La cessazione automatica del rapporto di lavoro per il raggiungimento dell’età pensionabile non è necessariamente discriminatoria. È quanto sottolinea oggi la Corte di giustizia Ue del Lussemburgo in una sentenza relativa a un caso sollevato in Germania.
La dipendente di un’impresa di pulizie, al compimento del 65/mo anno di età, ha ricevuto dal suo datore di lavoro la notifica della cessazione del rapporto. Ma la lavoratrice si è rivolta al tribunale del lavoro di Amburgo, considerando il provvedimento una discriminazione fondata sull’età.
Oggi la Corte Ue, alla quale si erano rivolti i giudici tedeschi, ha stabilito che la direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione “non ostacola una clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento, da parte del lavoratore subordinato, dell’età pensionabile”. Clausole siffatte, spiegano i giudici del Lussemburgo, fanno parte da tempo del diritto del lavoro di numerosi Stati membri.
La corte di Strasburgo ha affrontato in questi giorni un altro caso riguardante il lavoro e ha sentenziato che “privare un lavoratore di un’indennità di licenziamento perché può ricevere una pensione di vecchiaia costituisce una discriminazione fondata sull’età”. Il caso esaminato è stato sollevato da un lavoratore in Danimarca che, dopo il licenziamento, a 63 anni, non intendendo andare in pensione, aveva chiesto il versamento dell’indennità speciale di licenziamento. Ma la domanda era stata respinta, in quanto il lavoratore poteva beneficiare della pensione.
Secondo i giudici Ue a cui si sono rivolte le autorità danesi, non è giustificata una norma che “non consente il versamento dell’indennità speciale di licenziamento ad un lavoratore che, sebbene possa accedere al beneficio di una pensione di vecchiaia versata dal suo datore di lavoro, intenda rinunciare temporaneamente alla pensione per proseguire la propria carriera lavorativa”.