1. Il contesto della vertenza:una ipotesi di scuola
Il 4 marzo del 2013 l’assemblea dei soci del Gruppo Bridgestone deliberò la chiusura dello stabilimento di Bari, l’unico in Italia. Il 5 ottobre 2015, la Società ha firmato un accordo con le organizzazioni sindacali che invece assicura la continuazione dell’attività produttiva almeno fino al 2018, con la previsione di un volume annuo di produzione di 3,5 milioni di pneumatici.
Per definire il contesto in cui matura una vertenza dura ed emblematica – come spiegherò – vale la pena riportare qualche elemento che ho tratto dal sito internet della Bridgestone. Poiché l’assemblea dei soci summenzionata ha deliberato nei primi mesi del 2013, è presumibile che avessero a disposizione i dati sullo stabilimento barese relativi al 2012 fra cui, per esempio, il fatturato che era superiore a 400 milioni di euro, inferiore di circa 100 milioni al fatturato del 2011. Se confrontiamo questa riduzione con il fatturato maturato nel 2013 (oltre 360 milioni) possiamo dire che, pur prendendo a riferimento solo questo trend, lo stabilimento lamentava un calo di fatturato (vale la pena ricordarlo, temporalmente coincidente col pieno della crisi economica). Il fatto poi che il fatturato del 2014 sia sceso a poco più di 87 milioni va collocato nel contesto della vertenza sindacale rispetto alla quale la Società aveva dichiarato di optare per la chiusura dello stabilimento, salvo una drastica riduzione del costo del lavoro. In questo contesto, però – per quel che vale – il Margine Operativo Lordo (MOL) del 2014 (circa 9,5 milioni) è superiore a quello del 2013 (circa 6,2 milioni); il che m’induce a pensare, limitatamente alla redditività del core business, che lo stabilimento di Bari aveva costi di produzione complessivi(fra cui il lavoro) che non superavano i ricavi. D’altronde, dal 2012 al 2014 i dipendenti sono diminuiti passando dagli oltre 1.100 a circa 800, anche grazie all’accordo aziendale del 30 settembre 2013,siglato presso il Ministero dello Sviluppo Economico, col quale furono dichiarati 377 esuberi e che ha portato a una mobilità volontaria di circa 200 lavoratori (e conseguente conferma di circa 180 lavoratori in esubero). Il piano prevede a regime 650 dipendenti sicché, pur mantenendo fermo il volume di produzione corrispondente all’anno peggiore di fatturato (il 2014), rappresenterebbe di per sé un incremento del MOL.
Che l’obiettivo dell’Azienda sia ridurre i costi (del lavoro) è scritto chiaramente nella premessa all’accordo in commento rammentando che il Piano industriale, presupposto dell’accordo, prevede una riduzione del costo di trasformazione di materia prima x tonnellata (RRT) di € 565. Tenuto conto che il costo unitario di partenza era di € 2.250, ciò significa che ai lavoratori tocca sopportare una riduzione del costo di produzione del 25%. Se rapportiamo questo dato a quanto detto prima a proposito dei Margini operativi, si comprende bene quale sembra essere la logica complessiva dell’operazione aziendale: andando al nocciolo della questione, l’obiettivo societario di riduzione dei costi sembra riguardare esclusivamente il costo del lavoro. Il punto è che tale riduzione non mi sembra derivare dalla redditività negativa della sua attività produttiva caratteristica bensì – fino a prova contraria – dall’esigenza di rafforzare quella redditività. Una logica imprenditoriale perfettamente coerente con la razionalità delle imprese multinazionali global player che, sul piano delle relazioni industriali, agiscono secondo uno schema abbastanza noto (vedi la vertenza Fiat). Oggi, quel modello di relazioni industriali, non solo trova conferma nel contratto Bridgestone ma – come dirò appresso – viene anche perfezionato e normalizzato tanto da poterci far parlare del“modello Bridgestone” come di un restiling del “modello Fiat”.
