Un enorme orco con la pistola in mano. Sul basco la stella rossa. I tratti somatici, il grosso naso uncinato, la bocca carnosa e avida, gli zigomi sporgenti sono disegnati in tragica ottemperanza della propaganda antisemita. Comunista, giudeo, assassino. La caricatura incombe, feroce, terribile. Gli occhi spietati paralizzano l’osservatore, sembrano seguirlo, non danno scampo. Sotto di lui, figure dolenti di donne vagano in un mare di cadaveri. Vinnitsa, la scritta in fondo al manifesto, gialli e maiuscoli caratteri cirillici, localizza l’incubo con perentoria precisione. “Questo orribile esemplare di propaganda nazista trasformò la scoperta di una fossa comune, nella quale erano ammassate le vittime delle purghe staliniane, in un incitamento a sterminare ebrei e bolscevichi”, spiega Carlo Ginzburg. “La minaccia simbolica di un commissario ebreo” motivava la vendetta e giustificava un altro colossale pogrom. Così fu.
Una foto, resa pubblica durante il processo Eichmann, ritrae un uomo inginocchiato su un’enorme buca piena di corpi senza vita mentre un militare tedesco, attorniato dai suoi commilitoni, tranquilli spettatori, gli punta la pistola alla nuca. La vittima designata mostra la faccia smunta, gli occhi persi nel vuoto dell’infinito, chissà quante sofferenze ha patito, ma appare tranquilla, rassegnata, dignitosa, chiusa in un dolore così spesso e profondo che nessuna violenza può ledere ancora. Quasi sentiamo lo sparo e immaginiamo il martire rovesciarsi in avanti, cadere, macabro mucchio di ossa, in mezzo a quelli che erano stati suoi parenti e amici. Rimaneva solo lui. Era l’ultimo ebreo di Vinnitsa.
Ginzburg, in uno dei suoi cinque saggi dedicati all’iconografia politica editi nel 2015 da Adelphi nella raccolta “Paura, reverenza, terrore”, descrive il manifesto ma non lo accosta alla foto. Lo facciamo noi, ora che il cannone è tornato a tuonare in quelle terre dove il grano si mischia al sangue. Siamo in Podolia, regione sud occidentale dell’Ucraina. Qui, l’8 marzo 1761, nacque Jan Potocki, che le biografie indicano erroneamente come polacco perché ai suoi tempi la zona faceva parte del regno di Varsavia.
Visitatore instancabile, curioso di tutto, antropologo, archeologo, etnografo, storico, romanziere, poliglotta. Attraversò ogni angolo d’Europa, dalla Spagna alla Siberia. E poi Malta, la Turchia, l’Egitto, il Marocco. Giunse ai confini della Cina. Intraprese un volo in mongolfiera con la sua cagnetta Lulu. Era appassionato in particolare dei popoli slavi e redasse parecchi studi sull’origine degli Sciti e dei Sarmati. Riteneva che gli ucraini differissero dai russi e combatté anche contro le truppe di Mosca ma poi ebbe incarichi e stima da Caterina la Grande e dallo zar Paolo I.
Per qualche tempo fu attratto dalla politica ma poi se ne staccò deluso. Tornato nelle native contrade, per giorni limò una fragola d’argento ricavata dal coperchio di una teiera. Ne ricavò una palla che, sembra dopo averla fatta benedire, il 23 dicembre 1815 mise in un’arma e se la piantò nel cervello. È sepolto nel cimitero parrocchiale di Pikow, a poca distanza dai macabri luoghi del manifesto e della foto.
Un’anima inquieta, diremmo oggi. Cultore delle diversità ma nella convinzione che il travaglio dell’esistenza rendesse tutti gli uomini uguali. Ne è prova la sua opera più nota, “Manoscritto trovato a Saragozza”. Un intrico fantasmagorico di personaggi, un viaggio incantato tra la realtà del giorno e i misteri del buio, un po’ Decamerone e un po’ Mille e una notte, ma unico nella capacità di raccontare i protagonisti come se fossero incastrati uno dentro l’altro, a mo’ di matrioske. Ognuno, quando viene tirato fuori, racconta le proprie avventure. Ecco Alfonso van Worden, capitano delle guardie vallone, ecco le sorelle Emina e Zebedè, Trivulzio da Ravenna, Landolfo di Ferrara, il brigante Zoto, l’indemoniato Pacheco, il cabalista Mamun, l’Ebreo errante, la gentile Dariolette, il capo degli zingari Pandesowna, la principessa di Monte Salerno, il terribile pellegrino Herwas e suo padre l’onnisciente Empio.
Le sorti del libro sembrano far parte della trama. Tre versioni, perso, plagiato, ritrovato, varie edizioni. Leggerlo equivale a tuffarsi, senza respiro, nella fantasia.
Il sangue di Vinnitsa trasmuta in sogno e il rombo dei carrarmati si allontana.
Marco Cianca