Con un incontro quadrangolare, si è formalmente aperta ieri, a Roma, la trattativa con i sindacati relativa al passaggio dell’Ilva sotto il controllo di ArcelorMittal, il colosso franco-indiano dell’acciaio. L’incontro, convocato per le ore 10 al ministero dello Sviluppo economico, è stato guidato dal sottosegretario Teresa Bellanova, in rappresentanza del Governo, e ha visto la partecipazione di Piero Gnudi in rappresentanza dei commissari cui, nel gennaio 2015, è stata affidata l’amministrazione straordinaria del gruppo Ilva.
Per i sindacati dei metalmeccanici erano presenti diverse organizzazioni, tra cui quelle dei tre sindacati confederali guidate da Marco Bentivogli, Rocco Palombella e Francesca Re David, rispettivamente segretari generali di Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fiom-Cgil. Oltre alla neo-eletta Re David, ha fatto ieri il suo esordio negli incontri relativi all’Ilva il belga Geert Van Poelvoorde, amministratore delegato di ArcelorMittal Europe Flat Products, una delle società del gruppo franco-indiano.
Fatte le reciproche presentazioni, l’incontro è entrato nel vivo. E la sottosegretaria Bellanova ha subito chiarito che, nelle intenzioni del Governo, l’appuntamento aveva, in sostanza, un duplice scopo. Da un lato, come detto, avviare formalmente una trattativa che, per la complessità dei temi che dovrà affrontare, avrà bisogno di svolgersi in tempi certo non brevi. Dall’altro, consentire all’Azienda di presentare ai sindacati i lineamenti generali della propria attività a livello globale e il significato che, rispetto alla sua strategia, ha il progettato acquisto del gruppo Ilva. Lasciando a successivi incontri la possibilità di entrare in un rapporto ravvicinato con quei cosiddetti “dettagli” che costituiscono, in realtà, l’oggetto vero di simili negoziati.
Qual è, dunque, l’oggetto di una trattativa che, già alle sue prime battute, si annuncia come particolarmente complessa? Per rispondere, occorre fare un brevissimo riassunto delle puntate precedenti. Nel gennaio del 2015, come sopra ricordato, il Governo Renzi affidò la gestione del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria a tre commissari: Corrado Carruba, Piero Gnudi ed Enrico Laghi. Il loro mandato era quello di trovare un compratore che si assumesse l’onere di acquisire il gruppo. Ciò allo scopo di risanarlo e di renderlo nuovamente profittevole, nonché di risolvere i numerosi e gravi problemi ambientali creatisi nel tempo nel sito di Taranto.
A fine maggio di quest’anno, si è saputo che la valutazione compiuta dai commissari, in merito alle due offerte di acquisto pervenute, li portava a preferire quella avanzata da AM Investco Italy, la cordata capeggiata da ArcelorMittal e composta anche dal gruppo siderurgico italiano Marcegaglia nonché da Intesa Sanpaolo, rispetto a quella proveniente da AcciaItalia, l’altra cordata ad hoc guidata dal gruppo siderurgico indiano Jindal South West e formata anche da Arvedi, altro gruppo siderurgico italiano, dalla Delfin di Leonardo Del Vecchio e da Cassa Depositi e Prestiti.
Convocati il 30 maggio dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, i sindacati giudicarono unanimemente come “inaccettabile” il progetto presentato da AM Investco, dato che, rispetto ai 14.200 addetti attualmente in forza al gruppo Ilva, tale progetto puntava a impiegarne a regime, ovvero entro il 2024, non più di 8.400. Con un saldo negativo di ben 5.800 addetti. Né le cose cambiarono in un secondo faccia a faccia col Governo e i commissari, tanto che i sindacati, al termine dell’incontro svoltosi il 1° giugno, emisero un comunicato unitario intitolato: “Cambiare il piano, no ai licenziamenti”.
Successivamente, il 5 giugno, il ministro Calenda emise un suo comunicato in cui, da un lato, dava notizia di aver autorizzato i commissari straordinari “a procedere all’aggiudicazione dei complessi aziendali” ad AM Investco Italy; mentre, dall’altro, precisava che, dopo l’aggiudicazione, si sarebbe aperta una “fase negoziale” che avrebbe visto, a suoi protagonisti, “i commissari straordinari e l’aggiudicatario”. Fase che andava, peraltro, “finalizzata” a “eventuali miglioramenti dell’offerta vincolante”.
