Prima definizione: “Solo una sceneggiatura ben congegnata per coprire un vuoto di proposte”. Seconda definizione: “Un happening estivo”. Due giudizi in qualche modo convergenti, come si vede. Ma dati da due persone molto diverse, e in due circostanze diverse, sullo stesso avvenimento.
Di che cosa stiamo parlando? Dell’ennesimo incontro sulla cosiddetta “vertenza Ilva” svoltosi lunedì 30 luglio a Roma, dalle dieci del mattino a mezzogiorno, nei saloni del Ministero dello Sviluppo Economico. Un incontro che domenica 29, per come già si prospettava, è stato giudicato severamente dal Sindaco di Taranto, il piddino Rinaldo Melucci (che è l’autore della prima definizione). E che oggi, a riunione conclusa, è stato giudicato ancor più severamente dal segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli.
Cosa c’era, dunque, e cosa c’è stato di così particolare, nell’incontro odierno, da suscitare reazioni così negative? Il fatto, come ricorderanno i nostri lettori più affezionati, è che il Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio, nella sua veste di Ministro dello Sviluppo Economico, aveva recentemente espresso insoddisfazione per i piani di risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto elaborati da AM Investco Italy; ovvero dalla cordata capeggiata da ArcelorMittal che, l’anno scorso, si era aggiudicata la gara per l’acquisizione dei “complessi aziendali dell’Ilva in Amministrazione straordinaria”. Lo stesso Di Maio aveva, peraltro, espresso insoddisfazione anche per le conseguenze occupazionali del piano industriale a suo tempo presentato dalla stessa AM Investco. E aveva anche dichiarato che il Governo si attendeva che la stessa ArcelorMittal avrebbe presentato piani significativamente migliorativi di quelli precedenti.
Ebbene, ArcelorMittal ha rapidamente predisposto, per prima cosa, dei nuovi progetti ambientali che il Governo, come già comunicato, si accingeva a far esaminare da propri consulenti tecnici. E fin qui, tutto bene. Solo che, a questo punto, qualcuno, forse nei vari palazzi ministeriali di cui il cittadino Di Maio è titolare, o forse, chissà, negli ambienti del MoVimento 5 Stelle, per non dire alla Casaleggio Associati, ha pensato di trasformare una tappa della normale relazione informativa tra un’impresa e il Ministero dello Sviluppo Economico in un evento di comunicazione.
A tale scopo, lo stesso Ministero ha annunciato che per lunedì 30 luglio era stato convocato un incontro in cui ArcelorMittal avrebbe potuto illustrare i suoi nuovi piani ambientali non solo a quei soggetti sindacali e a quelle Amministrazioni locali che, per solito, vengono convocati in questi casi, ma a una platea molto più ampia di associazioni variamente interessate alle problematiche ambientali connesse agli stabilimenti dell’Ilva. Con una dilatazione molto ampia del concetto di Stakeholder, ovvero di “portatore di interessi” relativi a una data situazione.
E dunque, i sindacati dei metalmeccanici, le regioni Piemonte, Liguria e Puglia, i Presidenti di varie Provincie, tra cui Genova e Taranto, i Sindaci di diversi Comuni. E poi una miriade di associazioni le più svariate, dal Codacons a Peace Link, dal Comitato art. 32 di Statte al No Inceneritori di Massafra. Totale: 62 soggetti in indirizzo, convocati al Mise. E tutto ciò per un incontro che, fin da prima dell’inizio, si sapeva sarebbe potuta durare non più di due ore. Causa precedenti impegni istituzionali del Ministro, ovviamente. Tanto che anche ArcelorMittal ci teneva a far sapere che era rimasta sorpresa per l’ampiezza del numero degli invitati all’incontro romano.
Ma tant’è: i rappresentanti dell’Azienda hanno illustrato ai presenti una quarantina di slides, peraltro reperibili su Internet da fine mattinata. Dopodichè, festa finita. Nel senso che, terminata l’illustrazione sommaria di proposte e propositi che, inevitabilmente, erano e sono tecnicamente complessi, non c’era più tempo per consentire ai presenti di fare delle domande significative e di ricevere delle risposte dettagliate. La cosa importante, a questo punto, era un’altra: il giovane Ministro pentastellato è sceso al pianterreno del Mise per incassare una prima razione di dividendi comunicativi.
