”.
Pronta la replica della Fiom. Francesca Re David, segretaria generale dei metalmeccanici Cgil, ha detto che il confronto “deve continuare”, ma anche che ritiene “inopportuno” affidarsi ai tribunali e che questo è un momento in cui “serve responsabilità da parte di tutti”.
Inutile dire che l’uscita di Emiliano e Melucci, oltre alle critiche della Fiom, si è conquistata l’aperto dissenso di tutto il fronte sindacale, unito, in questo caso, alla Confindustria. Diverse voci hanno anche auspicato che Emiliano e Melucci tornino sui propri passi, ritirando il ricorso al Tar.
Il seguito, si dice per solito in questi casi, alla prossima puntata. Solo che, al momento, nessuno sa quando tale puntata potrà andare in scena.
@Fernando_Liuzzi