2. Il primo contratto aziendale del 2014
A conferma di ciò basta guardare il contenuto dell’accordo ben sapendo che la situazione negoziale che ho sopra descritto non poteva che determinare una condizione contrattuale peggiorativa rispetto al passato. Ciò è avvenuto in due momenti consecutivi.
Il 28 ottobre 2014 è stipulato un primo contratto aziendale finalizzato a una prima tranche di riduzione del RRT per un valore di € 125. Dal punto di vista giuridico, si tratta di un nuovo accordo aziendale che rinnova buona parte della contrattazione aziendale vigente fino ad allora alla quale – nelle materie trattate nell’accordo – viene data formale disdetta. Così, è stato previsto un nuovo Premio di produzione che ha sostituito l’insieme dei premi di risultato vigenti;è stata disdettata la disciplina contrattuale aziendale che prevedeva maggiorazioni retributive per lavoro straordinario, notturno, festivo e a turni superiori a quelle previste dall’art. 12 del CCNL Gomma Plastica (per esempio, la maggiorazione per straordinario prevista dal CCNL è del 18% mentre per il contratto aziendale era del 25-35%), che computava la durata della pausa nell’orario di lavoro,che prevedeva a carico dell’Azienda il pasto consumato a mensa imputandolo, ora, interamente a carico del lavoratore. Insomma, con quest’accordo aziendale del 2014 si è avuto un superamento dei contratti aziendali precedenti coi quali si è azzerata buona parte della disciplina integrativa rispetto al CCNL.
Non è stato un accordo in deroga perché si è trattato di una disdetta degli accordi integrativi aziendali vigenti,sostituiti da un nuovo contratto aziendale. Perciò desta curiosità la clausola con la quale l’accordo si è chiuso, in base alla quale esso era «finalizzato alla gestione di crisi aziendale» e quindi «idoneo – ai sensi di contratto, accordi collettivi e disposizioni di legge – a produrre effetti nei confronti di tutti i dipendenti». La clausola sull’efficacia generale del contratto aziendale avrebbe rappresentato una mera clausola di stile, valevole sul piano intersindacale – com’è negli accordi interconfederali Confindustria CGIL CISL UIL del 28 giugno 2011 e 10 gennaio 2014 – se non ci fosse quel riferimento alle «disposizioni di legge». Tecnicamente, il richiamo alla legge potrebbe riguardare solo l’art. 8, legge n. 148/2011che, appunto, regola il contratto aziendale con efficacia generale. A tal fine, occorrerebbe verificare la sussistenza di tutti i requisiti legali (finalità, materie regolate, soggetti firmatari, criterio maggioritario) che – sia detto per inciso – a prima vista mi sembra sussistono.
Il punto è che quest’accordo del 2014 non è un «contratto in deroga» perché non vi si prevede alcuna deroga, né al contratto nazionale né alla legge. Prevede sì condizioni peggiorative rispetto alle precedenti, ma pur sempre nell’ambito di un’evoluzione della contrattazione del medesimo livello (qui, aziendale) per il quale ciò che conta è la disciplina generale dell’efficacia temporale dei contratti collettivi. Da questo punto di vista, quindi il contratto è efficace verso tutti i lavoratori perché il recesso della contrattazione aziendale precedente da parte della Società ha azzerato la regolazione contrattuale di livello aziendale, ovviamente per tutti.
3. Il secondo contratto aziendale del 2015: l’applicazione delle clausole di deroga dell’Accordo del 28 giugno 2011
Il discorso è diverso per l’accordo aziendale del 5 ottobre 2015. Questo è un contratto aziendale in deroga al CCNL Gomma Plastica finalizzato a completare l’operazione di riduzione del costo di conversione (RRT) di altri € 440. Le deroghe consistono nella disapplicazione di alcune norme del contratto nazionale su: R.O.L. (art. 9); maggiorazioni per lavoro festivo, notturno e turni avvicendati (art. 12); maggiorazione per turni a ciclo continuo (art. 13); computo delle maggiorazioni per turni (art. 14); diritto alla 5^ settimana di ferie per i lavoratori con maggiore anzianità (art. 16); scatti di anzianità (art. 24). Viene,infine, disapplicata la norma sui premi di produzione (art. 25) e sul cottimo (art. 23) con conseguente congelamento dell’ultimo accordo aziendale del 2014 per gli anni 2016-2018.
