I servizi pubblici hanno rappresentato un elemento fondamentale negli Stati sociali del ‘900 e, con l’evoluzione di questi, sono stati oggetto di diversi ambiti normativi.
Nella legge che regolamenta lo sciopero (L.n.146/1990 e ss.mm.), i servizi pubblici essenziali rimangono strettamente finalizzati alla garanzia dei diritti costituzionali dei cittadini. A differenza di quest’ultimi, i servizi non sono stabiliti dal legislatore, il quale si limita, semplicemente, ad indicarne alcuni, in via esemplificativa, lasciando poi alle parti sociali e alla saggezza dell’Autorità di garanzia, oltre che a eventuali ulteriori interventi normativi, la possibilità di ampliamento, in linea con l’evoluzione della complessità sociale.
Ai fini di tale ampliamento, la natura pubblica del servizio è stata ricercata, da un lato, nella sua eminente rilevanza sociale, come già suggerito da Massimo Severo Giannini, il quale riconduceva in tale nozione anche quella di interesse generale; dall’altro, facendo riferimento al concetto di necessaria fruibilità. Sulla base della rilevanza sociale e della necessaria fruibilità, è stato possibile ricondurre, nel campo di applicazione della legge 146/1990, una vasta gamma di servizi che non potevano essere concepiti dal legislatore, al tempo dell’emanazione della legge, ed anche in occasione della riforma del 2000. Solo per fare qualche esempio: il servizio Taxi; i servizi resi da Sogei Spa (Società di Information Technology); quelli del Cineca (Consorzio Interuniversitario); la Refezione scolastica in asili nido, scuole materne ed elementari; o ancora, la fruizione del Patrimonio artistico-culturale dei musei e luoghi d’arte.
Appare, dunque, evidente come questa concezione “dinamica” del servizio pubblico essenziale si ponga a maggior ragione in una condizione di grave emergenza nazionale, contrassegnata da provvedimenti del Governo che hanno comportato una decisiva restrizione dei diritti costituzionali di libertà, in particolare quelli di mobilità e di associazione. Basti pensare che il dibattito tra i costituzionalisti, oltre che sull’opportunità del ricorso al DPCM, piuttosto che al DL, verte anche sull’applicabilità, in tale situazione, dell’art.120 della Costituzione (possibilità del Governo di sostituirsi ai poteri decisionali delle autonomie locali), se non addirittura dell’art.78 (stato di guerra e conferimento dei poteri al Governo).
Anche l’Autorità di garanzia sugli scioperi nei servizi essenziali, al fine di non accentuare il senso di insicurezza tra i cittadini e non creare possibili intralci alle attività delle autorità sanitarie, è intervenuta più volte per rivolgere un fermo invito alle OO.SS. a non effettuare astensioni nel periodo coincidente con l’emergenza epidemiologica, ferma restando, ovviamente, la possibilità di scioperare per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori.
Nella situazione di grave emergenza epidemiologica, si deve ritenere che la nozione stessa di servizio pubblico essenziale sia destinata ad un necessario ulteriore ampliamento, per la rilevanza sociale che alcuni servizi, generalmente non considerati come essenziali nella prassi attuativa della legge 146/1990, vengono ad assumere in termini di necessaria fruibilità per la collettività. In pratica, alla restrizione dei diritti costituzionali può corrispondere (in modo inversamente proporzionale) un ampliamento dei servizi pubblici essenziali. Si potrebbe astrattamente sostenere che, in tale stato di conclamata emergenza, ogni servizio pubblico, assuma la qualifica di essenziale e la sua erogazione, in caso di sciopero, non possa scendere al di sotto di un minimum, pena la lesione, nel loro contenuto essenziale, dei diritti della persona tutelati dalla legge 146/1990.
Se può sembrare eccessiva questa affermazione di principio, si dovrebbe almeno convenire che, in periodi emergenziali (nei quali, come si è detto, l’Ordinamento democratico si confronta con lo stato di necessità, se non addirittura con lo stato di guerra), l’ampliamento della nozione di servizio pubblico essenziale, arrivi a comprendere al suo interno, anche delle particolari attività, alle quali, in condizione di normalità, non viene applicata la legge 146/1990.
Mi limito a riportare, qui, due esempi alquanto significativi.
1) La movimentazione e la distribuzione delle merci e generi alimentari, intese come logistica e trasporto, rientrano nel campo di applicazione della legge 146/1990, tuttavia, la parte finale della filiera distributiva, vale a dire la vendita nei supermercati, non è considerata un servizio essenziale. La ratio di ciò è evidente, data la diffusa presenza sul territorio di numerose attività di vendita al dettaglio e, dunque, l’insussistenza di un grave pregiudizio a carico dei diritti delle persone, in caso di sciopero. Tale ratio potrebbe, tuttavia, venir meno nel momento storico attuale, contrassegnato da misure limitative della libertà di circolazione, con il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione per i cittadini, i quali, in modo prevalentemente ordinato, si dispongono pazientemente in fila davanti ai supermercati. In un simile scenario, sembrerebbe opportuno ritenere le fasi della grande e media distribuzione come un servizio di rilevanza sociale, per la evidente esigenza di fruibilità della collettività, da ricondurre nell’art.1, della legge 146/1990 (oltre la logistica e il trasporto dei generi alimentari). Tale configurazione sarebbe coerente con i provvedimenti governativi di sospensione delle attività commerciali, nei quali viene, peraltro, compresa l’attività di ristorazione, restando, invece, esplicitamente esclusa la vendita di generi alimentari e di prima necessità.
2) Una considerazione per certi versi analoga può riguardare il servizio pubblico postale che, nell’attuale contesto economico liberalizzato, ha assunto una portata più ampia rispetto a quello precedentemente erogato in regime di monopolio da Poste Italiane. Dalla fine del 2011, come in tutti i paesi dell’UE, anche in Italia è stato realizzato un mercato aperto alla concorrenza, in cui i competitors di Poste italiane possono accedere alle attività di spedizione. La legge 124/2017, in materia di concorrenza, ha, peraltro, abolito anche l’ultima forma di diritto di esclusiva riconosciuta per ragioni di ordine pubblico a Poste Italiane e relativa ai servizi di notificazioni degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada. Tale attività è stata autorizzata anche ad altri soggetti muniti di licenza individuale e rispondenti ad una serie di requisiti di qualità e sicurezza, individuati dall’AGCOM. È evidente come, il servizio pubblico di comunicazione sia destinato ad una evoluzione che dovrà tener conto delle innovazioni collegate ai moderni sistemi dell’informazione. Intanto, nella situazione di emergenza, considerate le limitazioni alla libertà di movimento, sarebbe opportuno ricondurre nell’ambito della legge 146 alcuni servizi della logistica e in particolare la consegna dei pacchi. Tale servizio non è, attualmente, considerato come essenziale, in quanto considerato tra le attività e-commerce, tuttavia, esso consentirebbe ai cittadini (ed anche alle imprese) di usufruire e di approvvigionarsi di beni di interesse economico generale (come definiti nel punto 2 del Regolamento 2018/644 del Parlamento e del Consiglio dell’UE), restando anche al proprio domicilio, nel rispetto delle disposizioni straordinarie, attualmente vigenti.
Sono prospettive da approfondire anche oltre l’emergenza coronavirus perché, come ha scritto, recentemente, sul Sole 24 Ore, il Presidente della Commissione di garanzia, Giuseppe Santoro-Passarelli: “La trasformazione del mondo del lavoro cambierà anche la percezione che abbiamo dell’essenzialità di alcuni servizi, in primis quello della distribuzione anche online dei generi di prima necessità”.
Giovanni Pino