Tutto è consumo e noi siamo i prodotti di cui facciamo uso. Contemporaneamente essi sono pensati per soddisfare le nostre esigenze e ci connotano nel momento in cui decidiamo di acquistarli. È una relazione che partecipa alle nostre esistenze come un assioma talmente integrato da non riuscire più a distinguere gli elementi del rapporto. Ma siamo consapevoli della sua portata? Abbiamo contezza del fatto che i prodotti non sono mai fini a sé stessi e che contengono una stratificazione di sensi e significati dei quali ci serviamo? E soprattutto, nell’epoca della produzione massificata di beni e servizi, siamo consapevoli che le industrie si servono della nostra innata propensione a bisogni crescenti per suggerirne sempre di nuovi? Stiamo parlando di una vera e propria moltitudine di prodotti, una gamma vastissima che si replica potenzialmente all’infinito e che ogni volta contiene in sé il frammento di una promessa di benessere e felicità. E l’uomo, alla perenne ricerca del soddisfacimento personale, diventa l’ingranaggio di un processo che si autoalimenta. Capire il funzionamento di questa macchina, che segue logiche ben precise, può essere utile per riuscire a fare luce su aspetti della nostra immanenza che vengono messi a servizio di un processo molto più grande e complesso di quello a cui siamo stati abituati a credere. Con Il primo libro di sociologia dei consumi Vanni Codeluppi, docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, confeziona un agile saggio in ottica multidisciplinare – ma avvalendosi dello strumento interpretativo della sociologia – per spiegare in maniera francamente divulgativa i processi di consumo cui contribuiamo, indagando il ruolo dei consumatori stessi attraverso un’analisi semplice ed efficace non scevra da riferimenti storici, filosofici e sociologici. Codeluppi interpreta la fascinazione per il consumo in base alla capacità dei beni di svolgere un fondamentale ruolo relazionale nell’ambito culturale e sociale. La produzione rinnova di volta in volta gerarchie e urgenze, si appropria di valori e tradizioni per integrare il consumatore nelle proprie logiche ma anche il consumatore stesso partecipa al processo attraverso una volubilità sempre più spinta del gradimento che condiziona gli andamenti del mercato. Eppure, come si diceva, l’obiettivo resta sempre il soddisfacimento di un certo grado di felicità, semplificazione e benessere cui l’uomo naturalmente tende. In questo senso, merci e persone tendono a somigliarsi e gli stessi vettori che regolano i rapporti interpersonali si infragiliscono: alla perenne ricerca del prodotto perfetto in una moltitudine di proposte, guidati dal libero arbitrio del cambiamento e complice anche l’avvento massiccio del web, uomini e donne vivono le proprie esistenze in una continua performance di massimizzazione che degrada la coesione e la socialità. L’acquisto dei prodotti, poi, contribuisce alla definizione di identità sempre mutevoli e della propria collocazione sociale, cosa che abilita la piena vitalità dell’espressione “società dei consumi” coniata dal sociologo Jean Baudrillard.
Articolato in 10 capitoli, il libro parte con un excursus sulla storia dei prodotti e prende gli alimenti e gli abiti come campioni di beni primari per analizzarne la funzione sociale. Ma non solo: si analizza l’influenza comunicativa del packaging, della pubblicità tradizionale e via web, il ruolo delle marche, i luoghi del consumo come gli enormi centri commerciali, fino ad approdare a un’interessante critica e controcritica sui consumi sostenibili e l’impatto ambientale della produzione massificata. Di particolare interesse è proprio la disamina sull’influenza delle marche sulla nostra percezione di consumatori: «Le marche – arguisce l’autore – si presentano come attori sociali estremamente autorevoli e potenti, che tendono a invadere lo spazio privato e sociale degli individui e a penetrare sempre più in profondità nella vita di quest’ultimi. Da ciò consegue che, dato l’attuale stato di inesorabile crisi del sistema di certezze (ovvero valori e tradizioni) del passato, viviamo in una situazione sociale in cui gli ideali comuni e i progetti politici condivisi vengono progressivamente sostituiti dai significati associati alle immagini contenute nei messaggi pubblicitari e ai mondi delle marche. Sarà pertanto necessario chiedersi se ciò non comporti un’alterazione della natura e dell’importanza che la società attribuisce ai suoi principali valori. Infatti, quello che in passato veniva sviluppato all’interno di un processo collettivo di elaborazione della cultura sociale, oggi sembra essere in misura crescente delegato all’attività svolta dalle imprese. Il che diventa particolarmente grave se si pensa che i valori costituiscono quegli elementi che dovrebbero rappresentare il principale strumento di orientamento per le scelte e le dinamiche culturali di ogni società». Allo stesso tempo, anche il ruolo dei media e delle pubblicità si infiltra nella nostra percezione in maniera molto più complessa dell’immaginabile. Un fatto, questo, ampiamente dibattuto tra le diverse scuole di pensiero sociologico: «[…] Secondo Herbert Marcuse il potere dominante utilizza i media per ottenere un effetto di omologazione delle coscienze e dei comportamenti degli individui. Con la conseguenza che, agendo in questo modo, lo spazio per il pensiero libero e multiforme degli esseri umani viene sempre più compresso e ridotto a un’unica dimensione. Tale risultato però, secondo il filosofo tedesco, oggi non viene ottenuto, come succedeva in passato, mediante l’impiego di mezzi coercitivi e repressivi, bensì attraverso un’apparente condizione di pluralismo e libertà dietro la quale si nasconde un’inedita strategia di controllo degli individui: la “desublimazione repressiva” […] tuttavia sarebbe sbagliato sostenere che i consumatori sono totalmente manipolati dalle imprese. I consumatori, infatti, possiedono dei propri sistemi di valori, delle aspettative e delle preferenze che le imprese sono comunque indotte a cercare di comprendere e rispettare se vogliono ottenere successo sul mercato […] pertanto, contrariamente a quanto veniva denunciato dagli esponenti della scuola francofortese, le società occidentali, anziché produrre un effetto di omogeneizzazione della cultura, hanno dato piuttosto vita a una progressiva moltiplicazione dei modelli culturali e sociali che operano dentro l’ambito dei consumi».
Il libro di Codeluppi è consigliato a coloro che vivono con convinzione la propria esperienza di consumatore e che fin qui non si sono interrogati sulle ripercussioni di questo complesso meccanismo relazionale. Beni e società sono in perenne dialettica, influenzandosi reciprocamente e dettando le tempistiche di nascita e rinnovamento delle culture massificate. La consapevolezza sul proprio ruolo nel mondo e gli impatti su di esso è più che mai utile in tempo di stravolgimento delle consuete definizioni di globalizzazione e consumismo cui partecipiamo e avere un testo d’appoggio, di foggia un po’ accademica, è particolarmente utile per chiarirsi le idee.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Il primo libro di sociologia dei consumi
Autore: Vanni Codeluppi
Editore: Piccola Biblioteca Einaudi. Mappe
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 194 pp.
ISBN: 9788806263607
Prezzo: 21,00€