E’ una notevole svolta quella che Giorgio Squinzi ha impresso alla Confindustria riguardo a quella che si potrebbe definire, per brevità, la “questione morale’’. Per la prima volta, un presidente degli industriali ha detto senza mezzi termini che per i corrotti non c’è posto nell’associazione. Dovrebbe sembrare scontato, ma non e’ esattamente così.
A partire dai terribili anni Novanta, quando ogni mattina le cronache riportavano notizia di qualche imprenditore di grandissimo nome indagato o addirittura finito agli arresti per tangenti,la Confindustriaha sempre tenuto un profilo basso, sul tema della corruzione. In quegli anni Novanta, per l’appunto, sotto la guida di Luigi Abete, la scelta fu quella del garantismo fino al terzo grado di giudizio. Grossi guai giudiziari, all’epoca, toccarono se non a tutti a molti componenti il direttivo di Viale dell’Astronomia: Romiti, De Benedetti, Gardini, Sama, Cagliari, tanto per fare solo i nomi dei casi più celebri.
La Confindustria, più o meno, si barcamenava: da un lato il garantismo verso i suoi associati, dall’altro il sostegno alla magistratura nella sua opera di indagine. È rimasta nella storia l’applauditissima performance di Antonio Di Pietro, alla sua prima uscita pubblica come eroe di Mani Pulite, ospite d’onore al convegno dei Giovani di Santa Margherita, invitato personalmente dall’allora presidente degli Juniores Aldo Fumagalli. E tuttavia, fu un breve fuoco di paglia, perché appena un paio di anni dopo un altro magistrato del pool, Piercamillo Davigo, ospite questa volta al convegno dei giovani di Capri, venne bruscamente attaccato da Diego Della Valle, tra gli applausi della platea. Mani Pulite volgeva al termine, e la questione morale fu rapidamente archiviata anche dagli industriali.
La corruzione, invece, andò avanti tranquillamente, fino a raggiungere vette mai esplorate nemmeno negli anni Novanta. Di pari passo, aumentava l’evasione fiscale in grande stile, si intensificavano le truffe e gli scandali finanziari:la Parmalatdi Calisto Tanzi, un nome per tutti. E mai, però, da parte di Confindustria, erano arrivate chiare prese di posizione verso i suoi associati che si macchiavano di evasione, o corruzione, o truffa. Gli stessi protocolli della legalità, arrivati nel periodo della presidenza di Luca di Montezemolo, prendevano di mira e minacciavano l’espulsione degli industriali che pagavano il pizzo alla mafia, ma non facevano parola degli altri possibili reati economici. Fino ad arrivare al paradosso dell’assemblea del 2009, presidente Emma Marcegaglia, in cui la parola “corruzione” non veniva mai pronunciata anche se, proprio quel giorno, occorreva registrare l’insolita assenza del ministro dell’Industria, Claudio Scajola, dimessosi due giorni prima a causa della famosa casa al Colosseo. (Per quella faccenda Scajola e’ stato recentemente assolto, in effetti; in compenso, è stato incriminato per altri e più consistenti reati).
Molto diverso l’atteggiamento di Squinzi questa mattina. Con parole molto nette, ha definito la corruzione un reato che corrompe anche il mercato, la concorrenza, lo stesso fare impresa, causando danno agli imprenditori onesti. E pertanto, ha detto, “in Confindustria per chi corrompe non c’e’ posto”. Il riferimento è, naturalmente, a Maltauro, coinvolto nello scandalo degli appalti Expo, e già autosospesosi dalla Confindustria veneta, di cui fa parte, su precisa ed esplicita richiesta dei vertici. Ma la presa di posizione di Squinzi, così netta, fa immaginare che in futuro sarà lo statuto dell’associazione a prevede l’espulsione per determinati reati, senza dover suggerire di farsi da parte. Da un anno circa, in Confindustria si sta infatti studiando una decisa revisione di un codice etico interno piuttosto stringente, che dovrebbe entrare in vigore nel 2015. Vedremo se le parole di Squinzi saranno tradotte in concrete regole valide per tutti.
Nunzia Penelope