“Del tempo parlano ormai solo i fisici e i meteorologi, e in modo ugualmente inquietante. Invece il tempo è il nostro migliore amico. Solo che bisogna lasciarlo lavorare”. Serve tempo per far crescere una pianta, e serve tempo per nutrire l’immaginazione e l’improvvisazione, da cui sole possono generare nuove idee. In un mondo costantemente proteso o a rimpiangere il passato, o a sognare, e nello stesso tempo temere, il futuro, quella che alla fine vince è la “società” istantanea”. Quella dove ogni decisione va presa qui e ora, giusta o sbagliata che sia, “azzerando la profondità del tempo”. Ma è un errore, perché questo impoverisce l’individuo nella sua capacità di immaginare il futuro: “semplicemente, non gliene da il tempo”. L’invito a riprendere le redini del tempo arriva da “Il Ritmo della libertà. Il fattore tempo in politica ed economia”: un piccolo libro (183 pagine), quasi un pamphlet, edito da Rubettino e scritto a quattro mani da Maurizio Sgroi, già autore di una notevole “Storia della ricchezza”, oltre che animatore di un blog economico di grande successo (The Walking Debt), e da Roberto Menotti, senior advisor presso l’Aspen Institute Italia.
Diviso in tre parti, in maniera non necessariamente continua e organizzata, il libro lancia una serie di suggestioni su temi diversi: dalla religione al cambiamento climatico, dalla politica all’economia, dalla filosofia alla statistica, ma sempre collegati, o legati, al fattore tempo, mettendo in luce le incongruenze della nostra epoca. “La fisica contemporanea suggerisce che il tempo è, in sostanza, una nostra invenzione – scrivono Sgroi e Menotti – la storia suggerisce però che il tempo è stato scoperto, e poi integrato da invenzioni mitiche”. La concezione stessa dello scorrere del tempo è comunque il seme del regresso verso l’origine di tutto, verso una sorta di “punto zero”: il caos che è diventato ordine, l’atto della creazione, o il Big Bang. “Ma è stato necessario superare una visione mitica e religiosa per utilizzare il tempo come migliore strumento di analisi e poi di azione”, sovrapponendo alla visione “mistica” un ragionamento fondato sul metodo scientifico.
Da un lato, come si diceva, viviamo nel costante rimpianto di un passato che si idealizza e diventa motivo di struggimento per tempi che, nel ricordo, diventano altrettante età dell’oro, pur non essendolo affatto. Dall’altro, la “prepotente seduzione della tecnica che ci promette di rispondere a problemi complessi semplicemente premendo un bottone per controllare il futuro”. Peccato che il futuro non sia affatto “scritto”: è qualcosa che ancora non c’è, ed è illusorio credere di poterlo pianificare o predirlo. In questa divaricazione, osservano gli autori, si finisce per vivere in un “eterno presente” (dal quale metteva in guardia un osservatore acutissimo dei fenomeni come Giuliano Amato già diversi anni fa). Ma “per riuscire a vivere agendo, e non solo subendo la realtà, dobbiamo imparare a usare il tempo. Gestire bene il tempo è la chiave per vivere”.
Invece, paradossalmente, il tempo “è diventato il nostro nemico: siamo compressi nel torchio di una società istantanea che anima la tendenza verso un neo determinismo che minaccia la nostra libertà. Ci stiamo convincendo che il futuro sia già scritto e che debba solo essere indovinato. Ieri questa seduzione si nutriva delle divinazioni degli aruspici, o delle profezie religiose. Oggi assume l’aspetto matematico, e perciò ancora più persuasivo, dell’algoritmo”. Le conseguenze sono tutte negative. Soprattutto, “stiamo disimparando l’azione. Ci è rimasta solo la reazione. Agire richiede tempo, fiducia e senso della prospettiva. Reagire è automatico, come mettere un like”. Questo obbligo alla rapidità vale ormai in politica come in economia, dove un manager, o un leader, si giudica dalla velocità delle decisioni e delle scelte, a prescindere dai risultati; e finisce per escludere la capacità di avere lo sguardo lungo, di programmare nel tempo, che si tratti di investimenti economici o scelte legislative.
Si tende a rincorrere l’illusione della “soluzione ultimativa” di un problema, che consiste in sostanza nel “rimuovere il fattore tempo”, passando di colpo dalla fine di una specifica vicenda, alla fine di una storia, di un’epoca: “ogni macro evento sembra segnare l’alba di una nuova era, invece che un passaggio in un lungo percorso che non si interrompe: il percorso umano, in cui convivono pace e guerra, conflitto e cooperazione, fattori di progresso e di regresso”. E ancora, si tende a dimenticare: oggi, per esempio, si parla di “policrisi”, a proposito del quadro mondiale squassato da guerre e altre catastrofi ma, sfidano gli autori, qualcuno sarebbe in grado “di indicare un qualunque mese nel periodo 1950-1990 in cui non vi fosse da parte dei leader di Usa e Urss la percezione di una policrisi in atto”? Forse, “la vera policrisi dei nostri Anni Venti è una crisi di memoria, una amnesia collettiva”.
Il libro è, come afferma Marta Dassù nella prefazione, innanzi tutto “una lezione di metodo”, che invita a eliminare sia la “patologica nostalgia del passato” che conduce al regresso, sia le paure millenaristiche nei confronti del futuro: “il progresso resta invece il futuro più probabile, se diamo tempo alle sue possibilità di dispiegarsi”. Gli autori ricordano che James Hutton, nel 1788, pubblicando un fondamentale testo di geologia, scriveva che “il tempo non è fatto per passare invano”. Imparare a rispettarlo e usarlo al meglio è dunque fondamentale.
Nunzia Penelope
Titolo: Il ritmo della libertà. Il fattore tempo in politica ed economia.
Autori: Roberto Menotti e Maurizio Sgroi, prefazione di Marta Dassù
Editore: Rubettino – collana Problemi aperti
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 183
ISBN 9788849879308
Prezzo: 18 euro