Mi ha colpito molto, leggendo su Il diario del lavoro nei giorni scorsi l’analisi di Emmanuele Massagli sul congresso della Cisl, il suo riferimento al tempo, molto, troppo recente, in cui il sindacato era considerato dagli uffici del personale delle aziende come “un passaggio in più tra la deliberazione e l’attuazione e, di conseguenza, una zavorra per le strategie veloci e mutevoli della competizione economica di oggi”. Purtroppo non è un pensiero di generazioni passate, che non avevano avuto modo di apprezzare l’azione collaborativa del sindacato. E’ roba recente, basta pensare alla disintermediazione voluta da Matteo Renzi che mirava proprio all’eliminazione del “fastidio” sindacato: considerato come un reperto storico, sfuggito casualmente alla morte dei grandi corpi intermedi, primi tra gli altri i partiti politici, ma costretto a uscire di scena rapidamente.
In realtà, come sappiamo, quella politica non ebbe grande successo. Renzi è caduto proprio per la sua supponenza verso larghi strati della società che si era inimicato senza una vera ragione, mentre il sindacato è vivo e vegeto, anche se ha i suoi acciacchi e i suoi problemi. Ma quel modo di ragionare non è caduto nel nulla, è ancora vivo, anche se non condiviso da tutto il mondo imprenditoriale. Il sindacato non è forse considerato solo come un fastidio, ma i responsabili di tante aziende credono sostanzialmente che sia qualcosa di cui si potrebbe fare a meno senza troppi problemi.
Ne fa fede lo sviluppo, consistente, accanto alle relazioni industriali, delle relazioni interne, ossia dell’insieme dei rapporti che intercorrono direttamente tra l’azienda e i dipendenti, senza alcuna intermediazione, senza cioè l’intervento del sindacato. Sia chiaro, è normale che un’azienda, grande o piccola che sia, abbia dei rapporti, delle relazioni direttamente con i propri dipendenti; sarebbe strano che non ci fossero, sarebbe il segno di una mancanza di attenzione. Ma è un fatto di proporzioni: se le relazioni dirette hanno uno sviluppo abnorme, se crescono troppo, questo è il frutto di un rapporto squilibrato nella vita delle aziende. Il segnale che qualcosa non funziona come dovrebbe.
Ciò detto, risulta abbastanza difficile da comprendere perché ancora in alcune aziende, tante o poche che siano, il sindacato venga visto come un nemico, da cui guardarsi perché pericoloso. Una mentalità che certo non appartiene alle grandi aziende, quelle che fanno titolo e di cui si occupano le relazioni industriali, ma che è ancora diffusa nell’imprenditoria minore, nelle piccole e micro aziende che con il sindacato non vogliono assolutamente avere a che fare. Per ignoranza, per vecchie abitudini mentali, per incapacità spesso di guardare al di là del proprio naso. Il sindacato, pensano in troppi, è quello che vuole prendersi la mia azienda, che spinge i lavoratori ad avanzare incessantemente nuove pretese, che non si rende conto delle difficoltà che l’imprenditore incontra continuamente nell’esercizio della sua funzione. Uno stereotipo un po’ caricaturale, che però è radicato in tante menti e che ha dato corpo alle teorie che ricordavamo all’inizio, quelle che vedono il sindacato come un fastidio, un inutile passaggio in più, del quale si farebbe volentieri a meno.
Il sindacato è ben altro, può essere ben altro. Innanzitutto è il rappresentante di una parte strategica dell’azienda, la forza lavoro, quel capitale umano che tanti imprenditori giustamente considerano un asset di prima grandezza. E in quanto tale va o andrebbe considerato con la massima attenzione, proprio perché porta avanti le esigenze e le richieste di una parte importante dell’azienda. Poi è l’entità con la quale, nel corso della contrattazione o anche solo nelle pratiche concertative, collabora attivamente alla soluzione dei grandi e piccoli problemi che sorgono continuamente in azienda. E’ il motivo per cui non va demonizzato il conflitto, utile in quanto porta in evidenza l’esistenza di un problema, e quindi benvenuto, perché altrimenti lo stesso problema crescerebbe pericolosamente. Il punto è che il conflitto va gestito, nel senso che con la contrattazione va poi trovato un rimedio per far scomparire il problema sottostante.
Il sindacato ha questo per vocazione, individuare i problemi, sottolinearne l’esistenza all’azienda e trovare la soluzione. In questo modo diventa, è, un alleato di cui non si dovrebbe poter fare a meno. La grande concertazione ha mostrato, in altri tempi, di essere in grado di offrire una vera collaborazione per la gestione dei grandi problemi economici del paese. La partecipazione, ai diversi livelli e nelle diverse tipologie, ha mostrato di poter aiutare la gestione al meglio della complessa vita delle imprese industriali. Quando un’azienda ha deciso di portare alla propria organizzazione produttiva un cambiamento, per grande o piccolo che sia, fermarsi a parlare con il sindacato di questo intervento può portare un ritardo nella realizzazione del progetto, ma spesso questo stesso progetto può essere migliorato con l’intervento della sapienza del sindacato, che conosce bene il mondo della produzione, conosce le reazioni dei lavoratori e sa magari anticipare soluzioni innovative e migliorative del progetto iniziale.
Certo, il sindacato, che non è ovviamente perfetto, deve comportarsi adeguatamente, deve saper collaborare, deve abituarsi a fare propri i problemi generali dell’azienda, deve essere in grado di svolgere un ruolo non antagonista, ma, appunto, collaborativo. Nella misura in cui riuscirà a far questo, cancellerà la supponenza di chi lo reputa un impaccio anziché una risorsa.
Massimo Mascini