Per l’occasione, si noti bene, cronisti di agenzie e quotidiani, cameramen e giornalisti di radio e televisioni erano stati fatti accomodare nella sala nota come “Parlamentino”, data la sua pianta semicircolare. Qui Di Maio si è presentato poco dopo Mezzogiorno e, invece di riferire sui contenuti tecnici di quanto esposto da ArcelorMittal, ha fatto un comizio contro i Governi precedenti al suo e, in particolare, anche se senza nominarlo, contro l’ex titolare del Mise, Carlo Calenda.
Per Di Maio, dunque, l’incontro odierno costituisce un “cambio di passo”. Nel senso che segna un cambio di metodo dalla fase in cui il suo predecessore “firmava contratti con AM Investco senza neanche informarne i sindacati”, a quella di adesso in cui “i cittadini” (sì, ha detto proprio così: “i cittadini” e non, che so io, associazioni rappresentative di cittadini) possono ascoltare in diretta la viva voce dell’Azienda che illustra i suoi piani.
Ma non basta. “Io – ha scandito Di Maio – non aderisco all’idea che dell’Ilva bisogna liberarsene e che quindi dobbiamo regalarla alla prima persona che passa.” Attribuendo implicitamente una simile idea ai predecessori di cui sopra.
Di più. Di Maio si è chiesto:“Come gestivano”, quei predecessori, “le crisi aziendali” che arrivano al Mise? Secondo le sue alate parole, questa era la modalità di gestione precedente all’avvento del Governo del Cambiamento: “C’è una crisi? Dobbiamo togliercela dalle scatole”. Dopodiché, per la fretta di arrivare al risultato liberatorio, i predecessori le cose le facevano male, e, dopo un po’ di tempo, la crisi aziendale, sostanzialmente irrisolta, tornava a riproporsi.
Di Maio ha quindi rivolto la sua vis polemica a “chi non è venuto”, ovvero al Sindaco di Taranto e ad altri tre sindaci del Tarantino che, sulla base dell’analisi ricordata all’inizio, avevano deciso, domenica, che, date le premesse, non valesse la pena di fare questo viaggio a Roma. Ma lui ha insistito: “Non capisco gli assenti”.
Ma ancora non basta. Perché, rispondendo alla domanda postagli da un giornalista del “Sole 24 Ore”, Di Maio è tornato sulla questione delle cosiddette “criticità” relative alle procedure concernenti la gara internazionale per l’aggiudicazione dell’Ilva. Criticità la cui esistenza è stata avvalorata da un parere fornito al Governo dall’Anac, l’Autorità nazionale anti-corruzione.
Ebbene, in prima battuta, rispetto a tale questione – che, al limite, potrebbe comportare un azzeramento della gara vinta l’anno scorso da AM Investco -, Di Maio ha ripetuto quanto già detto in precedenti occasioni, ovvero che, entro la corrente settimana, il Mise chiederà in merito un parere all’Avvocatura dello Stato. Solo che, poi, non ha resistito all’impulso a rincarare la dose, e si è lanciato a dire che “se il Governo precedente ha sbagliato” rispetto all’impostazione e alla conduzione della gara, ebbene, lui, Di Maio, “porterà tutte le carte in Procura”.
Il che, se qualcuno prendesse sul serio le sue parole, sarebbe una notizia bomba. Perché chi ha pronunciato tali parole, dopotutto, è il ministro dello Sviluppo Economico della seconda potenza manifatturiera d’Europa. Perché le ha pronunciate durante un, sia pur rapido, incontro stampa organizzato dentro alla sede di tale Ministero, quindi in un’occasione ufficiale. E perché sono relative a una gara internazionale che, innanzitutto, è stata vinta dalla più grande azienda siderurgica del pianeta Terra e poi, per quanto di competenza, è stata esaminata e approvata dalla Commissione dell’Unione Europea.