Il comunicato precisava altresì le “priorità” cui i commissari avrebbero dovuto attenersi nello svolgimento del negoziato, indicando – fra gli obiettivi cui i commissari stessi avrebbero dovuto “indirizzare prioritariamente” la propria azione – il “miglioramento dell’offerta sotto il profilo della tutela occupazionale”, prevedendo un livello “costituito almeno da 10.000 unità. Inoltre, il comunicato ricordava anche che il successivo “accordo sindacale” potrà “ulteriormente incrementare” tale livello.
Ora può essere utile qui ricordare che l’articolo 47 della legge 2112 prevede che, nel caso di una cessione di ramo d’azienda, la parte acquirente abbia l’obbligo di illustrare ai sindacati il piano industriale in base al quale intende operare; ma anche che, qualora tale parte non intenda alterare né le proporzioni dell’organico, né le retribuzioni dei dipendenti, non sia necessario che essa raggiunga un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori coinvolti dal cambio di proprietà. Qualora, invece, la parte acquirente intenda modificare il numero degli addetti e/o le loro retribuzioni, l’accordo con i sindacati diventa vincolante.
Ebbene, questo è proprio il caso del progettato acquisto in base al quale AM Investco dovrebbe entrare in possesso dell’Ilva. I sindacati sono quindi caricati di una grande responsabilità, ma possono anche appoggiare la loro azione di tutela degli attuali addetti sulla sponda che viene loro offerta dalla legge citata.
Il negoziato che si è aperto oggi non parte più, dunque, per ciò che riguarda i suoi contenuti occupazionali, dal progetto inizialmente presentato da AM Investco, ovvero dal proposito di dare lavoro a 8.400 addetti, ma, sostanzialmente, dalla cifra più rotonda indicata dal Ministro, e quindi dall’ipotesi di occupare almeno 10.000 degli attuali dipendenti.
Comunque troppo pochi, per i sindacati. Anche perché, come spiega al Diario del lavoro Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom responsabile per la siderurgia, prima della crisi globale, ovvero nel 2008, a Taranto, a fronte del fatto che venivano lavorate circa 9 milioni di tonnellate di acciaio, c’erano circa 15.000 addetti. Non si capisce dunque come AM Investco possa proporsi di arrivare a lavorare, sempre a Taranto, più di 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, con un organico di appena 10.000 addetti.
In una dichiarazione congiunta, uscita in serata, Francesca Re David, che dal 14 luglio è il nuovo segretario generale della Fiom, e Maurizio Landini, neo segretario confederale Cgil responsabile dei cosiddetti “grandi gruppi”, hanno affermato che “ArcelorMittal non può acquistare il primo gruppo siderurgico italiano, e il secondo mercato europeo, senza farsi carico degli attuali livelli occupazionali”. Per Landini e Re David, “tutti i lavoratori di tutti gli stabilimenti” del gruppo Ilva “devono essere acquisiti nella nuova società a parità di diritti e di salario”.
Con una precisazione giuridicamente significativa, Landini e Re David ricordano, inoltre, di aver richiesto, nel corso dell’incontro, che il prossimo appuntamento sia preceduto “dall’apertura formale della procedura di affitto di ramo d’azienda previsto nei casi di amministrazione straordinaria” quale primo passo sulla via che porta all’acquisto.
Su queste basi, il prossimo incontro è stato fissato per metà settembre. E, con ogni probabilità, da allora si comincerà a parlare non solo del pur decisivo tema dell’occupazione, ma anche degli altri aspetti problematici della trattativa, a partire da quello del risanamento ambientale di Taranto, per arrivare agli investimenti e alla salvaguardia dell’indotto, nonché ai problemi specifici degli altri stabilimenti su cui oggi si articola la realtà dell’Ilva, tra cui quello di Genova.
Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, formatosi sindacalmente proprio come rappresentante dei dipendenti dello stabilimento di Taranto, ha detto che i sindacati hanno “ribadito” le proprie “preoccupazioni” relative “agli esuberi e ai lavoratori degli appalti che ruotano intorno agli stabilimenti” e ha poi affermato: “La prova del nove la faremo quando inizieranno gli incontri specifici e comincerà quindi la vera trattativa”. Per Marco Bentivogli, leader della Fim, quello che comincerà a settembre sarà “un confronto che dovrà risolvere e chiarire numerosi nodi su rilancio, ambiente e occupazione interna ed esterna di tutto il Gruppo”.