“Se mi offrissero la più radicale delle riforme per raggiungere la giustizia sociale ma senza la libertà, io rifiuterei” lo sostenne Sandro Pertini nel corso di una intervista con Enzo Biagi. Un sindacato in tempi così oscuri, con una guerra in Europa, dovrebbe tenere a mente questa convinzione. Il valore della libertà va rivalutato. E lo si deve fare rafforzando, come si sta facendo concretamente, un forte spirito umanitario, ma anche premendo perché l’Europa ritrovi una sua decisa ed unitaria capacità di proposta che contribuisca a far ritrovare la strada del negoziato. E’ singolare intanto che in un periodo tanto fosco e imprevedibile si siano assommate ricorrenze così significative, anche sul piano emotivo: la Pasqua cristiana che richiama il valore della pace nella rigenerazione dello spirito che dovrebbe bandire atrocità ed oppressioni; la festa della Liberazione dal nazifascismo che ricorda il sacrificio compiuto da coloro che hanno partecipato alla Resistenza e ci hanno riconquistato, anche con la vita, un lungo periodo di libertà e di rinascita civile e politica; il primo maggio che ripropone la centralità del lavoro, la sua dignità, il suo ruolo nel progresso non solo economico ma umano e che non può essere conseguito in un contesto nel quale la guerra in Ucraina, scatenata dalla aggressione russa perpetrata contro il popolo ucraino con intollerabili nefandezze, detta l’agenda dei popoli.
Quale è la conseguenza da scongiurare? Rischiamo anche noi di ripiombare in una sorta di economia di guerra, forse neppure breve, nel mentre sul piano internazionale sembra non affermarsi tanto la prospettiva di ridisegnare un nuovo equilibrio mondiale che assicuri prospettive di crescita, quanto l’eventualità di ricadere in una logica di blocchi contrapposti e destinati a consumarsi in una competizione sempre più serrata per l’egemonia.
Ma al tempo stesso altri pericoli potrebbero materializzarsi in Europa se non tempestivamente ricacciati indietro: il risorgere, l’ennesimo, di nazionalismi, nonché di autoritarismi e forse di nuovi corporativismi che certamente potrebbero creare problemi seri alla nostra democrazia ed mondo del lavoro.
L’economia in tempi di guerra, dopo la crisi pandemica non del tutto debellata, allora imporrebbe una riflessione assai più circostanziata di quella che si vede circolare nella vita politica del nostro Paese.
Adesso la nube all’orizzonte si chiama stagflazione, vale a dire il connubio fra una possibile fase recessiva ed una inflazione galoppante. A farne le spese, inutile dirlo, sarebbero l’occupazione, i redditi più fragili e quelli da lavoro. Il tema della stagflazione turba i sonni degli economisti, del mondo della finanza che pure fino ad ora ha proceduto imperterrito sulla sua via che l’ha portata ad esercitare un peso determinante e non certo positivo sull’economia reale. Ma la prima risposta a questa situazione non può che essere politica: dovrebbe essere europea, ma comunque non potrà che essere, da noi, sostanziata da un continuo monitoraggio e da scelte condivise fra Istituzioni e forze sociali, con un rinvigorito ruolo del Parlamento.
L’aggravarsi della situazione economica non va considerato un acquazzone primaverile. La Bce ha detto chiaro e tondo, pur con il suo proverbiale ritardo, che l’inflazione resterà alta per diverso tempo. E su base europea siamo già oltre il 7%. E’ un’inflazione a due facce, tutte pericolose: alta a causa del costo di materie prime ed energia, ma alta anche per quel che riguarda le famiglie con il famoso carrello della spesa divenuto ormai il termometro allarmante di una corsa dei prezzi senza freni. Tutto questo condiziona la produzione fino a provocare chiusure che si erano evitate perfino nella pandemia, determina una ulteriore contrazione dei consumi in quanto stavolta le famiglie non saranno di certo invogliate, stante la grande incertezza presente, ad usare il risparmio per non limitare il proprio tenore di vita. . La produzione finora ha tenuto, ma è inutile esorcizzare il futuro con questa provvisoria stabilità. L’occupazione intanto vedrebbe accentuarsi il fenomeno della precarietà, mettendo, come avviene in periodi di crisi, in discussione i diritti sacrosanti del lavoro, la sicurezza, le certezze contrattuali.
Certo, la Bce farà in odo di ritoccare i tassi il meno possibile, ma il fatto stesso che ormai l’acquisto dei titoli di stato tanto provvidenziale nella grande crisi del 2008 ed anche nella pandemia, stia volgendo al termine, finirà per riportare all’ordine del giorno le questioni dello spread e del debito pubblico.
Lo stesso destino del Pnnr, che andrebbe riposizionato rispetto alle urgenze emerse con la guerra in Ucraina, potrebbe essere più aleatorio.
Non solo: anche alcuni capisaldi delle relazioni industriali non rimarrebbero esenti dai problemi che avanzano: ad esempio la questione salariale. Con la ascesa dei prezzi delle materie prime e dell’energia è chiaro che il calcolo della ricaduta del costo vita sui salari e sugli stipendi va rivisto. Ma emerge con maggiore evidenza la necessità di incrociare tutela dei redditi da lavoro e manovra fiscale, abbandonata a favore di logiche che oggi mostrano avere poco senso. Soprattutto se si valuta il fatto che una seria lotta alla grande evasione fiscale è ancora in buona parte un futuribile e che il fisco non riesce ad incassare come dovrebbe anche nel caso in cui le ingenti risorse sottratte sarebbero esigibili. Altro che polemiche sulla riforma del catasto…
Vogliamo risolvere il ginepraio nel quale potrebbero essere fagocitati, se non si interviene con misure adeguate ai problemi, con il ritorno alle illusioni pauperiste od alle pratiche assistenziali. E quanto si reggerebbe?
C’è da domandarsi allora cosa si aspetta a far compiere un salto di qualità nella azione di contrasto e di prevenzione delle conseguenze negative derivanti dalla tensioni internazionali e dalle stesse sanzioni imposte dall’Europa che non tarderanno ad esercitare effetti tutt’altro che positivi anche sulla nostra economia reale. Le avvisaglie già si avvertono del resto.
Serve insomma una maggiore chiarezza sui comportamenti, sugli obiettivi, sui percorsi da compiere per impedire un arretramento complessivo dell’economia e delle condizioni di vita e lavoro. Il movimento sindacale sta incalzando da tempo su questo terreno il Governo. Finora le disponibilità non si sono trasformate però in un reale mutamento di sistema dei rapporti che appare invece necessario. Ma è il mondo politico che resta in grande ritardo. Non c’è la percezione che abbia colto in quello che sta avvenendo i prodromi di una evoluzione profonda che non potrà non avere conseguenze sulla nostra vita ma anche sugli equilibri politici e sociali. Si sopravvive piuttosto su dichiarazioni di principio, magari giuste, su auspici ed esorcismi, su qualche fuga dalla realtà, ma assai poco sull’impegno a ritrovarsi su progetti e scelte che rassicurino i cittadini e il mondo del lavoro ed indichino una direzione di marcia. Questo vuoto va invece colmato con determinazione. Un vuoto sul quale l’iniziativa sindacale può influire positivamente. La Uil sta ormai vivendo la sua stagione precongressuale: una occasione in più per far valere le nostre proposte e la forza di convinzioni che debbono portare in particolare a non far ricadere in modo ingiusto ed insopportabile sul lavoro l’onere maggiore di queste difficoltà.
Paolo Pirani