Elias Canetti sostiene che quando le grandi forze non hanno qualcosa da dire, ricorrono alla celebrazione di qualche anniversario. Il grande scontro degli anni ’80 tra sindacato e Fiat non appartiene a questa serie di eventi celebrativi, sia per la fase che chiude che per la fase che apre.
Da parte sindacale lo scontro è condotto dalla Flm, che ne uscirà ferita a morte: la Flm è stata il prototipo di una forma sindacale originale, il sindacato dei consigli; è stata l’esperienza di massa più ricca della storia d’Italia, tra il sindacalismo cristiano ed il sindacalismo di formazione diciamo marxista, almeno nella parte più consapevole; è stata infine l’anima e la struttura del grande incontro tra le masse operaie e studentesche che, a partire dall’autunno caldo, ha sorretto il movimento sociale di più lunga durata del Paese.
La vicenda degli anni ’80 chiude l’esperienza della Flm, per così dire l’età dell’oro del sindacalismo italiano e apre una fase di luci e di ombre; molte le ombre e poche le luci. La morte recente di Cesare Romiti ha riacceso le luci su quella battaglia, sul significato e sul modo di come è stata condotta, sui protagonisti e sul senso più generale del suo esito. Come dopo Canne o dopo Waterloo. Perse Lama?
Per molto tempo non si ebbe coscienza piena di una sconfitta campale del sindacato, come sembra suggerire T.Rinaldini, a quel tempo coordinatore del settore auto della Fiom? Io penso l’esatto contrario. La mattina della cosiddetta marcia dei quarantamila, di buona ora, Lama convoca una riunione assolutamente straordinaria. Il vertice dei comunisti della Cgil e della Fiom. Lo stato maggiore. Lo scontro con la Fiat stava arrivando al suo epilogo. Io partecipavo come segretario nazionale della Fiom, responsabile della Siderurgia, una specie di decima legio della Fiom. Le vibrazioni del pugno di Lama sul tavolo ancora risuonano nelle mie orecchie.
Caro Tiziano Rinaldini. come stai? Ho letto la tua intervista sulla vicenda Fiat. Vorrei ricordarti l’incontro straordinario tra comunisti della segreteria Fiom e comunisti della segreteria Cgil, più Bertinotti, come segretario del Piemonte e appunto tu come coordinatore Fiom dell’auto. In quel incontro, avvenuto proprio la mattina della funesta marcia, la relazione fu di Pio Galli: sia Trentin che Garavini, soprattutto Garavini ,espressero un giudizio ad alzo zero -sia sulla relazione ottimistica sullo stato dello scontro con la Fiat, e sull’ancor più ottimistico intervento di Bertinotti sulla tenuta della città (non riempiranno neanche il cinema Smeraldo o Apollo, disse Fausto), che sulla conduzione avventuristica della intera vicenda. Stiamo precipitando, disse Trentin; siamo già precipitati disse Garavini, con Lama esterrefatto che corre al telefono, attraverso cui gli veniva annunciato il successo della marcia. Ricordo ancora l’ira furibonda di Lama (con voi faremo i conti dopo, rivolgendosi a Galli Sabattini e Bertinotti,) mentre calava la mano sul Tavolo, ordinando a Trentin e Garavini, di correre a Torino e al ministero del Lavoro per salvare il salvabile. Quindi nessuna responsabilità di Lama (diretta), tranne quella che, come segretario generale della Cgil, inevitabilmente può essergli attribuita: la responsabilità della più grande sconfitta campale del sindacato e della Cgil. Del dopoguerra. Sconfitta campale appunto perché sono le sconfitte campali – fra l’altro percepita da subito come tale – che segnano le svolte della Storia. Il Sindacato, la Cgil mise la sua testa sul ceppo: La Fiat di Romiti calò la mannaia. Ricordando agli immemori che la lotta di classe non è un pranzo di gala.
Le conseguenze di quella sconfitta, come un fiume carsico, segnano la storia successiva del sindacato e particolarmente la Cgil, incrociandosi con i tanti accadimenti della storia. Nel senso più generale sindacale segna la fine della Flm ,del suo ruolo centrale, baricentrico, assunto nella storia sindacale degli anni settanta: come strategia, come struttura, come cultura. Nella Cgil le ripercussioni toccano tutti gli aspetti della vita della organizzazione, dalla politica dei quadri (una specie di cordone sanitario attorno ai quadri fiom: esempio vivente Giorgio Cremaschi, intelligenza viva e fiom a vita) alla forma/sindacato (declino e superamento del sindacato dei Consigli).
Sul piano della cultura, nasce con Sabattini l’idea del sindacato indipendente. Ha ragione Rinaldini: la sconfitta campale è la vera genitrice del sindacato indipendente. Il sindacato indipendente, è uno strano miscuglio di ingredienti: si nutre della sconfitta, della delusione verso la sinistra politica, (Torino come Danzica ma occasione mancata per l’ignavia della sinistra) della debolezza e dei limiti della politica confederale. (i diari di Trentin sono illuminanti). Il sindacato indipendente, badate bene indipendente e non autonomo, come sottolinea Rinaldini, Sarebbe potuta rimanere una pur traumatica conseguenza di una sconfitta bruciante – ogni sconfitta genera negli sconfitti la sindrome della sconfitta- Se non si fosse accompagnata ad un fatto importante: il ritorno di Sabattini alla Fiom, il posto meno adatto alla elaborazione della sconfitta.
La scelta di Trentin di Sabattini alla Fiom è stata la scelta – in termini di politica dei quadri – alla insegna della totale insensatezza. Per il peso comunque storico della Fiom nella vita della Cgil. Il luogo della sconfitta è infatti il luogo meno adatto per elaborare le ragioni della sconfitta. Sono tornato, si dice che abbia detto Sabattini al suo ritorno in Fiom. Il sindacato indipendente non è altro che il sindacato di scuola anglosassone che si nutre nel fondo di un classismo duro ma corporativo. Cosa sono se non una via alla corporativizzazione del lavoro, la proliferazione incontrollata di ogni genere di fondi, da quelli previdenziali a quelli sanitari? Il sindacato indipendente è l’esatto inverso del sindacato confederale e della sua politicità.
Il sindacato confederale poggia sul concetto che sinistra politica e sindacato confederale sono gemelli siamesi autonomi ma in relazione dialettica reciproca. Ognuno nutre la politica dell’altro. Il sindacato indipendente è all’origine “dell’agnosticismo politico” di gran parte oggi di tanti quadri sindacali , che li porta a chiudersi in una dimensione puramente sindacale, il sindacato come mestiere, e a rivendicare una cosa che avrebbe fatto rabbrividire Luciano Lama: la detassazione degli aumenti contrattuali. Il contratto di lavoro cioè pagato dalla collettività’, anche da chi sta peggio. Si tocca la massima espressione del classismo corporativo, l’inverso esatto di una politica di alleanze sociali, di un possibile ruolo egemone dei lavoratori all’interno del terzo stato. Terzo stato sempre più composito, ma proprio per questo, la egemonia del Lavoro richiede un di più di visione e cultura confederale. Non di meno. Di politica appunto.
Gigi Agostini