L’azienda ha adottato nei confronti di una sua dipendente la sanzione disciplinare di 5 giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione. La lavoratrice ha impugnato la sanzione avanti il Tribunale che l’ha ritenuta non corretta e non proporzionata rispetto ai fatti contestati. Conseguentemente, la sanzione di cinque giorni di sospensione è stata ridotta a due giorni.
La Corte di Appello, dinanzi alla quale la lavoratrice ha impugnato la sentenza, ha riformato la decisione del primo giudice, annullando totalmente la sanzione; questa decisione è stata motivata dal fatto che il giudice del lavoro non ha il potere di rimodulare la sanzione, anche se richiesto dal datore di lavoro.
La Corte di Appello ha ritenuto sussistenti i fatti di natura disciplinare ma eccessiva la sanzione applicata. In conseguenza della sua sproporzione ha provveduto al suo totale annullamento.
La Corte di cassazione chiamata a dirimere la controversia ha confermato la sentenza della Corte di Appello, affermando i seguenti principi. Il potere di infliggere la sanzione disciplinare e di proporzionarla alla gravità dell’illecito accertato rientra tra “le facoltà di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione”. Questo potere, pertanto, è riservato esclusivamente all’azienda senza che vi sia la possibilità per il giudice, chiamato a decidere sulla legittimità di una sanzione, di poterlo esercitare procedendo ad una rideterminazione della sanzione riducendone la misura o cambiandone il genere nell’ambito e nel rispetto delle previsioni del contratto collettivo.
Questo potere del giudice sussiste solo nel caso in cui il datore di lavoro abbia applicato una sanzione disciplinare in eccesso rispetto alla misura prevista dal contratto collettivo, come ad esempio 10 giorni di sospensione dal lavoro in violazione della previsione del contratto collettivo che consente la sospensione dal lavoro solo per un massimo di cinque giorni.
Il datore di lavoro, costituendosi in giudizio può chiedere al giudice di sostituire la sanzione applicata con altra e diversa sanzione ma deve farlo indicando in modo specifico la sanzione da applicare in sostituzione da quella adottata, senza rimettersi al potere discrezionale del giudice per la sua individuazione. In questo modo non si sottrae l’autonomia del potere disciplinare che spetta sempre all’azienda e non si consente che il giudice possa adottare, con sua valutazione discrezionale, il tipo di sanzione da applicare usurpando un potere che è di esclusiva competenza dell’impresa. Corte di Cassazione, ordinanza 15 maggio 2024 n. 13479.
In sostanza davanti all’autorità giudiziaria l’avvocato dell’azienda non si può rimettere in modo semplicistico al giudice chiedendo che sia l’ufficio giudiziario a individuare il tipo di sanzione di applicare nel caso in cui quelle impugnata fosse stata ritenuta sproporzionata ma deve offrire al giudicante una alternativa secca: in sostituzione della sanzione applicata di cinque giorni di sospensione dal lavoro, applicarsi la diversa sanzione di due giorni di sospensione dal lavoro o di un giorno o della diversa sanzione della multa nella misura di due ore della retribuzione percepita oppure, in estremo subordine, del semplice rimprovero.
La forma in questo caso diventa sostanza. L’eccezione difensiva dell’azienda deve essere esercitata con correttezza formale tenendo conto sempre che la tipologia della sanzione da applicare è sempre di sua esclusiva competenza. Il giudice deve limitarsi semplicemente a verificare che questo potere sia stato esercitato dall’azienda nel rispetto delle previsioni di legge, del contratto collettivo e del codice disciplinare aziendale. Se l’esercizio del potere disciplinare è stato esercitato in modo legittimo, la sanzione è confermata; se la sanzione dovesse essere ritenuta sproporzionata rispetto alle previsioni del contratto collettivo tutto il provvedimento deve essere annullato.
Biagio Cartillone