Non è mai stato facile il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Ma stavolta sembra davvero un’impresa molto complessa. La vertenza è ferma da quattro mesi, ma soprattutto sembra essere entrata in un vicolo cieco nel quale tutti sembrano avere ragione, quindi, alla fine si trovano tutti dalla parte sbagliata.
I problemi sono iniziati quando è stato affrontato il capitolo del salario, perché i sindacati hanno chiesto un aumento dei minimi retributivi di un certo spessore. Alla base della loro richiesta il fatto che i salari italiani sono tra i più bassi di quelli praticati nei paesi altamente industrializzati. E poi l’inflazione degli scorsi anni ha falcidiato il potere di acquisto. Per fortuna i meccanici avevano scelto una particolare modalità di calcolo degli aumenti, che ha consentito loro di recuperare buona parte di quanto perso, ma questo non significa che nuotino nell’oro. Ma soprattutto i sindacati della categoria sanno, e lo dicono a gran voce, che una crescita dei salari farebbe bene al sistema Italia, perché consentirebbe di aggredire uno dei mali più perniciosi della nostra economia, la debolezza della domanda interna.
Aumentate i salari come vi abbiamo chiesto, affermano i sindacalisti agli imprenditori, e questo aiuterà la ripresa dell’economia. E in aggiunta chiedono una riduzione dell’orario di lavoro, che potrebbe far crescere l’occupazione, quindi la domanda e anche le entrate fiscali. Sarebbe un modo, affermano, per far ripartire il sistema, rafforzandolo. Il ragionamento non fa una piega, come confermano fior di economisti, ma la domanda vera è un’altra, il sistema della produzione se lo può permettere?
Perché i dati sulla congiuntura del settore metalmeccanico sono pessimi. Nel 2024 la produzione rispetto all’anno precedente è scesa del 4,2% ed è più di un anno che fa segnare dati in negativo. Questo non accade solo in Italia, perché, sempre da un anno all’altro, la produzione è calata in Europa del 5,6%, il che significa che non si può sperare in una forte ripresa delle esportazioni, perché stanno tutti con i remi in barca. E non è un caso se quest’anno le nostre esportazioni nel settore siano state ancora una volta più alte delle importazioni, ma questo è accaduto solo perché le ultime sono calate vistosamente. Le previsioni dell’indagine congiunturale che Federmeccanica conduce trimestralmente hanno lasciato solo una speranza, ma nulla più di una speranza, perché i sommovimenti geopolitici, i dazi di Trump, le spese per la ripresa, la prosecuzione delle guerre in atto, tutto fa pensare che la situazione molto difficilmente potrà migliorare.
E non c’è da stupirsi allora se le aziende abbiano risposto negativamente alle richieste salariali del sindacato. Hanno fatto una controfferta, ma per quantità molto lontane da quelle indicate nella piattaforma rivendicativa. Federico Visentin, il presidente di Federmeccanica, è stato chiaro. “Si è chiuso, ha detto, un anno durissimo, le prospettive preoccupano, il settore è a rischio”. Ed è così che le trattative si sono fermate e il confronto langue. I lavoratori hanno già effettuato due tornate di scioperi e per il 28 marzo è in programma una giornata di astensione dal lavoro, 8 ore in tutta Italia. Perdono salario i lavoratori, perdono una giornata di produzione le imprese. Ed è difficile che questa ennesima prova di forza conduca alla ripresa del confronto.
Il paradosso è che le relazioni industriali nel settore metalmeccanico sono molto buone. Da quando fu avviato il rinnovo del contratto nel 2016 sono stati compiuti tanti passi in avanti. È stato messo a punto un nuovo sistema classificatorio, è stato ridotto l’orario di lavoro, è stato adottato un sistema di crescita salariale che ha consentito di attenuare in maniera sensibile la durezza dell’inflazione. È cresciuto il sistema partecipativo, il welfare contrattuale è stato strutturato per andare incontro alle esigenze dei lavoratori. E non è un caso se entrambe le parti affermano adesso con forza di volere il rinnovo del contratto, i sindacati naturalmente, ma anche Federmeccanica.
Forse la cosa migliore sarebbe un ritorno al tavolo negoziale. Le prove di forza ci sono state da entrambe le parti, i sindacati con gli scioperi, le imprese resistendo alle pressioni, e probabilmente ognuna ha compreso le ragioni dell’altra parte. Una soluzione può arrivare solo dalla ripresa del confronto. Anche perché entrambe hanno mostrato di saper esprimere un massimo di capacità dialettica e di inventiva. Possono riuscire a trovare una via di uscita valida per tutti.
Certo, non guasterebbe se il governo aiutasse questo sforzo. Se il rinnovo del contratto di un milione e mezzo di metalmeccanici può davvero favorire la ripresa dell’economia, sarebbe il caso che il governo intervenisse per facilitare l’accordo. Una volta era la prassi normale. Quando le trattative si fermavano, e dopo gli scioperi, il ministro del Lavoro di turno chiamava tutti a via Flavia, sede del dicastero, e dopo qualche giornata di confronti e trattative, alla fine la vertenza si chiudeva. È fantascienza pensare che questo accada anche oggi? Certo, servirebbe un ministro del Lavoro vero.
Massimo Mascini