La Vodafone cede un ramo di azienda alla Comdata con la cessione dei rapporti di lavoro delle maestranze occupate in questo ramo. I lavoratori interessati impugnano la cessione del ramo di azienda perché, a loro giudizio, non sussistono i necessari requisiti per la configurabilità di un ramo aziendale cedibile. La Corte di Appello ha accolto il ricorso ed ha ordinato alla Vodafone il ripristino dell’originario rapporto di lavoro alle sue dipendenze.
Ai fini della configurabilità di una vicenda traslativa riconducibile all’art. 2112 c.c., anche nella formulazione successiva alla modifica attuata dall’alt. 32 d. Igs. n. 276/2003, applicabile ratione temporis, si richiedeva che l’oggetto della cessione costituisse un’articolazione autonoma, capace di perseguire con propri autonomi mezzi lo scopo economico prefissato, ha escluso che tali caratteri connotassero il complesso oggetto del contratto di cessione tra la società Vodafone e la società Comdata; i servizi ceduti – di back office consumer, back office corporate e gestione del credito – costituivano, infatti, segmenti di attività rientranti nel più ampio contesto del customer care, vale a dire del reparto che in Vodafone si occupava della gestione del cliente e richiedevano, pur dopo la cessione, una continua interazione con i dipendenti della società cedente, un’imprescindibile integrazione organizzativa ed una stretta interdipendenza funzionale del ramo trasferito con la struttura rimasta nell’impresa cedente; inoltre, dal contratto di contratto di fornitura di servizi tra le due società stipulato nella stessa data del contratto di cessione emergeva che, a differenza di un normale contratto di appalto di servizi in cui l’appaltatore si obbliga alla fornitura di un determinato autonomo risultato, la Vodafone aveva riservato a sé il dettaglio di tutta l’organizzazione delle singole operazioni e Comdata Care si era obbligata a svolgere i servizi in conformità alle dettagliate direttive impartitele; le attività oggetto della cessione avevano continuato ad essere svolte dai medesimi dipendenti ceduti, non identificabili per un particolare know how, senza autonomia e in continuo collegamento direttivo, funzionale e di controllo da parte della Vodafone, in locali di cui tale società continuava ad essere la locataria, utilizzando gli indispensabili programmi; il difetto di autonomia funzionale del ramo di azienda ceduto determinava la inefficacia della cessione nei confronti dei lavoratori ricorrenti con obbligo per la società cedente di ripristino della concreta funzionalità del rapporto” (ricostruzione dei fatti di causa riportata in sentenza).
Contro questa decisione la Vodafone ha proposto ricorso in Cassazione al quale si è associato anche la Comdata S.p.A. condividendone i motivi.
La Corte di Cassazione, innanzitutto, ha respinto il ricorso perché il motivo di impugnazione coinvolge il fatto accertato dalla Corte di Appello sul quale la Cassazione non ha alcuna possibilità di intervento correttivo.
La Corte di Cassazione, nonostante l’inammissibilità del ricorso delle due società, ha, comunque ritenuto che la Corte di Appello ha deciso la controversia in modo conforme all’indirizzo della suprema Corte con l’aggiunta che le due società ricorrenti non hanno offerto con il loro atto elementi utili per mutare questi suoi condivisi orientamenti.
La disciplina dell’articolo 2112 del nostro Codice Civile per la Cassazione è coerente con la disciplina in materia dell’unione europea: “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”. Entrambe le norme, quella nazionale e quell’europea, intendono “assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo”.
Per la Corte di Cassazione, ai fini del trasferimento di un ramo di azienda occorre che il ramo ceduto abbia un’autonomia funzionale in grado di soddisfare lo “scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione”.
Nel caso esaminato la Corte di Appello aveva escluso la genuina cessione del ramo di azienda a causa della “mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo” del ramo di azienda.
Per la Cassazione “non è consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito”.
La Cassazione ha riconosciuto anche la legittimità della cessione di un ramo di azienda dematerializzata nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni. Ma in questo caso il gruppo di lavoratori trasferiti deve essere dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”. Occorre scongiurare che le operazioni di trasferimento del ramo di azienda si possono tradurre “in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto deve essere dotato di effettive potenzialità commerciale che prescindono dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato”.
Prosegue la Cassazione affermando che “il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione”.
La Corte di Cassazione ha respinto le richieste avanzate dalle due società di rimettere gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle questioni interpretative in materia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di ramo di azienda. La Corte ha respinto questa richiesta perché ha ritenuto che il diritto italiano è conforme al diritto dell’Unione. Cassazione sezione lavoro sentenza numero 24.687 pubblicata il 14 settembre 2021.
Biagio Cartillone