La crisi di governo emana un lezzo di decomposizione. Sul cadavere della politica volteggiano gli uccelli rapaci dell’indifferenza e del cinismo. I giornali titolano a tutta pagina e le trasmissioni televisive si sfidano a colpi di previsioni ma è come se andasse in scena uno spettacolo di fantasmi. Chi sono costoro che si accapigliano proclamando di agire per il benessere dei cittadini? Mai il distacco tra la freddezza dei giochi di potere e la rovente ansia delle quotidiane miserie è stato così tangibile. L’incredulità sovrasta la rabbia. Non c’è passione, non c’è partecipazione, non c’è coinvolgimento. Solo attesa, un attonito stupore. E il desiderio che finisca presto, perché il tempo della pandemia e della crisi economica non prevede intervalli.
Fermatevi, verrebbe da gridare. Robert Darnton, giornalista e storico, ha ricostruito un singolare episodio avvenuto durante la Rivoluzione Francese. Il 7 luglio 1792, Antoine-Adrien Lamourette, un deputato della Rhone-et-Loier, disse ai rissosi membri dell’Assemblea Legislativa “che tutti i loro mali nascevano da un’unica fonte: la faziosità. Ci voleva più fratellanza”. “Al che – prosegue il racconto- i deputati, occupati fino a un momento prima a scannarsi a vicenda, si alzarono in piedi e cominciarono ad abbracciarsi e baciarsi come se le loro divisioni politiche potessero essere spazzate via da un’ondata di amore fraterno”.
Durò un attimo, poi gli scontri proseguirono. E arrivò il Terrore. Eppure “il bacio di Lamourette”, che potremmo immaginare come un maestoso quadro dipinto da David, conserva la forza dell’utopia. Il coraggio della concordia di fronte alle immani sfide che la Storia continua a lanciare sul cammino dell’umanità. Allora erano gli eserciti stranieri che marciavano in nome della Restaurazione e della Monarchia, oggi sono il Coronavirus, il tragico Re invisibile, e la miseria, quella che umilia e uccide mentre a Versailles fervono i bagordi.
Ma a che servono la memoria e le parole quando cadono nel vuoto dell’incomprensione? Allora subentra la ghiaccia afasia. È successo, può risuccedere, ammoniva Primo Levi. “Pochi si fermano ad ascoltare. Come il vecchio marinaio, abbiamo parlato ai morti, ma fatichiamo a farci ascoltare dai vivi. Per loro siamo una seccatura”, si lamentava Darnton.
Ora viene invocato un governo di unità nazionale. Bello e impossibile. Allora facciamo venire Mario Draghi. Il trionfo dei tecnici e la resa della polis. C’è il precedente di Mario Monti. Viene in mente il Messico di Porfirio Diaz, quando a tirare le file dell’economia erano i “cientificos”, gli scienziati, che volevano modernizzare e privatizzare le miniere, i campi, il petrolio, l’acqua, le infrastrutture. La conseguenza furono Pancho Villa ed Emiliano Zapata.
L’attuale involucro delle istituzioni sta in piedi quasi per miracolo. La foia antiparlamentare espressa nel referendum che ha tagliato deputati e senatori è una ferita ancora aperta. Per votare servirebbe una nuova legge e quindi anche il ricorso alle elezioni anticipate ha un suono improbabile. Un esecutivo a larghissima maggioranza e un’assemblea costituente che riscrivesse le comuni regole del gioco rappresenterebbero il percorso virtuoso. Ma proseguirà quello vizioso, fatto di reciproco discredito, di accuse velenose, di propaganda autoreferenziale.
I falchi del qualunquismo continueranno a pascersi con il corpo esangue della democrazia.
Marco Cianca