Infine, una perla filosofica. Di Maio si è scagliato contro uno dei criteri in base ai quali era stata impostata la gara per l’aggiudicazione dell’Ilva. In base a tale criterio, le offerte delle imprese concorrenti sarebbero state valutate dando un punteggio basato per il 50% sulla valutazione relativa al prezzo di acquisto, per il 25% sulla valutazione relativa ai piani di risanamento ambientale e, per il restante 25%, sulla valutazione dell’impatto occupazionale. “Quindi come al solito – ha scandito Di Maio – i soldi venivano prima di tutto”. Dal che si apprende che, per il nostro Ministro dello Sviluppo Economico, il prezzo offerto da una cordata costituita ad hoc per acquisire una nostra azienda in Amministrazione straordinaria è una questione secondaria. Andiamo bene.
Quando non era passata ancora mezz’ora dall’inizio dell’incontro stampa, e cioè a mezzogiorno e mezzo, Di Maio si è scusato, ha salutato tutti con un rapido cenno del capo e, ancor più rapidamente, ha infilato la porta, diretto verso il Parlamento, quello vero, dove partiva la discussione sul cosiddetto decreto Dignità. Ma, nonostante che la sala del Parlamentino si fosse liberata, nessuno ha pensato ad offrirla ai rappresentanti degli Stakeholders che avevano partecipato all’incontro con l’Azienda e il Ministro. E’ così accaduto che figure anche significative come Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, o Maurizio Landini, segretario confederale della Cgil, o Francesca Re David, Marco Bentivogli e Rocco Palombella, rispettivamente segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, non abbiano potuto godere degli agi comunicativi riservati al Ministro Di Maio, ma si siano dovuti accontentare di incontrare la stampa sugli scalini antistanti al portone del Ministero, in mezzo ai rumori prodotti dal traffico di via Veneto.
In serata, invece, sull’orizzonte della trattativa è planato uno stringato comunicato di ArcelorMittal in cui ogni parola appare soppesata con cura. Il colosso franco-indiano dell’acciaio afferma quindi che “la proposta migliorativa” oggi illustrata dall’azienda “rappresenta davvero la proposta più avanzata”. Inoltre, tale proposta “garantisce che Ilva abbia un futuro sostenibile come produttore di acciaio leader in Italia.” Non solo: “Gli impegni aggiuntivi presentati oggi da ArcelorMittal rispetto al contratto” di acquisto di Ilva “rappresentano i migliori e definitivi impegni” da parte della stessa ArcelorMittal “nelle aree chiave di intervento indicate”; impegni che “saranno formalizzati firmando un addendum al contratto” definito l’anno scorso.
Solo che, ecco il punto, “l’elemento critico è l’attuazione”. Nel senso che “prima potremo iniziare a mettere in atto queste iniziative, prima potremo offrire i miglioramenti richiesti da Ilva e dai suoi stakeholder”. Insomma, par di capire che, per ArcelorMittal, il dilatarsi dei tempi di decisione – che sin qui è stato perseguito anche comprensibilmente da un Governo appena insediato che doveva, in qualche modo, prendere le misure rispetto a una vicenda industriale particolarmente complessa – stia diventando un fattore critico.
Del resto, qualcosa di simile è stato detto, anche se con diversi accenti, anche dai sindacati confederali. E ciò anche perché l’accelerazioni dei tempi connessi alle operazioni di risanamento ambientale, rispetto a cui i piani illustrati oggi da ArcelorMittal, a detta di molti, hanno fatto dei veri passi avanti, è un’accelerazione sempre relativa a una data di inizio. In altri termini, se il Governo non perviene a una decisione definitiva, non partono neppure quelle opere di risanamento la cui attuazione dovrebbe essere accelerata.
Un’ultima notazione. Dal Ministero dello Sviluppo Economico oggi era trapelata l’ipotesi che un incontro fra azienda e sindacati, volto a discutere le questioni occupazionali, potesse svolgersi nella giornata di martedì 31. Ma, uscendo dal portone di via Veneto, il segretario Cgil Landini ha precisato che, a questo punto, per Cgil e Fiom un nuovo incontro fra azienda e sindacati sull’occupazione avrebbe senso solo se ad esso partecipasse, in base alla classica formula triangolare, anche il Governo. Con tutta la sua responsabilità. E fin qui, rispetto a questa vicenda, il Governo pentaleghista ha sì mostrato voglia di apparire innovativo, ma non ha ancora lasciato capire in quali scelte tale desiderio di cambiamento possa poi concretizzarsi.
@Fernando_Liuzzi