Sabato scorso, 9 marzo. Sera. La via centrale di Frosinone. Sparatoria all’interno di un bar. Un morto e tre feriti. L’assassino si costituisce nella notte. Ha 23 anni, è un albanese, come la vittima. Una storia di gelosia, cerca di spiegare il reo confesso. Gli investigatori sono più propensi a seguire la pista di uno scontro tra clan rivali. Droga, prostituzione, armi. Il Messaggero definisce il capoluogo ciociaro “una città ostaggio delle bande nel crocevia delle mafie”. Ma ci è voluta una sfida tipo OK Corral per scoprire una cosa del genere?
Ora i mezzi di informazione stanno seguendo il corso delle indagini, ma con sempre minore interesse. Forse i riflettori verranno riaccesi quando si svolgerà il processo. Ma per il resto riscenderà l’oblio. E questo vale per tanti altri avvenimenti. Come l’uccisone di un ragazzo rumeno di 14 anni, a metà gennaio, in quel di Montecompatri. Anche allora si parlò di una resa dei conti. Ma poi che è successo? Luoghi e personaggi balzano all’improvviso sul palcoscenico della cronaca e altrettanto velocemente scompaiono.
Non ci sono mai un prima e un dopo. Solo l’istantanea di un fatto, un’immagine fissa data in pasto all’opinione pubblica. Responsabilità dei media, tutti concentrati sull’immediato con la rinuncia a inchieste e monitoraggi di lungo termine, ma anche delle forze dell’ordine, più impegnate, anche per scarsità di personale e di mezzi, a fronteggiare le emergenze piuttosto che a svolgere una diuturna opera di prevenzione e denuncia.
Una logica dell’eterno presente che non si applica solo ai fatti di cronaca. Vale per la politica, per l’economia, per la società. E per le guerre. Dell’Ucraina e della Striscia di Gaza continuiamo a vedere bombardamenti e macerie, con un crescente oblio delle cause profonde e delle conseguenze possibili.
Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, ha affrontato la questione in un editoriale. Citando, in modo efficace, il giornalista e studioso Giovanni Cesareo: “Un evento è frutto di un processo e origine di un nuovo processo, cioè, fa parte di una catena di eventi. Quando si sceglie ciò che farà notizia, si taglia questa catena a un certo stadio, a un certo livello. Il punto nel quale viene operato questo taglio non dipende soltanto-e talvolta non dipende in alcun modo-da una presunta naturale evidenza dell’evento selezionato. Dipende piuttosto sia dai riferimenti culturali e sociali che si adottano per stabilire ciò che conta, sia delle possibilità che si hanno di seguire e osservare l’intera catena degli eventi”.
Sulla stessa rivista, Zerocalcare, uno degli intellettuali (speriamo che non si adonti per questa definizione) più impegnati nella difesa di Ilaria Salis, detenuta in condizioni disumane nelle carceri ungheresi, si prende la briga di seguire senza soluzione di continuità le disavventure della nostra connazionale. Impegnandosi a ricostruire il prima e a non trascurare il dopo.
Nel prima, ci sono i neonazisti, i quali ogni anno, sfilano a Budapest celebrando l’onore di chi combatté per Hitler. Tra di loro, un certo L.D, il cui volto tumefatto è apparso sui giornali di destra, ferito non si bene in quale occasione, e indicato come una delle vittime dell’insegnante italiana. Falso, perché il suo nome non appare tra quelli messi in conto, nelle carte del processo, alla vendicatrice rossa. Non solo. Questo personaggio suona in un gruppo skin-head e Zero Calcare riporta il testo di una delle loro canzoni: “Bambini carbonizzati e puttane ebree torturate /La vista è bella il mio cuore è pieno di calore/ Non importa quanto piangi, bastardo ebreo, morirai comunque /Il crematorio consumerà il tuo corpo immondo/ Le caldaie bruciano, i camini fumano, cadono ebrei, donne e bambini/Filo spinato e campo minato, da qui non puoi scappare/l’unica via per la libertà è attraverso il camino/ Il mucchio dei cadaveri arriva fino al cielo, non si vede più un ebreo”.
Le mani prudono. Prima e dopo.
Marco Cianca