L’accordo costituisce un esempio delle «intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro … con riferimento agli istituti … che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro» non fosse altro perché più volte le parti si premurano di richiamare la cornice dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 entro cui si muove l’intesa. In effetti, più volte si richiama anche lo stato di «crisi aziendale» come presupposto riconosciuto per le deroghe. Poco importa quale sia il significato che se ne vorrebbe dare rispetto agli effettivi margini di redditività del capitale o all’andamento di questo o quell’indicatore economico. D’altronde, il diritto del lavoro italiano sa bene che a fronte di un’eccedenza di personale, dichiarata non per andamenti negativi dei profitti aziendali, ma per incrementare la produttività e i margini (i c.d. licenziamenti tecnologici), la legge e la giurisprudenza sui licenziamenti collettivi non si sono mai azzardate a mettere in discussione la «ragione» della riduzione di lavoro. Sarebbe ancor più velleitario pensare che vincolare alla condizione di «crisi aziendale» la possibilità di deroghe al CCNL – come fa l’Accordo del 2011 – possa rappresentare uno scudo dalla imposizione negoziale di deroghe: quando l’azienda pone sul tavolo la chiusura dello stabilimento, la negoziazione di questo tipo non indugia sul se derogare, ma – al massimo – su cosa, come e chi.
Riguardo ai soggetti che possono sottoscrivere le deroghe aziendali, l’Accordo del 2011 richiede che la titolarità negoziale delle rappresentanze sindacali sia esercitata «d’intesa con le relative organizzazioni sindacali». Perciò il contratto del 2015 è preceduto da un vero e proprio accordo sottoscritto anche dalle organizzazioni territoriali e nazionali, sia sindacali sia datoriali, a supporto dell’accordo sottoscritto contestualmente dalle RSU.
Quanto ai contenuti, è interessante notare che nelle materie oggetto di deroghe previste dall’Accordo interconfederale del 2011, cioè «prestazione lavorativa, orario e organizzazione del lavoro», possiamo inquadrarvi le deroghe su ROL, festività e ferie (come orario), le deroghe sulle maggiorazioni retributive (come prestazione di lavoro). Però, mentre la soppressione della 5^ settimana di ferie o dei ROL comporta un incremento dei volumi di produzione trattandosi di un incremento delle ore lavorate, le altre deroghe attengono direttamente a una riduzione del salario, seppur riferito ai suoi elementi accessori.
4. Il perfezionamento del modello Fiat: la “priorità”del contratto aziendale e del salario
In questo senso possiamo apprezzare le differenze rispetto a una vicenda che ha rappresentato l’archetipo del nuovo modello di relazioni industriali in Italia: il caso Fiat. Nella vertenza Fiat, le deroghe hanno riguardato principalmente l’organizzazione del lavoro e, in particolare, i tempi di lavoro (tetti allo straordinario, pause, ecc.). Volendo delineare la prospettiva strategica di quella politica aziendale – semplificando al massimo – possiamo dire che l’obiettivo era aumentare la produttività del lavoro incrementando la produzione, saturando gli impianti produttivi: da ciò l’enfasi sulla nuova disciplina contrattuale della malattia come contrasto dell’assenteismo.
