Vorrei tornare un momento sul tema del salario minimo, non tanto per sostenere o meno la tesi della sua necessità.
Personalmente nutro diverse perplessità e rimango convinto che la libera contrattazione collettiva sia la via maestra da perseguire per dare piena applicazione all’art. 36 cost.
Tuttavia mi preoccupano certe semplificazioni, per non dire, superficialità tra coloro che sostengono l’utilità di un intervento legislativo in materia.
Provo ad essere preciso.
Come molti sanno, facendo il mestiere del sindacalista dei lavoratori o del sindacalista d’impresa, il calcolo della paga netta mensile (partendo dal presupposto di una determinata paga oraria lorda) è relativamente semplice, ma anche no.
Semplificando in estremo, basta prendere la paga oraria lorda moltiplicarla per il coefficiente convenzionale 173, ottenere cosi la paga mensile, quindi moltiplicare il risultato per 13 (le mensilità considerate), quello che si ottiene è la RAL (retribuzione annua lorda) sulla base della quale si applicano le aliquote IRPEF; qui viene la difficoltà.
La retribuzione mensile netta varia a causa di diversi fattori, ad esempio il carico famigliare, ovvero le detrazioni a cui si ha diritto, e anche il luogo di residenza (da quello dipende l’aliquota comunale e regionale IRPEF, che finanzia il Servizio Sanitario nazione, e che non viene applicata sulle partite IVA), insomma non per tutti quelli che hanno la stessa RAL poi si ottiene lo stesso reddito netto mensile.
Voi direte “questi sono tecnicismi!”, può darsi, ma quando in una recente sentenza della giurisprudenza, nelle motivazioni del dispositivo si dice testualmente “che la retribuzione netta mensile non raggiunge i 1000 euro, considerati prudenzialmente la cifra minima per assicurare una dignitosa esistenza al lavoratore e alla sua famiglia…” e sulla base di questa motivazione si “invade” il campo della contrattazione collettiva, con lo “spadone delle giustizia sociale”, aggiungo io, beh! Allora è meglio essere precisi e maneggiare la materia con una certa attenzione prima di “distruggere la cristalleria”.
Vediamo nel merito. La sentenza in oggetto considerava, il CCNL, sottoscritto da OOSS maggiormente rappresentative (questo non viene messo in discussione) come non corrispondente a quanto disposto dall’art. 36 della costituzione, in quanto la paga oraria di 5 euro lordi determinerebbe una retribuzione mensile netta pari a 871 euro quindi inferiore alla soglia prudenziale dei 1000 euro.
Per inciso il contratto in questione è quello della vigilanza (che non viene rinnovato da molti anni e che ha visto le OOSS maggiormente rappresentative intentare anche una class action contro la resistenza della controparte al rinnovo).
Il calcolo della retribuzione netta mensile di 871 euro, a fronte di una retribuzione lorda di 5 euro è corretto (basta verificarlo sul sito delle PMI), tuttavia riguarda un lavoratore che non ha nessun carico familiare e quindi né moglie né figli a carico, non si capisce quindi come dovrebbe lo stesso lavoratore assicurare una esistenza dignitosa ad una famiglia che non ha (per la quale esistenza il giudice considera congrua la cifra di 1000 euro netti).
Qui non si tratta di decidere se la retribuzione contrattuale sia più o meno sufficiente, mi pare del tutto acclarato che i rappresentanti dei lavoratori non la considerino tale, altrimenti non sarebbero in lotta per il rinnovo contrattuale.
Seguendo il “pericoloso” e “invadente” orientamento della motivazione della sentenza, otterremmo che lo stesso lavoratore con la stessa paga oraria lorda di 5 euro, con moglie e un figlio a carico, avrebbe una retribuzione netta di 976 euro (più eventuali assegni famigliari se avesse un figlio minore), tale retribuzione (al netto di eventuali assegni famigliari) sarebbe di 24 euro mensili sotto la soglia “prudenziale” dei 1000 euro netti, considerati dalla motivazione (che, ahimè, fa precedente) come soglia minima ritenuta congrua con quanto disposto dall’art 36 della cost.
Per inciso con 6 euro lordi l’ora (lavoratore single) si avrebbero 998 euro netti al mese, con 7 euro lordi 1269 euro netti mese, con i mitici 9 euro 1373 euro netti mensili.
Sulla base del dispositivo della sentenza e le sue motivazioni, dovremmo considerare “sufficienti” 7 euro lordi all’ora e non 9, per corrispondere al criterio di congruità previsto dalla interpretazione del giudice di quanto disposto dall’art.36 cost.
Paradossalmente il dibattito sul salario minimo e sulla sua misura viene cosi “attaccato” dalla stessa magistratura con considerazioni per nulla meditate che infatti generano paradossi.
Non è mia intenzione qui indicare una soluzione, rimango convinto che la strada migliore sia quella della contrattazione, come peraltro gli stessi costituenti di fatto hanno previsto.
Altrimenti avrebbero integrato il dispositivo costituzionale con un esplicito riferimento alle disposizioni di legge (come fatto in altri casi, si veda quanto previsto sulla rappresentanza sindacale o sul diritto di sciopero).
Nel caso di specie, mi pare evidente che il problema è quello di un contratto scaduto da molto tempo, per risolvere il quale però, purtroppo, non assistiamo ad alcun intervento attivo dei soggetti proposti a “regolare il traffico della contrattazione collettiva”, nessuna moral suasion da parte nemmeno del Ministero del lavoro per spingere le parti al rinnovo (bei tempi quando c’era il lodo Scotti …) quando cioè la politica si assumeva le sue responsabilità e …ciascuno faceva il suo mestiere.
P.S.
Un cattivo pensiero continua a tormentarmi, non è che per caso nessuno ha previsto un intervento legislativo sanzionatorio delle controparti che non rinnovano il CCNL, scaduto da molto tempo, perché la maggior parte di questi sono contratti pubblici? Come pure la maggior parte dei c.d. precari sono alle dipendenze di enti pubblici???…ma sono solo cattivi pensieri.
Luigi Marelli