Chi. Da pronunciare senza l’acca, ma con un’accentuata fonetica labiale. Nella nostra scrittura, il relativo ideogramma cinese può anche essere tradotto Qi o K’i. Indica l’energia che circola all’interno del corpo. Un concetto alla base di quella cultura che dall’India, passando per il Celeste Impero, è arrivata fino al Giappone. Una teoria, con innumerevoli applicazioni pratiche, che accomuna Buddismo, Confucianesimo, Taoismo, Zen. Secondo la tradizione dell’Estremo Oriente, diviene la base della medicina durante il regno Huang Di, tra il 2690 e il 2590 avanti Cristo. Ancora prima che l’Yi Ching, il libro dei mutamenti, risalente al 2400 a.C., codificasse gli otto trigrammi, e i sessantaquattro esagrammi da loro derivati, che rappresentano le forze della natura.
Corrisponde al sanscrito “prana”. In Occidente non esiste un termine simile, anche se può essere accostato alla parola greco-latina “pneuma”, il soffio vitale. Lo spirito o l’anima, che dir si voglia. L’ebraico “ruah”, l’alito dell’esistenza che il Dio biblico infuse nell’uomo dopo averlo plasmato con la polvere. Ma la specificità del Chi si basa sull’idea che possa essere controllato e aumentato. La chiave di tutto è la respirazione. Far ben circolare l’aria nel proprio organismo significa attivare e supportare in modo armonico tutte le altre funzioni. Il battito cardiaco, la circolazione sanguigna, la digestione, la stessa attività cerebrale.
Respiro, meditazione, concentrazione. Le antiche scuole di arti marziali e i relativi stili, dal Kung Fu al Karate passando per il Wushu e il Tai Chi, hanno elaborato propri metodi, facendoli risalire ai monaci di Shaolin e agli insegnamenti del leggendario Bodhidharma. Anche lo Yoga si rifà ad analoghi principi. Ma sarebbe un grosso errore confinare queste nozioni in un tale ambito. La conoscenza e il dominio dell’ossigenazione, oltre a tutelare la salute e a garantire la longevità, condizionano ogni singolo atto e qualsiasi attività, compresa la cerimonia del tè.
Gli studiosi Ming Wong e Pierre Huard scrivono, in “Tecniche del corpo”, che nutrirsi di aria significa assimilare la sostanza vitale. Yang Jwing Ming, ingegnere informatico di Taiwan e maestro di Qi Kung, ricorda come lo stesso Lao Tsu, nel suo classico Tao Te Ching (La virtù del Tao) indicava le modalità di respirazione quale metodo per prolungare la durata e la qualità della propria esistenza.
Simili concezioni sono da tempo retaggio comune. Ogni sport prevede un uso appropriato, con apposita ginnastica preparatoria, della capacità polmonare, dal nuoto alla corsa. Alcuni provetti musicisti sono in grado di suonare tre strumenti a fiato contemporaneamente grazie alla respirazione circolare. E quella bocca a bocca serve a salvare gli affogati. Non a caso, quando una persona vola via, si dice che ha esalato l’ultimo respiro.
Chissà se riflessioni di questo tipo hanno condito la discussione sull’uso delle mascherine. Da lunedì 28 giugno potremo togliercele, almeno all’aperto. Ma senza mai dimenticare che le abbiamo dovute indossare perché il Covid si propagava per via aerea. Libertà di respiro, tuona Matteo Salvini, sempre lancia in resta contro la presunta dittatura sanitaria, come se fosse una sua conquista e non il risultato dei vaccini e della lotta al virus.
Non si può parlare avendo il cervello in apnea. Inspirare con il naso, espirare con la bocca. E massima attenzione alla qualità dell’aria. “L’uomo saggio respira fino ai talloni”, asseriva, intorno al 300 a.C., il filosofo Chuang Tzu.
Marco Cianca