La Cgil si sta preparando a un grande impegno per promuovere referendum abrogativi e proposte di legge popolari. Le materie di queste consultazioni saranno le più varie. Certamente riguarderanno i temi della precarietà e della stabilità del lavoro, ma anche argomenti più generali, la sanità, la previdenza, la rappresentanza sindacale, l’autonomia differenziata. Nulla è ancora stato deciso e la confederazione si muove con molta cautela. Al momento questo programma è stato oggetto di un seminario di studio e di un dibattito all’interno dell’Assemblea generale della confederazione. Presto una nuova assemblea potrebbe dare delle indicazioni più precise.
L’idea di fondo dalla quale è partito Maurizio Landini è la necessità di dare continuità all’azione avviata con gli scioperi più o meno generali che sono stati attuati contro il governo Meloni alla fine dell’anno passato. I risultati ottenuti non sono stati esaltanti, è quindi possibile o necessario andare avanti. Anche per porre un freno all’azione di questo esecutivo che non trova in Parlamento un’efficace opposizione. Un’azione politica, dunque, da parte di un soggetto sociale che ritiene di doversi misurare anche su questo terreno per salvaguardare gli interessi di chi rappresenta. Non è la discesa nell’agone politico da parte di Maurizio Landini, come da molti auspicato o temuto, è la prosecuzione dell’azione sindacale su un piano diverso e con altri strumenti.
Se decidesse di procedere per questa via, la Cgil avrebbe accanto a sé certamente le cento organizzazioni sociali che già le sono state al fianco il 7 ottobre. Più difficile avere con sé la Uil, ma soprattutto la Cisl. Quest’ultima per due ragioni. La confederazione di Luigi Sbarra non ha mai fatto mistero di non volersi schierare politicamente, mantenendo le proprie decisioni operative strettamente collegate all’andamento della contrattazione. Non è un rifiuto del conflitto, ma a questo la Cisl ritiene di voler arrivare solo quando la contrattazione non abbia portato i risultati sperati. Ma soprattutto la Cisl al momento è impegnata nello sforzo per far approvare la legge popolare sulla partecipazione, per la quale ha raccolto le firme l’anno passato e che è arrivata in Parlamento. È difficile che voglia impegnarsi un un’altra analoga partita.
Motivi per rinunciare a questo progetto non mancherebbero, ma Landini sente fortemente l’esigenza di dare ascolto alla conflittualità che avverte nel paese, intende dare una risposta alle richieste dei lavoratori che sono in difficoltà per l’inflazione, che non è stata debellata, ma anche per la precarietà che invade l’intero mercato del lavoro. Difficoltà di cui ha dato forte testimonianza Luca Stanzione, il segretario generale della Camera del lavoro di Milano, nell’intervista che ha rilasciato a Il diario del lavoro. A suo avviso il sindacato si giocherà la propria credibilità nei prossimi rinnovi contrattuali, perché i lavoratori si trovano ad affrontare una serie di difficoltà e vogliono capire se hanno accanto un sindacato forte, desideroso e capace di condividere le loro battaglie.
Per questo Stanzione crede che la prossima stagione di rinnovi contrattuali dovrà diventare una grande vertenza di livello confederale, investendo non solo le categorie, direttamente interessate ciascuna per il proprio comparto, ma tutto il mondo confederale. Per avere più salario, certamente, ma anche qualcosa di più. La contrattazione a questo serve precipuamente, ad allineare il potere di acquisto dei salari all’andamento dell’inflazione. Ma stavolta i lavoratori hanno bisogno di un punto fermo cui riferirsi, di stabilità per affrontare l’andamento dell’economia che sta sconvolgendo tutti gli equilibri.
E Stanzione afferma che questa stagione contrattuale potrebbe anche raggiungere un obiettivo più importante, potrebbe far sì che il lavoro non sia più solo una pena, bensì torni a essere il luogo in cui i lavoratori possano realizzarsi, torni a essere un luogo felice. Il lavoro, osserva il sindacalista milanese, non è un tot di ore sottratte alla vita, è la vita stessa e come tale deve essere vissuto. Per ottenere questo risultato serve un grande impegno, fatto di tante cose, tanta formazione, un diverso rapporto tra impresa e lavoratore, una diversa gestione del tempo di lavoro, l’affermazione di nuove libertà, anche di carattere individuale. È il lavoro buono del libro di Stefano Cuzzilla di cui abbiamo parlato la settimana scorsa. Un’opportunità per tornare a dare valore al lavoro. Non un sogno, ma un obiettivo da raggiungere con forza e determinazione.
È come la battaglia del bread and roses delle operaie del Massachussets, che nel 1912, a Lawrence, chiedevano il pane, cioè un salario più alto, ma anche le rose. Un’utopia? Forse no, perché la caduta del valore del lavoro ha determinato in questi anni guasti profondi nella società, è scomparsa la fierezza del lavoro, il lavoro buono è volato via e sono rimaste solo le difficoltà. Un’inversione di questa tendenza dovrebbe essere tra gli obiettivi primari di un buon sindacato.
Massimo Mascini