Il sindacato serve al Paese? La domanda sorge spontanea nella fase in cui gran parte dell’opinione pubblica inizia a porsela. Ne hanno scritto la scorsa settimana anche due analisti di cose sindacali, Dario Di Vico sul Corriere della Sera e Massimo Mascini sul Diario del Lavoro.
Il primo scorge una società post-sindacale, il secondo sostiene che il sindacato non è morto. Come addetto ai lavori e parte di un corpo intermedio che rappresenta gli addetti metalmeccanici, è evidente che propendo per la seconda affermazione. Per l’esperienza quotidiana che contraddistingue il mio lavoro proverò a raccontare il perché.
Innanzitutto, il sindacato ha ragione di esistere se è radicato nel territorio, se rappresenta le ragioni di chi lavora e comprende quelle di chi produce, se si pone rispetto alle questione in modo responsabile e partecipativo, invece di agire con antagonismi ed opposizioni “tout court”. Si tratta di una propensione che deve guidare ogni sindacato moderno, riformista, di stampo europeo e che deve trovare riscontro oggettivo nelle azioni conseguenti.
Per quanto ci riguarda l’impegno sindacale ci porta ogni giorno a confrontarci al nostro interno, con le imprese, con le istituzioni e le aziende stesse. Rispetto alla prima condizione, svolgiamo con regolare cadenza periodica congressi e conferenze organizzative, consigli e coordinamenti, assemblee ed attivi dal livello locale fino a quello nazionale.
Rispetto al rapporto con le imprese, abbiamo, per esempio, rinnovato un contratto nazionale della durata di quattro anni, come quello con Fca, di natura innovativa, sia dal punto normativo che retributivo. Ma ci accingiamo ad aprire il confronto con la Federazione che riunisce tutte le imprese aderenti a Federmeccanica ed Assistal per rinnovare (possibilmente entro l’anno) il Ccnl dei metalmeccanici che riguarda più di un milione e 600mila lavoratori. Sempre facendo riferimento al rapporto con le grandi società industriali, abbiamo in corso il confronto con Finmeccanica che punta, mantenendo inalterato il primo livello, ad una contrattazione di secondo livello riguardante tutte le divisioni (operative dal primo gennaio 2016) del Gruppo.
Rispetto al rapporto con aziende ed istituzioni, abbiamo trovato insieme un epilogo positivo a vertenze nazionali come quelle di Whirlpool ed Electrolux, ma, per amore di verità, con le medesime controparti, fatichiamo tuttora a trovare risoluzioni utili al distretto industriale di Termini Imerese e alla ex Iribus di valle Ufita in Irpinia. Insomma, dobbiamo dedicare molto tempo a seguire le nostre fabbriche in tutte le sedi dove è possibile farlo, ed abbiamo, purtroppo un tempo minore per pubblicizzare sui giornali e televisioni l’effettivo lavoro svolto. Anche perché i “mass-media” preferiscono interlocutori che pontificano sui massimi sistemi, anziché persone che illustrano quel che effettivamente fanno ogni giorno.
Il sindacato metalmeccanico mai come oggi ha l’obbligo di contribuire a risolvere i punti di crisi industriale e tutelare ed incrementare gli investimenti rivolti all’industria stessa ed al manifatturiero, in particolare. In questo senso, anche il rapporto col governo è strutturale. Ci fa ben sperare proprio quanto letto nella nota di aggiornamento del Def, approvato nel Consiglio dei Ministri del 18 settembre: se riusciremo a sfruttare fino in fondo la clausola per le riforme e a utilizzare in parte, per lo 0,3 per cento del Pil, quella per gli investimenti, si potranno avere maggiori spazi di bilancio utili a migliorare proprio la macchina pubblica degli investimenti. Ciò significa denaro fresco a favore delle infrastrutture fisiche e digitali e questa circostanza può significare l’impegno a sostegno della manifattura come della banda larga.
Oltre a Palazzo Chigi, i sindacati metalmeccanici hanno sedi di confronto scontate e non. La pubblicistica riporta a tal proposito dicasteri come quello dello Sviluppo economico, o quello del Lavoro, dove, rispettivamente, ci si siede ai tavoli di crisi appositamente convocati e dove si ricercano gli accordi relativi all’utilizzo più idoneo degli ammortizzatori sociali. Ma anche il bilancio di un altro ministero, come quello della Difesa, è determinante per l’attuazione di contratti in essere utili alla produzione ed all’occupazione nel settore militare e nella cantieristica. Qui ci sono ricadute in gruppi come quello succitato di Finmeccanica ed in quello di Fincantieri.
La legge navale fortemente voluta dal ministro Roberta Pinotti consentirà investimenti per 5,4 miliardi di euro con la possibilità di raddoppiare questa cifra. I cantieri navali fortemente penalizzati in questi anni saranno di fatto rilanciati. I tagli, che ogni anno si annunciano sui bilanci dei singoli dicasteri, in vista della Legge di Stabilità, spesso ci preoccupano. Nello specifico caso del ministero che abbiamo preso a riferimento, pochi soldi per la manutenzione dei mezzi militari vuol dire poco lavoro per le fabbriche e per gli arsenali; significa, poi, obsolescenza dei macchinari, riduzione della manodopera con ulteriore perdita di competenze costruite, con fatica, in decenni. Insomma, il rischio è quello di una forte sofferenza in termini di riduzione delle commesse produttive e di perdita di posti di lavoro.
Ecco perché, come sindacato, apprezziamo i contenuti del Libro Bianco, voluto dallo stesso ministro Pinotti, che,pur non mostrando per scelta cifre specifiche, perlomeno, indicano un nuovo approccio al problema del finanziamento, nel tempo, della Difesa. In questo importante testo è previsto che si riformi il meccanismo della spesa, facendo confluire in un’unica voce gli investimenti rivolti a nuovi mezzi e ai sistemi d’arma, da finanziare con una legge pluriennale. Se andrà in porto questa riforma si avrà finalmente quella stabilità nel tempo delle risorse da investire che costituisce l’elementare forma di garanzia anche per la prospettiva occupazionale nel settore dell’industria della Difesa. Tutto questo racconto per dire che è giusto chiedere al sindacato di rinnovarsi, aggiornarsi, modernizzarsi. Ma è una leggenda metropolitana affermare che non sia nella società e che non le serva.
Potrà piacere o meno, ma come sindacato, giocoforza, siamo dentro la società, indispensabili a fronteggiare il vento della crisi e ad assicurare il percorso verso la crescita. C’è bisogno del sindacato, di quello confederale come di quello metalmeccanico, perché senza investimenti verso il manifatturiero non crescono l’industria, l’economia, il Paese. Ma anche perché il sindacato è stato un pezzo della democrazia nel Paese e continua ad esserlo. E’ vero che la società è diversa, ma il sindacato è vivo.
Rocco Palombella_segretario generale Uilm