C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla sua dama, raccontami una storia…
E la dama raccontò una storia al limite della fantascienza, o almeno della fantapolitica, che parlava di un personaggio molto importante, appunto un re (o qualcosa del genere, ché ormai non esisteva più la monarchia). Un personaggio che si era trovato quasi per caso a dirigere il governo del suo Paese, sostenuto da quasi tutti i partiti, a causa di un’emergenza nazionale, anzi mondiale, provocata da un terribile virus che faceva ammalare e morire centinaia di migliaia di persone. Causando oltretutto una crisi economica spaventosa, visto che la stragrande maggioranza dei cittadini era costretta a non lavorare per non infettarsi, le fabbriche, i negozi, gli uffici, i trasporti chiudevano o al massimo lavoravano a scartamento ridottissimo. Ci voleva insomma qualcuno che mettesse tutti (o quasi) d’accordo per fare poche ma fondamentali cose e far ripartire così l’Italia.
Questo qualcuno fu trovato in Europa, o meglio in Italia dove era tornato dopo un importantissimo incarico europeo, come presidente della Banca centrale del vecchio continente. Quando gli telefonò colui che non è un re ma poco ci manca, e che ormai si avvicinava alla pensione, per chiedergli se fosse disponibile a presiedere un governo di emergenza, lui accettò. E si mise subito al lavoro. Riuscì a convincere i capi (quasi tutti) dei suoi sudditi a dargli fiducia e così cominciò la sua nuova avventura.
I risultati non tardarono a farsi vedere, né sul fronte della pandemia né su quello della crisi economica. La grande maggioranza degli italiani si lasciò vaccinare (non tutti però), il virus diventò meno aggressivo, pochi continuarono ad ammalarsi e a morire. E le attività economiche ripresero a camminare e addirittura a correre. Ma questa è storia nota, mentre invece non è ancora conosciuta quella che racconteremo adesso. Anche perché tutto deve ancora succedere.
E allora succederà, o almeno potrebbe succedere, che tra pochi mesi, quando il vecchio re onorario avrà lasciato il suo incarico di Presidente di tutti gli italiani, il nostro qualcuno sarà tentato di prendere il suo posto, anche perché molti di coloro che lo sostengono gli chiederanno di farlo. Molti ma non tutti. E questo non sarà un piccolo scoglio sulla strada del Colle (altrimenti detto Quirinale). Il nostro non potrà accettare un’elezione parziale, o tutti d’accordo o niente da fare. E così resterà al suo posto di capo del governo, fino alla fine della legislatura nel 2023. Ma nel frattempo sarà cresciuto un sentimento – sta già crescendo – che serpeggia nel cuore di molti politici. I quali vorrebbero che il nostro qualcuno (si chiama Mario Draghi, per chi non l’avesse ancora capito) non li abbandonasse ma rimanesse a governare il Paese anche dopo le elezioni politiche che sono previste tra un anno e mezzo. Ma come si fa? Come possono i partiti italiani, tutti dotati di leadership, e le coalizioni che si formeranno o che già si sono formate, rinunciare a candidare un loro uomo o una loro donna al seggio di Palazzo Chigi?
Beh, in passato è già successo diverse volte, ed è successo anche recentemente proprio per consentire a Draghi di diventare capo del governo. Ma proprio per questo ora sarà più difficile che le organizzazioni politiche abdichino al loro ruolo principale, cioè quello di governare il Paese qualora vincessero le elezioni. Ecco, le elezioni: questo è il problema principale che rischia di impedire la permanenza di Draghi al governo anche dopo il voto. A meno che…
A meno che nel frattempo non nasca e cresca un nuovo partito, che scompigli quelli esistenti, provocando scissioni e nuove aggregazioni, mettendo insieme uomini e donne che al momento dirigono e militano in organizzazioni diverse e spesso anche in conflitto tra loro. Insomma, per dirla esplicitamente, è possibile che una parte della Lega (quella che ama Giorgetti e non sopporta più Salvini), che Forza Italia, ormai ridotta ai minimi termini e con Berlusconi sempre più anziano e non in ottima salute, che Italia viva di Renzi in via di estinzione, che la fetta dei Cinquestelle che non gradiscono Conte e la prospettiva di un accordo elettorale col Pd, che gran parte di quei parlamentari senza più una casa sicura e che quindi rischiano di restare fuori dal Palazzo, che una parte non secondaria del Partito democratico, quella che non ama Enrico Letta e il suo programma di unità con Conte… Che tutti costoro insomma si mettano al lavoro per far nascere il Partito di Draghi. Anzi, ormai è evidente che già ci si sono messi al lavoro, per ora nell’ombra, senza esporsi troppo, dicendo e non dicendo, costruendo la trama che alla fine – secondo i loro piani – dovrebbe portare al risultato finale.
Ora, non è affatto detto che andrà così, troppe sono le palle che dovrebbero finire in buca affinché questo gioco politico, chiamiamolo pure gioco di potere, riesca. A cominciare dallo stesso Draghi: l’attuale premier sarebbe disponibile a guidare questa nuova creatura costruita a sua immagine e somiglianza? E a candidarsi alle elezioni col rischio di un flop (vedi quel che è successo a Mario Monti nel 2013)? E questo suo fantomatico Partito nato nel Palazzo sarebbe in grado di farsi votare dalla maggioranza degli elettori (almeno relativa)? Oppure finirà che Draghi accetterà di farsi eleggere al Quirinale anche se non da tutto il Parlamento, in nome della responsabilità nazionale. Lasciando che la palla torni tra i piedi dei Partiti attualmente in campo che potranno così giocarsi la partita alle elezioni?
Fantascienza, fantapolitica, sogno (o magari incubo) di una notte di inizio autunno? Chi si sveglierà, vedrà.
Riccardo Barenghi