Guardandole dall’esterno le grandi confederazioni del lavoro sembrano organismi sempre uguali, statici, capaci di limitata possibilità di crescita. Il numero delle tessere è più o meno sempre lo stesso, con poche variazioni ogni anno, in aumento o in diminuzione. La verità è diversa: Cgil, Cisl e Uil sono entità in perenne movimento. Ogni anno un quarto degli iscritti non rinnova per i più diversi motivi la tessera, e quasi altrettanti lavoratori vanno a sostituirli. Un fenomeno peraltro in crescita, perché il turnover si va facendo sempre più veloce. Per mantenere più o meno intatto il numero delle tessere gli stati maggiori delle tre confederazioni svolgono un lavoro ininterrotto, defatigante. Una volta non era così, tutto era più semplice. Quando il legame tra sindacato e politica era forte e (sembrava) indissolubile i comunisti si iscrivevano alla Cgil, i cattolici e i democristiani alla Cisl, i socialisti di dividevano tra Cgil e Uil a seconda della gradazione del loro rosso, repubblicani e socialdemocratici non avevano dubbi, si iscrivevano alla Uil. Qualche sommovimento ci fu quando arrivarono sulla scena i movimenti extraparlamentari, come si chiamavano una volta. Molti di quei militanti andarono in Cgil, dove formarono la mitica terza componente, qualcuno, pochi, in Uil, molti nella Cisl.
Poi però questo mondo antico sparì. Le confederazioni allentarono l’abbraccio con i partiti, questi, più semplicemente, si sciolsero sotto l’urto di Tangentopoli e della caduta del muro di Berlino. Il processo di deideologizzazione fu molto rapido, ma le confederazioni non persero peso, grazie appunto a quel lavoro ininterrotto di cui facevamo cenno. I parametri non furono più legati all’appartenenza ideologica, ma altri, come la presenza sul territorio delle varie realtà sindacali, l’attenzione a determinati argomenti, soprattutto l’attività e l’attivismo dei delegati nei posti di lavoro. Questi ultimi sono stati sempre determinanti ai fini del tesseramento, perché sono i più vicini ai lavoratori, capiscono e condividono i loro problemi, sono la prima linea delle confederazioni. In questo modo fu possibile tenere alto il tasso di sindacalizzazione, che però fatalmente è andato scemando negli anni. Per tanto tempo i numeri sono stati supportati dall’ingresso massiccio dei pensionati che sono arrivati a rappresentare, almeno nella Cgil e nella Cisl, più della metà degli iscritti. Negli ultimi anni questo flusso si è però ridotto e poi fermato, adesso comincia a decrescere il numero dei pensionati iscritti.
Per far fronte a questi problemi e mantenere intatta la capacità di intervento delle confederazioni è stata percorsa l’unica strada a disposizione, quella dell’innovazione dell’azione sindacale, che procede, ma un po’ a rilento. Sembra che gli stati maggiori dei tre sindacati sappiano cosa occorra fare, ma le resistenze, spesso psicologiche sono forti e superarle non è facile. Anche qui sono state tentate diverse strade: avvicinare e tentare di inglobare nuove figure professionali; aprire le sedi sindacali al territorio per farle diventare sempre più delle “agorà”, luoghi di avvicinamento e conoscenza reciproca; diversificare e innovare le pratiche sindacali. Tra le nuove figure professionali che sono state avvicinate spiccano i lavoratori atipici, che hanno portato alla nascita di nuovi sindacati confederali, come la Nidil in Cgil, che era la più piccola e che, da decima formazione nella scala della confederazione, è diventata la ottava; ma anche i lavoratori delle piattaforme, riders e compagni, spesso protagonisti della vita sindacale.
Il tentativo più riuscito in termini di risultati, è stato quello dell’offerta di nuovi e diversi servizi agli iscritti. Negli anni, i più importanti sono stati gli aiuti forniti per le pratiche previdenziali e fiscali. I patronati e i Caaf sono divenuti via via sempre più importanti. Svolgono milioni di pratiche burocratiche fornendo un’assistenza che nemmeno l’Inps e l’Agenzia delle entrate sono in grado di prestare. E hanno avuto anche un ruolo finanziario importante, almeno fino a quando governi ostili hanno cercato – e in parte ci sono riusciti – di mettere potenti bastoni tra le loro ruote. Ma continuano a essere strategici perché molti dei milioni di persone che passano dai loro uffici, finiscono per prendere la tessera del sindacato cui si sono rivolti. Non fu però questa un’autostrada facile da percorrere. Specie all’inizio era diffusa un’ostilità di fondo verso questa realtà. La Cgil in particolare a lungo fu contraria a queste pratiche che riteneva essere in qualche maniera fuori linea. Poi, con gli anni e a fronte dei risultati ottenuti questa ostilità però è cassata e adesso nessuno mette in dubbio la funzione e la centralità dei centri di assistenza fiscale o dei patronati. Resta però che l’iscrizione a un sindacato come atto di gratitudine per un servizio ricevuto non ha profonde radici e può interrompersi con facilità. È così che queste tessere per lo più vengono considerate certamente importanti, ma non sufficienti.
Adesso si sta cercando di battere nuove strade, di tentare nuove strategie. Molto si sta facendo per avvicinare e aggregare specifiche categorie di lavoratori. Sono nati lo Sportello donna, i Centri di lavoratori stranieri, di inquilini, di consumatori e così via. Nasce da queste esperienze l’analisi dei servizi collettivizzanti, una serie di prestazioni che i diversi sindacati mettono in atto nel tentativo di creare un legame non effimero con nuovi gruppi di lavoratori. Nei giorni scorsi il fenomeno è stato analizzato in un convegno di grande interesse presso la Scuola sindacale della Cisl a Fiesole, di cui ha riferito su questo giornale Mimmo Carrieri. L’idea di fondo, che non è solo italiana e che trova nuove esperienze in tanti paesi europei, è quella di mettere assieme queste diverse offerte di servizi innovativi per dare nuova linfa all’azione sindacale. Servizi anche molto diversi tra loro, che per lo più servono a dare una risposta alla domanda sempre crescente di formazione, ma anche per creare strumenti nuovi di lavoro, come ad esempio il coworking.
Tutto è utile per mantenere alta la sindacalizzazione e quindi forte l’azione sindacale, che di risorse ha bisogno. Ma tutti concordano su una verità indiscussa, è la contrattazione la via maestra da battere per risolvere i problemi dei lavoratori e delle aziende, ma anche per rafforzare i legami tra sindacato e società civile. Quindi vanno bene tutte le innovazioni, ma senza mai perdere di vista il core business del sindacato, che è e resta soprattutto un soggetto negoziale.
Massimo Mascini