Nella vertenza Bridgestone, c’è anche la prospettiva di incrementare le ore lavorate produttive (ROL, ferie, ma anche un certo maggiore controllo sull’assenteismo), ma non è questo il punto centrale. L’obiettivo dichiarato è la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto (RRT), cioè una riduzione salariale. Quando si deve accrescere la produttività (e i margini di redditività del capitale) si finisce sempre per darsi principalmente due obiettivi (congiuntamente o disgiuntamente): incrementare la qualità/quantità della produzione e ridurre il monte-salari. L’accordo Bridgestone appartiene a questo secondo filone per il quale le deroghe devono essere funzionali a ridurre i salari effettivi. Non potendo agire direttamente sui minimi salariali l’accordo è intervenuto su elementi accessori che, di fatto, comporteranno una riduzione del salario di una percentuale oscillante fra il 20% e il 30%.
Si tratta, come si vede, di una straordinaria operazione contrattuale derogatoria che percorre tutte le potenzialità derogatorie dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011. Una potenzialità immediata, a prescindere dalle regolamentazioni delle deroghe che potranno essere previste dai CCNL. Infatti, il CCNL Gomma Plastica è privo di una propria clausola di deroga aziendale (a differenza di altri: CCNL metalmeccanico o chimico-farmaceutico); ma la clausola di deroga residuale prevista dall’Accordo del 2011 consente di svolgere contrattazione in deroga con risultati molto incisivi e interventi intensi su tempi di lavoro e salario. Quindi, la prima novità da segnalare è che l’applicazione dell’Accordo del 2011 dimostra il notevole potenziale derogatorio del CCNL.
Ma c’è una seconda caratterizzazione dell’Accordo Bridgestone che merita attenzione, anche se più problematica. Mi riferisco alla clausola in base alla quale «le parti concordano che, per il periodo di vigenza della presente ipotesi di accordo, ogni e qualsivoglia previsione del CCNL Gomma Plastica, sia nella parte economica che normativa, che sia in contrasto con l’art. 2 della presente ipotesi di accordo [cioè quella sulle riduzioni di costo] non troverà applicazione, ivi incluse eventuali ipotesi e/o accordi di rinnovo del CCNL Gomma Plastica occorsi medio tempore». Detto in altre parole, il contratto aziendale firmato non subirà nessun mutamento durante il suo periodo di vigenza, quand’anche il CCNL intervenisse sulle materie oggetto di deroga: stipulato il contratto aziendale, questo ha forza superiore anche a un successivo CCNL.
Non è inedito che il contratto aziendale prevalga sul CCNL; ciò è accaduto finora solo grazie a clausole contenute nei CCNL che fanno salve diverse intese aziendali: come a dire che è il CCNL stesso a consentire la permanenza in vigore della diversa regolazione aziendale. In questo caso, invece, è l’accordo aziendale in deroga che pone un vincolo di non emendabilità da parte di un successivo contratto nazionale. Si tratta di una tecnica che assomiglia molto al contratto aziendale “prioritario” previsto dalla riforma della contrattazione collettiva in Spagna (Ojeda Avilés,«El convenio colectivo de empresa prioritario», Rev. Gen. Der. Trab. Seg. Soc., 2013, p. 39 ss.; Gil y Gil, «Contrattazione collettiva decentrata e produttività nel settore della produzione di automobili in Spagna», Dir. Lav.Rel. Ind., 2015, p. 295 ss.) e che di fatto trasforma il Contratto nazionale in fonte sussidiaria e residuale rispetto al contratto aziendale.
Il problema è che nell’Accordo del 28 giugno 2011, quest’ipotesi non era contemplata; ma forse non era neanche esclusa. Voglio dire che se l’accordo in deroga che assume valenza “prioritaria” rispetto al CCNL è sottoscritto non solo d’intesa con i sindacati territoriali, ma anche con le associazioni sindacali e datoriali nazionali, possiamo dire che la “priorità” deriva da una deroga stabilizzata e confermata anche pro futuro, qualora se ne creasse la necessità a seguito di rinnovi contrattuali nazionali. Insomma, mi sembra che il contratto Bridgestone rappresenta tutta la potenzialità derogatoria contenuta nell’Accordo del 28 giugno 2011.
di Vincenzo Bavaro